Per far regredire la Ue alla loro amata Europa delle nazioni, Meloni e sovranisti vari non devono letteralmente far nulla; gli basta impedire, col diritto di veto, qualsiasi avanzamento. Se la Ue diviene irrilevante, hanno vinto
Chi semina vento raccoglie tempesta, seminare zizzania politica può scatenare tempeste sui conti pubblici. Lo sa la premier Giorgia Meloni, grande seminatrice? Al G7 di Fasano ha polemizzato col presidente francese Emmanuel Macron, reagendo con parole e mimica alle sue proteste per la sparizione dell'aborto dalle conclusioni del vertice. È uno sgarbo istituzionale, per chi rappresenta il Paese ospitante il G7, comportarsi da capo-partito.
Il decantato interesse “nazionale” soffre se l'ardore politico offusca le tenuissime competenze economiche di Meloni. Dovrebbe parlare più col ministro dell'Economia. Dopo la vittoria di Marine Le Pen alle elezioni europee, Macron ha sciolto l'Assemblea, per cui si vota il 30 giugno e il 7 luglio. Meloni spera, è logico, nella sconfitta di Macron; con Le Pen non va d'accordo, ma milita come lei nella destra estremista, come lei vuol scardinare gli equilibri della Ue estromettendo dalla guida i socialisti. Vedremo come vanno a finire le trattative sui vertici Ue; avesse agito da statista anziché da attivista dell'opposizione sarebbe stata meglio accolta a Bruxelles, dove leggono i nostri media.
Parigi contro
In Francia la vittoria della destra è probabile, improbabile che resista Macron. Nessuno dei due scenari pare propizio a un'Italia che, anziché stare sugli spalti, scende in campo a fianco della destra.
Il voto di Francia e Germania allarma i mercati; la Bce non si impegna a tagliare i tassi, non sarà indulgente coi sovranisti. Dopo le europee i corsi dei titoli sono scesi, e saliti i rendimenti, perché gli investitori vendono, spaventati dalle promesse pre-elettorali della destra; per analogia puniscono anche noi.
Il nostro spread col Bund tedesco è intorno a 150 punti, a inizio giugno era a 125. Ora pagheremo interessi più alti sul debito, chi ha in tasca titoli emessi a rendimenti inferiori, li vede svalutati; se li vende perde soldi. Pessima notizia per le mansuete greggi, spinte sui verdi pascoli dei Btp che ora calano di valore; come le formiche nel loro piccolo, anche le miti pecore si arrabbiano.
I danni sui nostri conti sarebbero, nell'immediato, minori se il “cordone sanitario” sbarrasse ancora una volta a Le Pen la via del governo. In tal caso, però, si immagini come Parigi accoglierà le nostre richieste, non solo sulle nomine della Ue, che ora avvia la procedura per deficit eccessivo di vari Stati fa cui Francia e Italia; non partirà bene il lungo confronto sull'attuazione dei piani, da concordare con la nuova Commissione. Per spendere 20 miliardi su cuneo e sgravi Irpef anche nel 2025, a Meloni ne serviranno 30. Il governo deve chiarire subito la rotta, per placare i mercati. Dietro il motto “via le mani dalle tasche degli italiani”, li si tassa nel modo più sciocco, cui non corrispondono spese utili. Meloni non tifa per l'interesse “nazionale”, se non lo sa è peggio. Perdono Stato e risparmiatori, guadagnano solo i cattivi speculatori, contro le cui mani adunche aspettiamoci aspre campagne mediatiche.
Contro l’Europa
Per Meloni la Ue è una controparte con cui negozia caso per caso, non un'istituzione alla cui nascita la Repubblica, risorta dalla guerra fascista, ha partecipato; accusa la Ue di normare la cottura degli insetti trascurando politica estera e difesa, ma l'integrazione è bloccata in primis da lei e compagni dell'Est.
Per far regredire la Ue alla loro amata Europa delle nazioni, Meloni e sovranisti vari non devono letteralmente far nulla; gli basta impedire, col diritto di veto, qualsiasi avanzamento. Se la Ue diviene irrilevante, hanno vinto. Non l'aiuterà l'altro suo alleato, il premier inglese Rishi Sunak, fautore della Brexit, l'anatra più zoppa del G7.
Incoraggia però il voto delle nuove generazioni, che han girato l'Europa coi programmi Erasmus; non ne concepiscono una diversa dalla sola che hanno avuto la fortuna di conoscere. Sarà forse per merito loro se la democrazia farà quanto previde Churchill, quando cercava di convincere Roosevelt a entrare in guerra: come gli Usa, la democrazia farà la cosa giusta, ma solo dopo aver esaurito tutte le alternative disponibili. Sperando che allora non sia tardi.
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