Sinistra e sindacato non sanno come rispondere a Stellantis che investe sempre meno sullo storico impianto torinese. Le idee non mancano, ma è difficile dialogare con una proprietà distante dalla città dove tutto è cominciato. Sullo sfondo le incognite della transizione ecologica che cambia il modo di produrre e richiede meno manodopera
Pasquale Loiacono era un operaio, delegato Cgil Fiom a Mirafiori, reparto carrozzerie: è morto ad appena 59 anni, dopo decenni di turni, cortei e lotte, a un passo dalla pensione.
Per lui, martedì 20 febbraio la Fiom Cgil Torino ha allestito la camera ardente nella sala conferenze della Camera del Lavoro. Un momento fuori dal tempo. Loiacono ha ricevuto un vero funerale comunista: tra le lacrime delle centinaia di “compagne e compagni”, alcuni pugni chiusi alzati mentre suonava l'Internazionale dei lavoratori.
Dopo tre giorni, sempre in quella sala, si è tenuto un convegno di varie sigle Cgil dal titolo “L'Industria NON è finita: Torino e la giusta transizione, tra inclusione, qualità del lavoro, sostenibilità: una storia possibile”.
Titolo sfortunato, quanto meno nella prima parte: quella negazione a caratteri maiuscoli suona come una sentenza. L'incontro è stato promosso dall’ex capo nazionale della Fiom Giorgio Airaudo, oggi segretario della Cgil Piemonte, un uomo che ha scandito il tempo recente di Mirafiori con manovre a volte di pace, altre di guerra aperta, altre ancora d'attesa. Sempre spericolate.
La mossa per salvare la fabbrica dal fallimento nel 2006 architettata con l'allora sindaco Sergio Chiamparino e l'appena arrivato Sergio Marchionne – le istituzioni locali comprarono un pezzo di Mirafiori poi denominato TNE – poi il referendum del 2011 che spaccò a metà la Fiat, perso per un soffio su posizioni ultra conflittuali, poi altro referendum alla Bertone-Maserati con idee opposte, e quindi filo Fiat, pur di avere una nuova produzione di alta gamma, disseccata dopo pochi anni.
Un mondo sotto assedio
La Cgil convenuta a Torino il 23 febbraio - i vertici di Fiom (metalmeccanici), Fillea (edili), Filctem (servizi sanitari), non presenti i trasporti - erano i rinforzi in arrivo da mondi lontani per un mondo, quello dell'auto, che a Torino e in Italia è sotto assedio.
L'incontro è stato, esattamente come la solenne commemorazione del delegato Fiom Pasquale Loiacono, un momento tipicamente di sinistra Novecentesca: è stata ribadita e scandita da tutti gli intervenuti l'assoluta bontà e ineluttabilità della transizione ecologica.
A blindare l'analisi sindacale c'erano gli interventi dei Friday for Future, Edoardo di Stefano, e del Kyoto Club, nella persona di Beppe Gamba già assessore provinciale all'ambiente.
Una risposta alla sirena conservatrice in arrivo dalla Lega di Matteo Salvini che suona forte nelle fabbriche e vede nella transizione ecologica una voragine di lavoro: idee che, come molte altre prima e da vari anni, vengono ascoltate e, bisogna dirlo, ben accolte da una classe operaia indispettita dal costo delle nuove auto elettriche che tagliano i volumi produttivi, nonché dalla componentistica necessaria alla costruzione di un autoveicolo elettrico, fortemente ridotta.
Gli operai, quindi, vedono che la nuova Lancia Y costa quasi 40.000 euro e per produrla servono pochi pezzi. Soprattutto notano che oggi, per la prima volta nella storia, Mirafiori non ha in produzione auto col motore termico mentre l'elettrico, la Fiat 500, è l'ossigeno appena sufficiente prima dell'ipossia.
A questi fatti sono state date più risposte: la giga factory per le batterie, l'industria del riciclo completo dell'auto e altre prospettive che potrebbero salvare la manifattura torinese, e non solo, se planassero proprio a Mirafiori.
Rimane però, dalle parole dello stesso Airaudo, un vulnus che suona così: «Il costo della transizione non deve essere pagato dai lavoratori», ammissione nemmeno troppo implicita che in tutte le costruzioni ideologiche esistono dei lati che non si incastrano perfettamente nella meccanica determinista.
Se non lo devono pagare i lavoratori chi deve farlo? In altri tempi si sarebbe parlato dei padroni, degli Agnelli, di Cesare Romiti forse.
