L’incapacità di prevedere la spesa sta mettendo seriamente a rischio la tenuta dei conti pubblici. La lezione è che occorre costruire il prima possibile un nuovo sistema di controllo, abbandonando lo strumento dei crediti di imposta
Poco più di un anno fa sembrava finalmente scoppiata la bolla del superbonus: il governo aveva approvato un decreto che stabiliva il blocco della cessione dei crediti per i lavori non ancora avviati. Tutti immaginavano che nei mesi successivi la bolla si sarebbe sgonfiata.
A inizio marzo con la pubblicazione del consuntivo di contabilità nazionale dell’Istat abbiamo scoperto che la nuova spesa generata nel 2023 (circa 75 miliardi) avrebbe superato la somma di quelle del 2021 e 2022 (72 miliardi) portando a un totale che ormai si avvicina a quello del Pnrr e, anzi, lo supera se si tiene conto degli altri bonus edilizi erogati negli stessi anni (almeno altri 50 miliardi). Non c’è dubbio che si tratta della più grande assurdità nella storia della finanza pubblica dell’Italia repubblicana.
È ovvio che tutto ciò abbia avuto un effetto positivo, la cui dimensione tuttavia non è affatto chiara, sul livello di attività economica nel periodo come avrebbe avuto un aumento analogo di spesa pubblica in altri settori. La questione è se ha avuto un impatto sul potenziale di crescita dell’economia italiana. Su questo c’è da essere molto scettici: le costruzioni sono un settore maturo con spazio limitato per aumenti di produttività.
Il superbonus dovrebbe avere un effetto positivo duraturo in termini di risparmio energetico ma con un costo eccessivo: basta ricordare che sul totale degli interventi finanziati quelli trainanti, vale a dire direttamente rilevanti per l’efficienza energetica, rappresentano solo la metà del totale.
In ogni caso, l’incapacità di prevedere la spesa sta mettendo seriamente a rischio la tenuta dei conti. Nel consuntivo Istat di marzo, il disavanzo 2023 è maggiore per due punti di Pil rispetto alle previsioni della Nota di aggiornamento di fine settembre: uno scostamento inaudito. Di circa 40 miliardi, in gran parte dovuti a un errore di previsione sulla spesa per il superbonus nell’ultimo trimestre del 2023.
Come è possibile? La misura di blocco della cessione dei crediti decisa un anno fa, al di là delle deroghe successive, faceva salvi i lavori per i quali c’era stata una dichiarazione di inizio (Cila) o semplicemente una delibera dell’assemblea condominiale entro il 16 febbraio 2023. Ancora oggi nessuno sa quale sia il volume di questi lavori e se esso ormai si sia esaurito. Una coda di emersione è possibile fino ad aprile.
Adesso il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legge che elimina ogni tipo di cessione del credito per tutte le tipologie che ancora lo prevedevano (per inciso, è singolare che lo scorso anno, dopo aver chiuso la cessione del credito per il superbonus, questa sia stata concessa al bonus per l’eliminazione delle barriere architettoniche che include il rifacimento degli infissi) e blocca la possibilità di accettare comunicazioni tardive di fine lavori.
Tutto ciò è possibile si ripercuota anche sul disavanzo 2024, certamente lo farà per circa un punto di Pil all’anno sul debito pubblico. Rendendo più difficile la redazione del Def (previsto per il 10 aprile) con i programmi per il triennio 2025-2027, che già deve far fronte alla necessità politica di reperire 15 miliardi l’anno per confermare il taglio del cuneo fiscale e l’alleggerimento dell’Irpef introdotto nella scorsa legge di bilancio solo per il 2024. Con alle porte a luglio l’apertura della procedura per disavanzo eccessivo.
Sarebbe fondamentale per il futuro, al di là di misure tampone, un ripensamento generale dei bonus edilizi, anche alla luce della direttiva europea sull’efficienza energetica del patrimonio immobiliare, ormai approvata nonostante l’opposizione del governo italiano.
Occorre costruire il prima possibile un nuovo sistema di controllo, abbandonando lo strumento dei crediti di imposta e passando a erogazione diretta di spesa con un tetto annuale alle erogazioni. Limitare la generosità dei sussidi, con una selettività rispetto al reddito dei beneficiari. Verificare l’effettività dei risparmi energetici presunti, oggi basati solo sulle dichiarazioni dei singoli professionisti senza alcun controllo sul campo, neanche a campione. Richiedere a tutti i beneficiari un contributo che sia almeno pari al risparmio energetico conseguito.
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