Come un sorprendente fiume carsico che scompare all'improvviso inghiottito dal terreno per ricomparire da un'altra parte più irruento di prima, il ponte sullo Stretto di Messina appare e scompare a seconda delle stagioni e delle variabilità della politica. Sei anni fa fu fatto sparire dal governo di Mario Monti, ma ora, complice la pandemia e la necessità di rilanciare in modo energico l'economia con un piano ambizioso che è il Recovery fund, il Ponte risorge come opera fondamentale. Inevitabilmente, però, questa decisione riaccende le infinite polemiche che accompagnano l'opera da decenni, almeno fin dal lontano 1992, per restare alla contemporaneità, quando la società costituita ad hoc, la Stretto di Messina Spa, presentò al mondo il progetto definitivo di un ponte sospeso con più campate tra Reggio Calabria e la Sicilia lungo tre chilometri e 300 metri.

L’aggravante

Rispetto ad allora oggi c'è un'aggravante: la ripartenza del Ponte è contemplata nella relazione finale sul Recovery in un modo che, è facile prevederlo, quasi sicuramente innescherà nuovi focolai di scontro. Il testo è ambiguo sotto due aspetti, uno metodologico e l'altro più fattuale. Elencando i criteri di valutazione negativa, tali da determinare la bocciatura dei piani da esaminare, la relazione fa riferimento ai «progetti “storici” che hanno noti problemi di attuazione di difficile soluzione nel medio termine, pur avendo già avuto disponibilità di fondi». Il ponte sullo Stretto rientra a pieno in questa fattispecie se si pensa alla storia travagliata di stop and go che lo ha accompagnato per decenni, tipo la pittoresca e allo stesso tempo autorevole bocciatura dell'urbanista Alessandro Bianchi, ministro delle Infrastrutture del governo di Romano Prodi che nel 2006 uscendo dal Quirinale dopo il giuramento di rito, davanti ai giornalisti di giuramento ne fece un altro: «Giuro che il Ponte sullo Stretto non si farà mai».

L’intervento di Monti

Sette anni dopo il capo del governo di allora, Monti, credette di mettere la pietra tombale su tutta la faccenda chiudendo la società Ponte sullo Stretto e avviando una liquidazione che fu affidata a un commissario, Vincenzo Fortunato. La procedura non è ancora conclusa ed essa si porta dietro un contenzioso con il gruppo di imprese Eurolink che avrebbe dovuto costruire l'opera, guidato da Impregilo oggi controllata da Webuild-Gruppo Salini. Eurolink pretende di essere risarcito con 800 milioni di euro: due anni fa il Tribunale civile di Roma respinse in primo grado le richieste di Eurolink che però ha presentato un appello che è stato rinviato a novembre prossimo causa Covid.

Anche dal punto di vista fattuale la relazione sul Recovery ingenera ambiguità. Essa specifica che bisogna «garantire l’infrastruttura stabile e veloce dello Stretto di Messina, mediante la realizzazione di opere adeguate e mezzi idonei e sostenibili, in modo da porre definitivamente fine all’isolamento della rete dei trasporti siciliani da quella del resto del Paese estendendo, così, l’alta velocità fino a Palermo e Siracusa». Non precisa, però, se questa infrastruttura è proprio il Ponte e non dice quali sono le «opere adeguate». Una vaghezza che apre il campo a possibili soluzioni di altro tipo con annesso moltiplicatore di polemiche e sanguinose battaglie di lobby.

Tre alternative

In circolazione ci sono almeno tre alternative infrastrutturali al Ponte. C'è la variante costituita da un altro tipo di ponte, sorretto non da più piloni, ma da un solo pilone centrale. E poi ci sono le due soluzione sottomarine: la cosiddetta galleria subalvea, un enorme cilindro scavato sotto il fondale dello Stretto e infine il tunnel, un gigantesco tubo flottante a mezz'acqua ancorato sul fondale. Di recente quest’ultima soluzione va per la maggiore, almeno in una parte politica, i 5 Stelle. I quali hanno costruito la loro identità anche sulla guerra al Ponte sullo Stretto, combattuto come un mostro al pari dell'Alta velocità Torino-Lione. Il tunnel potrebbe essere la soluzione di compromesso che consente ai 5 Stelle di tenere insieme capra e cavoli, di conservare il veto ideologico e di facciata sul Ponte venendo nello stesso tempo a patti con le esigenze di governo e la necessità di non poter dire sempre No. Il massimo rappresentante di questa linea è il vice ministro ai Trasporti e alle Infrastrutture 5 Stelle Giancarlo Cancelleri che da siciliano di Caltanissetta è particolarmente preso dalla faccenda. Da settimane Cancelleri insiste sul tunnel come la migliore soluzione possibile.

 

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