Oggi si chiama in causa Carlos Tavares, l’amministratore delegato di Stellantis. La sala si spella le mani quando viene ricordato che il compenso di questo manager equivale a quello di centinaia di operai. Ci sarebbero poi gli Elkann, ma sono scomparsi: villa Frescot - la magione collinare da cui l'Avvocato amava osservare la sua Torino notturna stanca e con le luci spente, andata a letto presto perché doveva alzarsi presto per andare a lavorare nelle sue fabbriche - è in vendita. E lo stabilimento Maserati di corso Allamano, è finito su “immobiliare.it” come fosse un appartamento.
La proprietà, quindi, è elemento impalpabile e, al massimo, quando si riesce a strappare un “tavolo” chi si siede a rappresentare tale parte mette subito in chiaro che «non ho ricevuto mandato a trattare». Peggio, di solito non chiedono convintamente nulla: tacciono, sfingi del capitalismo globale. Ascoltano, magari rassicurano vagamente, e se ne vanno.
La politica distante
Rimane la politica, quella amica del Partito Democratico che esprime il sindaco: ma Stefano Lo Russo al convegno Cgil non è venuto e ha mandato l'assessora Gianna Pentenero che ha tentato di salvarsi a suon di «bisogna» e «si deve» mentre la sala rumoreggiava. L'hanno comunque applaudita perché ha fatto ben capire la difficoltà ad avere relazioni con un mondo, da quanto ha raccontato, volgare e hobbesiano.
L'amministrazione comunale attuale ha la testa tesa verso la valorizzazione delle rendite ambulanti che prendono il nome di turisti, unita ad una battaglia senza quartiere per avere peso dentro le fondazioni bancarie, che un tempo erano esse stesse espressione degli Agnelli, si pensi al ruolo apicale a lungo svolto in Compagnia di San Paolo da Franzo Grande Stevens, l’avvocato dell’Avvocato.
Quindi la politica locale, compresa la Regione governata dalla destra, anch'essa naviga nel vuoto, senza un reale interlocutore, senza potere, forse anche stufa di pietire e convinta che quando la fabbrica delle fabbriche sarà chiusa allora finalmente Torino avrà un nuovo inizio.È un'idea antica questa ormai, ha quasi quaranta anni, la città del tempo libero che però senza il lavoro operaio fino ad ora ha arrancato.
Rimane il governo. «Giorgia Meloni deve convocare immediatamente Tavares e chiedergli quali sono le sue intenzioni», ha scandito Airaudo tra scroscianti applausi degli astanti. Il governo rimane e rimarrà un avversario da combattere implacabilmente per questa platea. Che Tavares risponda a Meloni diversamente da come ha fatto fino ad ora con altri interlocutori meno “potenti” è però assai dubbio.
Progetti e soluzioni
Al convegno Cgil sulla “NON fine dell'industria” la pars costruens è succosa e ben argomentata. Mancano però le leve da azionare affinché Stellantis decida che Torino e l'Italia debbano essere il perno intorno al quale far nascere la nuova industria del paese. Non si parla mai di conflitto sociale – Michele de Palma segretario Fiom Cgil su questo è molto critico, ma la linea è data - e anzi vi è grande disponibilità ad essere elemento di pressione affinché lo Stato, cioè il governo, sostenga tale processo. Si parla infatti diffusamente e con orgoglio di “pianificazione”, parola che si credeva espunta dal lessico economico. In passato funzionò: azienda e sindacato dalla stessa parte per avere investimenti pubblici.
Concretamente, tale “pianificazione” potrebbe portare la fabbrica del riciclo delle auto: la normativa europea prevede che gli autoveicoli a fine vita dal 2035 debbano essere interamente riciclati laddove vengono prodotti. Da tale polo di produzione e riciclo si potrebbe creare una piattaforma industriale che coinvolga il settore edile, metallurgico ed energetico, ad esempio.
Le idee, appunto, non mancano. Manca, però, chi le dovrebbe ascoltare. Stellantis pensa all'Algeria come nuova piattaforma della produzione automobilistica europea, mentre per Mirafiori negli ultimi giorni si parla di produzione di auto cinesi elettriche.
«Con una produzione inferiore a 200.000 auto a Mirafiori non conviene nemmeno accendere la luce», queste le parole pronunciate molti anni fa da Umberto Agnelli, che Airaudo ricorda come monito finale.
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