Il nuovo strumento è previsto della delega fiscale approvata dal governo. In passato una misura simile ebbe grande fortuna, ma favoriva corruzione ed evasione. Ecco cosa è cambiato
Il Consiglio dei ministri ha da poco dato via libera al decreto legislativo che in attuazione della riforma fiscale introduce il cosiddetto concordato preventivo biennale, in sigla Cpb. A questo nuovo strumento potranno accedere le imprese di minori dimensioni e i lavoratori autonomi, proprio quei tre milioni di contribuenti che, secondo le statistiche dell’Istat, evadono ogni anno le imposte su 90 miliardi di imponibile.
L’istituto del concordato preventivo ebbe fortuna fino alla riforma fiscale degli anni Settanta che lo abrogò perché aveva dato corso a una prassi che aumentava l’evasione fiscale e la corruzione. Questo perché l’accordo con l’amministrazione avveniva con un contradditorio tra un funzionario dell’ufficio imposte e il contribuente assistito da un consulente o con il solo consulente.
Un dialogo, non basato su dati certi, che poteva facilmente portare alla corruzione con riduzione dell’imponibile e quindi del gettito. In seguito, l’unico concordato preventivo effettivamente applicato, e per poco tempo, è stato quello introdotto dal Decreto Legislativo 269 del 2003.
La disciplina era diversa da quella ora prevista dal Cpb perché non prevedeva una proposta dell’amministrazione, come invece avviene in quello appena approvato, sia perché si partiva dalla base imponibile e non dai ricavi. Aderirono solo 250mila contribuenti sui tre milioni di soggetti interessati.
Ritorno al passato
Nel tempo, non si è seguita la strada più logica di imporre scritture contabili sufficienti a stabilire il reddito anche dei contribuenti minori. Sono nate, invece diverse disposizioni che miravano a portare alla luce i veri redditi dei contribuenti minori, come la minimum tax, gli studi di settore che comunque definivano redditi medi e infine nel 2017 gli indici sintetici di affidabilità (Isa) allo scopo di incentivare l’adempimento.
Chi era in linea con gli Isa del proprio settore era considerato affidabile e beneficiava di minori accertamenti. Ma tutti questi sistemi sintetici hanno sempre individuato valori al ribasso rispetto ai redditi effettivi. Questo sistema era il frutto nasceva della volontà politica dei governi (nessuno escluso) di tollerare una certa evasione fiscale da parte dei lavoratori autonomi, con l’obiettivo di compiacere la propria base elettorale.
Anche questo Cpb si muove sulla stessa linea. Il testo del disegno di legge prevede che l’Agenzia delle Entrate presenti ai contribuenti una proposta, che ha per oggetto la definizione della base imponibile Irpef valida per i due anni successivi.
Chi aderisce resta controllabile, ma ci si aspetta che i controlli saranno indirizzati soprattutto ai contribuenti non concordatari. In base al testo attuale della delega, la determinazione dell’imponibile è di fatto rimessa alle parti. Infatti si prevede il contraddittorio con il contribuente, ma con modalità semplificate e limitate anche per non oberare gli uffici.
Questa prassi, però, ci riporta sempre allo stesso punto. Considerato che gli uffici a oggi non possono gestire proposte di concordato in contraddittorio con ogni singolo contribuente, si ritorna a redditi standardizzati per settore e su vecchie dichiarazioni assai lontane dai redditi effettivi di oggi.
Il regime forfettario
Ricordiamo poi che il concordato si pone in concorrenza col regime forfettario, riservato ai titolari di redditi da lavoro autonomo e d’impresa sotto il livello di fatturato di 85.000 euro. Chi gode di questo regime forfettario difficilmente ricorrerà al Cpb che comunque è basato su dati contabili. Occorre poi considerare che una quota di piccoli contribuenti potranno dimostrare i loro redditi con scritture contabili.
Ci si può aspettare, dunque, che questo Cpb non avrà una elevata diffusione e quindi non riuscirà a far emergere una sostanziale parte dell’evasione. Sarà solo una fortuna per i consulenti fiscali. Non si vede perché non si punti, invece, a potenziare i controlli anche incrociando i risultati di diverse banche dati.
È questa e non altre penose misure previste dalla legge di bilancio che può portare in definitiva a una seria diminuzione della pressione fiscale per tutti.
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