Dalla Commissione Ue arriva un via libera con riserva alla Legge di bilancio. Insufficienti gli interventi per ridurre deficit e debito. Critiche alla riforma fiscale
La manovra così non va. Il governo italiano non ha usato i risparmi previsti dalla legge di bilancio per ridurre il debito. Anzi, al contrario, le maggiori risorse disponibili sono andate a finanziare l’aumento delle spese. Ecco perché la Commissione europea ha dato via libera solo con riserva ai conti di Roma.
Una mezza bocciatura, in sostanza, un verdetto del tutto inatteso alla vigilia, quando la maggioranza degli osservatori si attendevano un giudizio meno severo, al massimo qualche rilievo su alcuni punti specifici, in attesa di una valutazione più approfondita prevista per la prossima primavera, alla vigilia delle elezioni che potrebbero cambiare gli equilibri politici dell’Unione.
Va detto che lo stesso severo metro di giudizio è stato applicato anche ai documenti programmatici presentati da altri Paesi, come la Germania e l’Olanda, che si sono visti rispedire al mittente le rispettive manovre con la richiesta di interventi correttivi. Ancora più duro il voto assegnato alla Francia, che ha presentato una serie di provvedimenti ritenuti nell’insieme “non in linea” con le raccomandazioni di Bruxelles.
Anche la manovra italiana è stata valutata sulla base delle indicazioni rese note lo scorso 14 luglio, in cui si chiedeva al governo di Roma di essere pronto a “prendere le misure necessarie” perché il bilancio del 2024 sia in linea con quanto stabilito dalla Commissione. Bruxelles ritiene infatti che il governo italiano abbia compiuto solo “progressi limitati”.
Nei prossimi mesi andranno quindi adottati provvedimenti più incisivi, perché, in prospettiva, non viene neppure esclusa la possibilità che possa essere avviata una procedura per deficit eccessivo contro l’Italia, anche se al momento, in vista della riforma del Patto di stabilità, restano da definire le nuove norme che serviranno a regolare i conti dei Paesi Ue.
Secondo il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, il giudizio europeo non è una bocciatura, ma «un invito alla prudenza». Questione di punti di vista. Di sicuro l’inaspettato mezzo siluro arriva proprio mentre entra nella fase decisiva il negoziato che Palazzo Chigi ha tentato di impostare con Bruxelles a proposito della riforma del Patto di stabilità e dell’approvazione del Mes.
Su quest’ultimo punto pare ormai certo che il voto in Parlamento non avverrà prima dell’8 dicembre. Un rinvio che dovrebbe servire a barattare la ratifica del Mes (l’Italia è l’unico Paese Ue che ancora non ha dato via libera) con un atteggiamento meno rigido da parte dei partner europei nella trattativa sul Patto, che sarà al centro del vertice Ecofin convocato, appunto, per l’8 dicembre.
La mezza bocciatura viene recapitata a Roma giusto in tempo per smorzare il clima di discreta euforia che si respirava da qualche giorno nelle stanze del ministero dell’Economia. Da quanto, nell’arco dell’ultimo mese, i conti pubblici hanno superato uno dopo l’altro l’esame delle società delle tre principali agenzie rating, compreso il giudizio più temuto di tutti, quello di Moody’s che a maggio aveva assegnato un outlook negativo al debito italiano, già in bilico per essere declassato nella categoria dei titoli spazzatura.
«È una conferma che pur tra tante difficoltà stiamo operando bene per il futuro dell’Italia», aveva commentato il ministro Giancarlo Giorgetti lo scorso venerdì, poco dopo la pubblicazione della pagella di Moody’s che aveva promosso da negativo a stabile l’outlook del nostro Paese. Dopo l’inattesa doccia fredda di Bruxelles, il responsabile del Mef ha incassato il colpo con ostentata indifferenza. «Tutto come previsto: nonostante l’eredità dell’impatto negativo di energia e superbonus andiamo avanti con realismo». Da notare l’uso del termine eredità, che rimanda a presunte scelte sbagliate dei governi precedenti.
I rilievi della Commissione, per la verità, si sono concentrati soprattutto sui provvedimenti adottati dall’esecutivo di Giorgia Meloni in campo fiscale, come per esempio l’accorpamento delle due aliquote più basse dell’Irpef e l’abolizione dell’Ace, che incentiva il rafforzamento patrimoniale delle imprese. Questi interventi, secondo Bruxelles, hanno una portata limitata e provocano un’ulteriore erosione della base imponibile, cioè dei redditi che possono essere tassati.
Anche i provvedimenti sul cuneo fiscale e sulle pensioni, pur essendo in parte finanziati con i risparmi di spesa ottenuti con la cancellazione degli aiuti per le bollette energetiche e i bonus edilizi, avranno comunque un effetto sul fronte delle spese che porterà il deficit al di sopra dei limiti fissati dalle raccomandazioni della Commissione.
In particolare, secondo Bruxelles, la spesa primaria netta prevista per il 2024 finirà per essere superiore allo 0,9 per cento del Pil previsto dal Documento di bilancio italiano. Questo specifico parametro dovrebbe assestarsi a un livello superiore all’1,3 per cento, che è il limite fissato da Bruxelles. E questo a causa di una sorta di effetto trascinamento delle maggiori spese del 2023.
In altre parole, diventerebbe ancora più lento il percorso di riduzione del deficit e del debito pubblico. Due problemi strutturali su cui il governo deve tenersi pronto ad “adottare le misure necessarie”, avverte la Commissione.
In caso contrario, a primavera si ricomincia da capo. Questa volta con il rischio concreto di una bocciatura che, in teoria, potrebbe innescare una procedura d’infrazione contro Roma.
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