La principale novità delle regole fiscali Ue è la possibilità di differenziare per singoli paesi, tenendo conto delle loro specificità, sulla base di un programma a medio termine concordato con la Commissione. Ma il documento italiano presenta una carenza di informazioni anche peggiore di quella del passato
Il Piano strutturale di bilancio appena presentato dal governo, il nuovo documento fondamentale della finanza pubblica, costituisce la prima applicazione delle regole fiscali della Ue approvate la scorsa primavera. La principale novità è la possibilità di differenziare le regole per i singoli paesi, tenendo conto delle loro specificità, sulla base di un programma a medio termine concordato tra paese e Commissione europea.
Si tratta di un progresso rispetto al passato, quando ci si basava su regole uniformi con, di fatto, un orizzonte annuale. Per l’Italia, dove la finanza pubblica è sempre stata gestita navigando a vista, impegnarsi a rispettare un piano di medio termine vincolante è una sfida non banale. Purtroppo, però, il documento appena pubblicato presenta una carenza di informazioni anche peggiore di quella del passato. Insomma, per ora del piano c’è solo l’indice. Il tema, per i prossimi tre anni, è ancora da svolgere. Vediamo perché.
Il piano presentato arriva al 2029 (con un’estensione al 2031) ma di fatto sarà effettivamente vincolante fino al termine di questa legislatura, quindi solo per il triennio 2025-2027. Le nuove regole prevedono infatti che al cambio di governo si possa aggiornare il piano.
Il documento è ponderoso (oltre 200 pagine) e molto complesso. Da una prima lettura si può concludere che uno degli obiettivi della proposta iniziale di riforma della Commissione poi modificata nel testo finale approvato – semplificare e rendere più trasparente il quadro delle regole – non sia stato raggiunto.
Senza entrare comunque negli aspetti tecnici, concentriamo l’attenzione sulla sostanza del piano. Gli obiettivi sul disavanzo sono ambiziosi: dal 7,2 per cento del Pil nel 2023, già in discesa al 3,8 per cento di quest’anno, si andrebbe sotto la soglia del 3 per cento già nel 2026, per scendere al 2,6 per cento nel 2027 (consentendo così l’uscita dell’Italia dalla procedura per disavanzo eccessivo) e all’1,8 per cento nel 2029. Una correzione di quasi un punto l’anno.
Corrispondentemente, in tutto il periodo il saldo primario, che nel 2023 era ancora fortemente negativo, mostrerebbe un surplus (entrate maggiori della spesa al netto degli interessi) crescente in tutto il periodo. Uno sforzo così importante non sarebbe comunque sufficiente a garantire una discesa significativa del rapporto tra debito e Pil che, anzi, fino al 2027 crescerebbe per poi mettersi su un sentiero di diminuzione negli anni successivi, ritornando nel 2029 al livello del 2023, a sua volta simile a quello pre pandemia del 2019 (grazie alla revisione Istat dei dati di contabilità nazionale che ha rivisto al rialzo di 43 miliardi il Pil 2023).
Di fatto alla fine del periodo avremmo un rapporto tra debito e Pil in linea con quello di dieci anni prima. Sulla dinamica del debito pesa l’effetto delle spese legate al Superbonus, registrate per competenza nel disavanzo (nel 2021-2023) e per cassa nel debito (spalmate sui prossimi anni). Il quadro di obiettivi di medio termine è, in ogni caso, in linea con le nuove regole. Come peraltro documenti di questo tipo hanno sempre mostrato in passato. La novità è che, come dicevamo, almeno fino al 2027, questa volta si tratta di obiettivi vincolanti.
Domande senza risposta
La domanda è su quali voci di entrata e di spesa il governo intende intervenire per raggiungere tali obiettivi. L’approccio che si è sempre seguito per rispondere a una domanda di questo tipo è partire dall’andamento tendenziale, a legislazione vigente, delle voci di bilancio per valutare la dimensione della correzione necessaria per raggiungere gli obiettivi.
In questo caso, la tendenza a legislazione vigente è migliore degli obiettivi. C’è, in altre parole, uno spazio fiscale per nuove spese o tagli di imposte. Guardando al saldo, nel 2027 lo spazio è di oltre un punto di Pil (circa 24 miliardi). Tuttavia, lo spazio è in buona parte fittizio: dipende dal fatto che misure importanti introdotte nella scorsa legge di Bilancio valevano solo per un anno.
Nel piano si ribadisce l’intenzione di rifinanziare le misure in scadenza (cuneo fiscale, Irpef, contratti dei pubblici dipendenti, missioni di pace). Inoltre si vuole (giustamente) aumentare la spesa sanitaria e reperire nuove risorse per gli investimenti.
L’insieme di questi interventi aggiuntivi, si afferma, andrebbe oltre lo spazio fiscale di cui sopra. Quindi, «nella manovra di bilancio saranno necessarie misure ulteriori in termini di minori spese o di maggiori entrate». Niente di più: nessuna indicazione né sulla dimensione del fabbisogno aggiuntivo né sulle modalità di copertura.
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