L’Antitrust europea è tornata in campo e ha fatto sapere di essere arrivato alla conclusione che Amazon ha abusato della sua posizione dominante in Germania e Francia. La società rischia una multa che può superare i 20 miliardi di euro. Ma Vestager ha aperto anche una seconda indagine in cooperazione con l’authority italiana.
- L’Antitrust Ue è tornata in campo e ha fatto sapere di essere arrivato a una conclusione preliminare nell’indagine su Amazon e di avere aperto anche una seconda indagine.
- Secondo l’Ue la socidtà di Bezos ha abusato della sua posizione dominante nel mercato dei dati per fare concorrenza sleale ai rivenditori che utilizzano la sua piattaforma.
- Inoltre la direzione alla concorrenza ipotizza anche che Amazon avvantaggi le imprese che usano i suoi servizi di logistica e Amazon prime posizionandole meglio nella classifica dei prodotti.
L’Antitrust Ue non lascia, torna in campo dopo la presentazione del rapporto sul big tech del Congresso americano, e raddoppia la presa sul colosso dell’e-commerce Amazon.
Il 10 novembre la vicepresidente della Commissione europea, Margrethe Vestager, ha annunciato che l’indagine antitrust aperta nel luglio del 2019 sull’utilizzo dei dati sensibili delle imprese che usano la piattaforma del commercio online è arrivata a una conclusione preliminare: Amazon ha abusato illegalmente della sua posizione dominante nei suoi due principali mercati europei, cioè Germania e Francia. In più la responsabile alla concorrenza ha anche annunciato l’apertura di una seconda indagine: l’ipotesi in questo caso è che Amazon riservi un trattamento di favore a quei rivenditori che utilizzano i suoi servizi di logistica e il suo servizio Amazon Price e invece sfavorisca quelli che si occupano delle consegne in proprio.
A luglio dell’anno passato la Commissione Ue ha iniziato ad indagare su come Amazon usa i dati dei rivenditori che utilizzano il suo market place: sono stati analizzati più di 80 milioni di transazioni e circa 100 milioni di prodotti. Secondo le prove raccolte dall’autorità europea, la società creata da Jeff Bezos usa l’enorme quantità di dati sulle performance dei prodotti venduti da terzi attraverso la sua piattaforma per ottenere un vantaggio competitivo da usare per fare concorrenza sleale ai suoi stessi clienti. O meglio, per dirla con Vestager, per «evitare di assumersi il rischio» di impresa.
Che si tratti della vendita di utensili da cucina o degli attrezzi per il giardinaggio, Amazon controlla infatti una mole di dati sensibili che vanno dal numero di ordini ai reclami, dalle visite online alle garanzie contrattuali e che possono essere aggregati e utilizzati a suo favore. Secondo le prove raccolte questi dati vanno a nutrire sistematicamente e in tempo reale gli algoritmi del business a marchio Amazon. Con ottimi risultati. Amazon compete direttamente coi suoi clienti, ha specificato Vestager, solo sul dieci per cento dei prodotti che vende online, ma da queste categorie genera il 50 per cento dei suoi profitti.
Dalla prima indagine ne è scaturita una seconda che analizzerà il funzionamento della Buy Box, la scatola dell’acquisto, cioè la casella che compare in alto a destra sul sito di Amazon e che mette in evidenza alcuni prodotti, con il maggiore punteggio, permettendo di spostarli direttamente nel carrello della spesa. In rete si possono trovare decine e decine di pagine di consigli alle imprese che sono in competizione tra loro per essere selezionati per la Buy Box, perché da qui passano l’80 per cento delle transazioni su Amaozn,. L’ipotesi della direzione per la concorrenza è che in realtà uno dei criteri sia quello di usare i servizi di logistica della compagnia per le consegne e che questa sia la porta di accesso anche per ottenere l’etichetta Amazon Prime.
La prima conclusione è allo stadio preliminare: significa che Amazon ha la possibilità di rispondere ai rilievi sollevati, prima che eventualmente le sia comminata una multa. Amazon ha fatto sapere che è totalmente in disaccordo con le conclusioni dell’Unione europea e che l’azienda rappresenta solo l’1 per cento del mercato del commercio a livello mondiale e che ci sono più grandi distributori in ognuno dei paesi in cui opera. «Non c’è nessuna compagnia che abbia più a cuore le piccole imprese», si legge nella dichiarazione della società. Le sanzioni possono arrivare fino al dieci per cento del giro di affari di una compagnia, che in questo caso corrisponde a circa 24 miliardi di euro. Tuttavia i precedenti non sono mai arrivati al massimo: Google per l’abuso dei suoi servizi di ricerca è stato multato per 8 miliardi di euro.
La seconda indagine sarà portata avanti in tutti i Paesi europei, con l’eccezione dell’Italia, dove già la nostra authority per la concorrenza ha aperto una indagine su casi simili. L’antitrust europeo a questo proposito ha fatto sapere che proseguirà la cooperazione con il nostro regolatore. In Italia Amazon è stata sponsorizzata da diversi politici come uno strumento a favore del Made in Italy, ma ha sottolineato l’ex capo economista alla concorrenza Ue Tommaso Valletti che oggi insegna all’Imperial college di Londra in pochi si sono interrogati sul rapporto di dipendenza che poteva crearsi tra la società di Bezos e quegli stessi imprenditori.
Vestager ha confermato un cambio di passo nell’approccio sui colossi del big tech, ormai condiviso su entrambe le sponde dell'Atlantico e cioè che qualunque sia il settore di attività apparente, le grandi compagnie tecnologiche americane sono essenzialmente delle imprese di dati. «Amazon è una società data driven (guidata dai dati) e altamente automatizzata, dove le decisioni di business sono basate sugli algoritmi», ha detto Vestager. Inoltre il regolatore europeo ha finalmente acceso i riflettori sui meccanismi che potenzialmente rinchiudono un numero crescente di imprese dentro l’ecosistema Amazon, cioè quelli con le imprese sfruttate aiutano Amazon a rafforzare la sua stessa posizione. Si tratta di conclusioni perfettamente in linea con il rapporto recentemente presentato dalla Commissione giustizia della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti e che arrivano dopo la vittoria di una amministrazione americana che sul suo rapporto con i nuovi monopolisti si gioca parte della sua credibilità, oltre che i rapporti interni con la sinistra del partito democratico. La californiana d’adozione Kamala Harris non facilita le cose, con ottime le relazioni con la Silicon Valley e un cognato manager di Uber che ha guidato la campagna vittoriosa per modificare la legge e non riconoscere gli autisti come dipendenti.
Ma anche su questa sponda dell’Atlantico, la sfida è complessa. Le inchieste condotte finora, a partire da quella su Google durata quattordici lunghi anni, sono state lente. I rimedi che le aziende possono prendere per limitare la loro posizione appaiono riduttivi rispetto alla crescita delle loro capacità di dominare i mercati. Come fare a garantire la concorrenza senza imporre se non la divisione delle aziende almeno regole a priori per i mercati digitali? Finora Vestager è restia ad imboccare questa strada, come conferma chi ha lavorato fianco a fianco per anni. Ma il collega Thierry Breton, commissario all’industria deciso a favorire l’emergenza di un’industria digitale made in Ue, sembra assai determinato. Amazon, in ogni caso, è stata avvertita.
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