- Gli uffici tecnici del sindacato guidato da Pierpaolo Bombardieri da tempo stanno studiando conseguenze e opportunità dei cambiamenti imposti dalla crisi climatica e abbracciati dall’Ue.
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«É da tempo che sosteniamo che il Fondo europeo di transizione giusta (Just Transition Fund) per mitigare gli effetti della transizione è largamente insufficiente. Sono stati stanziati 17 miliardi, di cui soltanto 900 milioni saranno destinati all'Italia», dice Bombardieri
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«Questa è la domanda che poniamo alle istituzioni: chi pagherà i costi della transizione?» – spiega – «I cittadini, i lavoratori oppure le aziende e le multinazionali che spesso, fra l'altro, hanno deliberatamente inquinato negli ultimi decenni, senza mai pagare il conto?».
«La transizione climatica, accompagnata dalla transizione tecnologica cambierà sia i modelli produttivi sia l'organizzazione del lavoro». Il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri ha una posizione estremamente avanzata per quanto riguarda la transizione ecologica e le sue conseguenze. Gli uffici tecnici del sindacato da tempo stanno studiando conseguenze e opportunità dei cambiamenti imposti dalla crisi climatica e abbracciati dall’Ue. Non c’è nessuna incertezza o accenno di luddismo, come forse ci saremmo potuti aspettare da una grossa organizzazione sindacale che dovrà far fronte a scossoni che saranno sicuramente anche negativi sul fronte dell’occupazione.
È stata approvata lo scorso 14 febbraio dal Parlamento europeo la direttiva che fermerà la produzione di motori a combustione entro il 2035. Salvini ha dichiarato «è una follia», cosa ne pensate ?
La scelta è già stata fatta dalle multinazionali che si stanno attrezzando per il 2035, pensiamo piuttosto ad attrezzarci per riqualificare i lavoratori , per predisporre eventuali ammortizzatori sociali e per aiutare le aziende, in particolare quelle dell’indotto, che vogliono reinvestire e cambiare la loro produzione.
Chiediamo al governo di fare chiare scelte di politica industriale perché alcune scelte che l'Europa ha già fatto, ad esempio quello del divieto di produzione di motori a combustione entro il 2035, cambieranno tutto il settore dell'automotive in Italia.
È necessario che il nostro paese sia in grado di gestire questo cambiamento e non di subirlo. Vanno identificati gli asset strategici sui quali sviluppare le nostre industrie, per fare questo è necessario richiedere dei finanziamenti e fare delle scelte economiche. Lo chiediamo in primo luogo all’Europa. É da tempo che sosteniamo che il Fondo europeo di transizione giusta (Just Transition Fund) per mitigare gli effetti della transizione è largamente insufficiente.
Sono stati stanziati 17 miliardi, di cui soltanto 900 milioni saranno destinati all'Italia. É necessario che l'Europa, anche attraverso l’emissione di bond europei, introduca un nuovo programma Sure dedicato a mitigare gli effetti sociali della transizione. Non è una sfida che riguarda solo noi una sfida che riguarda la Polonia, la Francia e gli altri grandi paesi che saranno coinvolti da questi cambiamenti.
Chi dovrebbe pagare la transizione?
Questa è la domanda che poniamo alle istituzioni, chi pagherà i costi della transizione? i cittadini, i lavoratori oppure le aziende e le multinazionali che spesso, fra l'altro, hanno deliberatamente inquinato negli ultimi decenni, senza mai pagare il conto? In questo quadro europeo, in cui si sta tra l’altro parlando dell'istituzione di un fondo sovrano, l’Italia deve dire che cosa vuole. Vorremmo capire se il governo Meloni ha idee e piani industriali concreti.
Per quanto riguarda proprio il mondo dell'Industria, ma anche dei sindacati nelle sue strutture territoriali, c’è una certa resistenza alla transizione. L’Italia si è schierata per il posticipare l’abbandono della produzione di auto a combustione, come si convincono?
Le aziende, come si vede nel settore dell'automotive, hanno già fatto le scelte verso quella direzione, quindi se anche noi chiedessimo di spostare dal 2035 al 2040 l’abbandono del motore endotermico saremmo in ritardo, le grandi case automobilistiche, come possiamo vedere dalle pubblicità che vediamo in televisione, hanno già scelto questa strada.
