- Il vicepresidente di Confindustria, Stirpe, si tira indietro sul patto sociale e dà la colpa a una parte del sindacato che preferisce «gli incontri col governo».
- Quella che sembra una pietra tombale sull’ipotesi avanzata da Draghi, arriva nel giorno dello scontro tra il segretario della Cisl, Luigi Sbarra, e il ministro del lavoro, Andrea Orlando.
- Solo 24 ore prima il presidente di Confindustria Bonomi aveva criticato la litigiosità de i partiti per «non capire il momento».
Confindustria si tira indietro, per poi precisare di non essersi tirata indietro. Dopo aver ripetutamente osannato il primo ministro Mario Draghi alla propria assemblea, durante la quale il premier aveva chiesto pubblicamente alle parti sociali di impegnarsi in «un patto per l’Italia» – chiamatela se volete «prospettiva economica condivisa», aveva detto Draghi – oggi il vicepresidente dell’organizzazione degli industriali, Mario Stirpe, è sembrato mettere una pietra tombale sull’ipotesi di un accordo coi sindacati: «Non ci sono le condizioni», ha spiegato durante il convegno dei giovani imprenditori.
La colpa, secondo il vicepresidente della organizzazione degli industriali, è di «una parte del sindacato» che «preferisce avere un dialogo diretto con il governo, fare accordi e poi farli cadere sulla testa delle imprese». A queste condizioni, ha proseguito il numero due di Bonomi: «Ho detto a Carlo che un patto così preferisco farlo saltare. Sarebbe un “non patto”».
Lo scontro tra governo e sindacati
Il dietrofront degli industriali avviene, ironicamente, nel giorno in cui il palco del convegno dei giovani imprenditori si è trasformato in un botta e risposta tra il leader della Cisl, Luigi Sbarra, e il ministro meno amato da Confindustria, Andrea Orlando.
Sbarra ha criticato il governo per le scelte sulle pensioni «inaccettabili», ha accusato l’esecutivo di non voler dialogare e ha, invece citato più volte lo “slogan” di Draghi sul patto sociale: «Questo», ha detto, «è l momento di lanciare, insieme, un messaggio di fiducia e di speranza attraverso una grande Alleanza tra lavoro e Impresa sui temi delle nuove politiche industriali, degli investimenti in ricerca, innovazione, formazione delle nuove competenze, allargare il perimetro di un fronte sociale per le riforme economiche che incalzi e accompagni il Governo nella “giusta transizione”».
Tanto che è stato il ministro Orlando, impegnato a difendere l’esecutivo, a sottolineare «le distanze che ci sono tra le parti sociali».
Orlando ha detto che sul piano di ripresa e resilienza si può utilizzare un metodo di «dialogo sociale», da replicare in tutti gli ambiti. E parole molto simili sono state pronunciate anche dal segretario della Cgil, Maurizio Landini. Il Pnrr, ha detto Landini, «è una occasione storica» in cui serve «il coinvolgimento di tutti a partire dalle parti sociali».
In queste definizioni, però, le ambizioni sembrano essersi molto ridotte rispetto all’enfasi con cui nelle scorse settimane si invocava l’intesa sottoscritta nel 1993 durante il governo di Carlo Azeglio Ciampi, paragonandola al momento attuale.
Stirpe, che in serata si è affrettato a argomentare, puntualizzare, precisare le sue dichiarazioni, ha detto che il problema è proprio questo: non sono gli industriali che non vogliono il patto, ma una «parte del sindacato pensa che, in pratica, questo patto non abbia i caratteri della necessità» e preferisce «gli incontri con il governo».
«Sembrano non avere il quadro d’insieme»
Il metodo che propone Confindustria è diverso: «Il patto che intendiamo noi è sedersi e discutere sui temi di grande attualità che riguardano il mondo del lavoro, provare a fare una sintesi da sottoporre al governo», che poi possa essere tradotta in legge.
Appena ieri, il presidente degli industriali, Carlo Bonomi, in una intervista rilasciata al Corriere, aveva strigliato i partiti perché incapaci di guardare alla fase che il paese sta vivendo: «Sembrano non avere il quadro d’insieme. Preferiscono scommettere su dividendi elettorali a breve. Ci hanno sempre raccontato che noi le riforme non le potevamo fare perché non avevamo le risorse. Ma oggi le risorse ci sono, quindi non ci sono più scuse».
Tutto vero. Ma dopo una uscita così scomposta e una incapacità di dialogo così evidente, quelle parole potrebbero essere estese, forse con l’accortezza, nel caso di Confindustria, di sostituire i dividendi elettorali con i dividendi tout court.
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