- Chi si aspettava una rivoluzione del settore autostradale, non quella minacciata da Toninelli - revoca immediata della concessione -, ma una seria quanto necessaria riforma del comparto, è rimasto deluso.
- La parte finanziaria dello stato, attraverso Cassa depositi e prestiti (Cdp), che deterrà il 51 per cento di Aspi, prevarrà certamente.
- Mentre il ministero della Mobilità sostenibile spogliato di ogni competenza, privo di una dirigenza competente – come dimostra il pasticcio della gara per il rinnovo della concessione a Gavio – e subalterno a quello dell’Economia.
Quella che attende Autostrade per l’Italia (Aspi) è una vera e propria rivoluzione: sì, ma alla rovescia. Chi l’avrebbe mai detto che lo stato italiano, per togliersi la macchia di aver privatizzato la concessione più importante del paese, quasi 3 mila chilometri di rete su 6 mila chilometri complessivi, dovesse sborsare 9,1 miliardi di euro ai responsabili della tragedia del ponte Morandi per subentrare nella gestione di Aspi?
Rappresentanza inutile
Eppure è proprio così, con lo stato che si farà anche carico di una quota del risarcimento danni. Chi si aspettava una rivoluzione del settore autostradale, non quella minacciata da Toninelli - revoca immediata della concessione -, ma una seria quanto necessaria riforma del comparto, è rimasto deluso.
L'attuale gestione di Aspi ha lasciato la rete in pessime condizioni d’esercizio e di sicurezza per i veicoli che la percorrono. Anche la vigilanza dello stato sulla gestione si è rivelata un colabrodo, con la presenza dei rappresentanti dei ministeri dei Trasporti e dell’Economia nei consigli di amministrazione di Aspi e della capogruppo Atlantia che si è dimostrata inutile - e lo stesso discorso vale per gli altri concessionari. Le manutenzioni hanno potuto essere rinviate senza problemi per anni, così come i vincoli sanzionatori, grazie a un assetto contrattuale stato-concessionario sbilanciato a favore dei gestori.
Lo stato perdente
Con questa acquisizione, lo stato esce perdente non solo per quanto ha dovuto sborsare per liquidare Atlantia, che detiene l’88 per cento di Aspi, ma anche perché appare evidente che, a convenzione invariata, i pedaggi non dovranno solo coprire i costi di gestione e di manutenzione – vedremo come si farà -, ma anche generare flussi di cassa.
La parte finanziaria dello stato, attraverso Cassa depositi e prestiti (Cdp), che deterrà il 51 per cento di Aspi, prevarrà certamente su un ministero della Mobilità sostenibile spogliato di ogni competenza, privo di una dirigenza competente – come dimostra il pasticcio della gara per il rinnovo della concessione a Gavio – e subalterno a quello dell’Economia.
Il ruolo dei fondi
Non solo: i compagni di viaggio di Cdp nell’acquisizione pubblica sono i fondi stranieri Blakstone, al 24,5 per cento, e Macquarie, un altro 24,5 per cento: non proprio dei benefattori, ma fondi che puntano ad alti rendimenti e che hanno tutto l’interesse a far sì che la convenzione e il sistema tariffario restino così come sono.
Infine, lo stato, attraverso il ministero dell'Economia e quello della Mobilità sostenibile sarà al tempo stesso il concedente della concessione, il regolatore che nomina i vertici della Cdp, dell’Autorità di regolazione dei trasporti (Art) - un arbitro che in questi anni ha fatto solo da spettatore - e quelli dell’Agenzia per la sicurezza di ferrovie strade e autostrade, Ansfisa: alla faccia della separazione di interessi che possono essere configgenti.
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