Per salvaguardare l'occupazione e gestire la transizione senza subirla bisogna fare scelte chiare di politica industriale, di riqualificazione del personale, di intervento in formazione, avviando ai nuovi lavori gli operai che oggi rischiano di essere espulsi dal mercato del lavoro. Se nell'automotive abbiamo la mancanza dei chip, bisogna che il nostro paese investa o dia la possibilità alle nuove aziende di costituirsi per fabbricare microchip, come sta avvenendo in Francia e Germania, e dovremmo formare il personale per essere pronto ad entrare in queste aziende.
Ma a livello territoriale cosa sta succedendo?
Naturalmente c’è preoccupazione che riguarda il mantenimento del posto di lavoro, ma c'è la consapevolezza, che noi ripetiamo sempre nei nostri incontri e ci viene fornita dai dati scientifici, che la trasformazione del mondo del lavoro rischia di fare sì perdere alcuni milioni di posti di lavoro, ma anche di crearne 80 milioni di nuovi. Quindi si tratta soltanto di accompagnare i lavoratori e le lavoratrici alla loro nuova occupazione, con la tranquillità di un sostegno sociale e della formazione e riqualificazione necessaria. Non c'è una misura sola in grado di darci una soluzione, serve un mix di interventi finanziari, di politica industriale, di formazione, di sostegno al reddito per chi in questo periodo rischia di perdere il posto di lavoro: da ammortizzatori in grado di accompagnare i lavoratori alla pensione, di un reddito garantito per i lavoratori che devono fare riqualificazione. Penso che la nostra gente sia pronta ad accettare la sfida, ma ha bisogno di sicurezza e nell'ultimo periodo, purtroppo, questo non è un tema che abbiamo riscontrato spesso.
Come giudica invece la posizione di Confindustria che più volte ha chiesto un rallentamento?
Confindustria sa bene che noi siamo pronti ad affrontare l’argomento, ma, ad oggi, non c’è stato ancora alcun passo da parte dell’associazione datoriale. Se è vero, infatti, che le politiche di transizione devono essere definite a livello delle Istituzioni europee e nazionali, le prassi operative vanno declinate nei luoghi di lavoro: e lì, vale la contrattazione. Sarebbe utile un confronto complessivo con tutte le parti sociali.
Quali sono gli altri settori che rischiano di essere più colpiti dalla transizione verde?
Intanto quello dell’agro alimentare, ma le ricadute saranno con modalità, intensità e caratteristiche diverse, su tutti i settori da quello chimico a quello tessile. Paradossalmente anche il settore del lavoro pubblico perché la transizione energetica metterà in discussione l'utilizzo degli uffici, il risparmio energetico sarà uno degli elementi che cambieranno l'organizzazione del lavoro.
Come si sta muovendo su questo il governo?
Il governo si è insediato da poco e la prima manovra che ha fatto è una manovra molto simile a quella fatta dal governo Draghi, per esigenze soggettive dovute all’aumento del costo dei carburanti e alla guerra. Ancora non mi pare che ci siano scelte chiare per il futuro. La decisione di far diventare il nostro paese un hub del gas del Mediterraneo, è una scelta che noi condividiamo, ma non basta. Bisogna guardare al futuro e capire come intendiamo affrontare la transizione energetica della politica industriale. E poi si parla troppo poco della crisi dei lavoratori dipendenti e i pensionati, tra inflazione e aumento dei costi di energia. i lavoratori dipendenti e i pensionati hanno perso il 10% e l'11% del potere reale d’acquisto degli ultimi anni.
Come vi ponete di fronte a i movimenti ambientalisti come quello dei giovani dei Fridays for Future?
Ci poniamo in posizione di ascolto e sostegno. Hanno ragione a dire che è un problema che riguarda soprattutto loro, lo abbiamo condiviso in tante iniziative che abbiamo fatto con loro. Vorremmo che la politica, l'opinione pubblica e, come dicono loro, i potenti del mondo si accorgessero che questo è un tema da affrontare molto più velocemente di quanto si stia facendo.
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