La bomba contabile del Superbonus, per mesi colpevolmente sottovalutata dal Tesoro, finirà per scavare un buco ben maggiore di quanto previsto nei conti dello Stato
A fine agosto, nella prima riunione del Consiglio dei ministri al rientro dalle vacanze, Giorgia Meloni ha rivendicato con orgoglio le scelte del suo governo in materia economica, «premiate – ha detto – dai mercati finanziari». Neppure dieci giorni dopo, gli stessi investitori internazionali che secondo la premier apprezzano i risultati dell’esecutivo, guardano verso Roma con crescente preoccupazione.
La bomba contabile del Superbonus, per mesi colpevolmente sottovalutata dal Tesoro, finirà per scavare un buco ben maggiore di quanto previsto nei conti dello Stato.
L’obiettivo del 4,5 per cento nel rapporto tra deficit e Pil, fissato dal governo a primavera, quasi certamente verrà mancato, e non di poco. E sarà un’impresa anche arrampicarsi fino al 3,7 per cento, che è il livello di disavanzo programmato per l’anno prossimo.
A meno che Eurostat non corregga i criteri contabili dettati a febbraio per inserire gli oneri delle agevolazioni edilizie nel bilancio pubblico. Al momento però tutto tace a Bruxelles e quindi il Mef non può fare altro che prendere atto nei conti del 2023 dei costi imprevisti del Superbonus.
Il deficit
La correzione al rialzo del deficit finirà per avere un impatto sui mercati non tanto per i numeri, quanto per l’immagine che il governo proietta di sé all’esterno. Un governo che fatica sempre di più a tenere sotto controllo i conti e arriva all’appuntamento di ottobre con la manovra per il 2024 sempre più diviso al suo interno tra i vari partiti che lo sostengono. Qualche segnale di questo crescente pessimismo è già arrivato.
Lo spread, per esempio, resta ancora lontano dai valori di inizio anno, quando oscillava intorno a quota 200, ma nell’ultima settimana si è mosso in deciso rialzo (più 6 per cento) e ieri ha toccato il massimo dell’ultimo mese, vicino a 175. Tutto questo in una giornata di ribassi per le Borse, una giornata negativa in particolare per Milano (meno 1,54 per cento) dove sono state penalizzate soprattutto le banche, che risentono più di altri titoli delle previsioni negative sull’andamento del Pil nella seconda metà dell’anno.
L’intervento di Draghi
In prospettiva, è proprio il rallentamento della crescita a spiegare la crescente sfiducia dei mercati nei confronti dell’Italia. Anche in questo caso il traguardo dell’1 per cento fissato dal governo per il 2023 appare ormai fuori portata e appare difficile da centrare anche l’obiettivo dell’1,5 programmato per l’anno prossimo.
E se l’economia si muove al rallentatore, diventa problematico anche proseguire nella riduzione del rapporto tra debito e Pil che nelle tabelle governative dal 144,4 per cento del 2022 dovrebbe diminuire al 142,1 per cento del 2023 e al 140,4 per cento l’anno prossimo. Qui saranno decisivi, in negativo, gli oneri del Superbonus che faranno aumentare oltre ogni previsione il fabbisogno. Questo significa che Roma si presenta all’appuntamento con l’Europa per discutere il nuovo patto di stabilità in condizioni non proprio ottimali.
Su questo fronte, peraltro, ieri si è fatto sentire anche Mario Draghi che in un intervento pubblicato dall’Economist ha preso posizione contro il ritorno al vecchio Patto di stabilità, sospese durante la pandemia. Una posizione, quella dell’ex presidente del Consiglio e governatore della Bce, che sarà stata di certo molto apprezzata a Palazzo Chigi, che chiede da tempo regole nuove e meno stringenti.
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