La Ue si dia un livello uniforme di tassazione minima, e neghi la protezione delle proprie Corti di giustizia a chi sfugge agli obblighi verso gli stati membri
I ricchi e le grandi imprese contribuiscano di più alla spesa pubblica su cui poggia la convivenza civile, ha scritto su Domani, domenica 10 marzo, Francesco Saraceno. Il bisogno è particolarmente acuto per pensioni, sanità, istruzione ma anche giustizia e sicurezza, esterna e interna, devono progredire al livello delle democrazie liberali.
Se si allarga lo sguardo a transizione ambientale e difesa comune, la spesa cresce a dismisura, chiamando in causa anche la Ue e, per i grandi beni comuni come aria e acqua, il mondo intero. Le nostre democrazie non potranno sostenerle senza una grande “rivoluzione fiscale”, ma col governo attuale a Roma «non è aria», copyright del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti; abbiamo le riformette dettate dai commercialisti.
Meno società più individui
Proviamo a darci la prospettiva che a quelle manca. Dal 1951 al 1963 il tasso marginale d’imposta negli Usa era il 91 per cento; è sceso al 50 per cento solo nel 1982, quando la spinta di Ronald Reagan e Margaret Thatcher ha cambiato tutto.
Si è diffusa l’idea che il governo non era la soluzione ma il problema; non esisteva la società, solo individui. Meno tasse voleva dire più ricchezza privata, di cui avrebbero beneficiato anche i poveri, grazie al trickle down, al suo “sgocciolamento”. La base teorica era la truffaldina “Curva di Lafferty”, secondo la quale più cala l’imposta marginale, più incassa lo stato.
Non ci credeva neanche chi la propugnava, ma faceva comodo e lo slogan suonava bene. Ora anche i ciechi lo vedono; i suoi effetti si sono dimostrati anche peggiori di quanto si pensava. La compressione della spesa sociale che ne deriva ormai minaccia la stessa democrazia liberale.
Anche l’Italia s’è applicata al tema; abolendo l’Imu sulla prima casa, Silvio Berlusconi ha distrutto, con la capacità di spesa dei comuni, i loro servizi. Sulle macerie cui ha ridotto parte dello stato sociale oggi il populismo festeggia, al motto “via le mani dalle tasche degli italiani”.
I consumi dei ricchi
Non è però legge di natura che i ricchi sfuggano per lo più al finanziamento di uno stato della cui protezione largamente profittano, dalla giustizia, alla sicurezza, all’istruzione, alla sanità pubblica. I paradisi fiscali poi, fin dentro la Ue, offrono scappatoie riservate a chi dispone di larghi mezzi; da tali delizie è esclusa la classe media, e la piccola impresa, che rimedia con mezzi casalinghi. Ne soffre anche la concorrenza.
Ogni tanto qualcuno vorrebbe sostituire alle imposte su redditi e patrimoni quelle sui soli consumi, da cui non si potrebbe sfuggire. Peccato che i ricchi consumino molto meno, in proporzione, delle classi medie, e spesso travestano le spese da investimenti.
Speriamo negli accordi Ocse sui livelli minimi di tassazione, ma si deve fare molto di più, come scrive Saraceno. Egli cita l’economista francese Gabriel Zucman, che in un discorso al G20 propone una tassa minima sulle imprese pari al 2 per cento del patrimonio, per togliere spazio ai noti trucchi contabili sui redditi. Il patrimonio dovrebbe però aumentare per tener conto dei beni intangibili come i marchi, cui oggi si devono i profitti delle grandi imprese Usa della tecnologia.
Una democrazia liberale è compatibile solo con un certo grado di disuguaglianza, oltre cui il livello di convivenza sociale scende tanto che sulle istituzioni s’abbatte la furia di chi paga anche per i ricchi; meno male che si sfoga votando! Se ne può uscire solo con grandi accordi internazionali, come nella “tattica del fuorigioco”.
Lo fa l’accordo Ocse, che però fatica a superare gli ostacoli del Congresso Usa. La Ue, minacciata nelle istituzioni dal populismo, deve usare la forza derivante dall’essere un grande spazio politico ed economico soggetto a regole comuni; si dia un livello uniforme di tassazione minima, e neghi la protezione delle proprie Corti di giustizia a chi sfugge agli obblighi verso gli stati membri.
Per cominciare, imponga davvero a tutte le imprese, che godono di quella preziosa protezione, di riportare in bilancio le imposte pagate a ogni stato membro. Ne vedremo delle belle!
© Riproduzione riservata