Il governo ha annunciato un piano di privatizzazioni che punta a incassare almeno 20 miliardi in tre anni. Tra le ipotesi al vaglio c’è anche la vendita di una quota di Ferrovie dello Stato. Una scelta che pare inopportuna per alcuni solidi motivi. Molto meglio puntare sull’alienazione di servizi per cui esistono mercati concorrenziali e ridotti obiettivi sociali
La manovra appena approvata in Consiglio dei ministri presenta un quadro dei conti pubblici che lascia poco spazio all’ottimismo e il governo è costretto a fare cassa per tenere a freno un debito pubblico che di fatto, secondo le previsioni dell’esecutivo, resterà stabile nei prossimi due anni.
Per questo è stato annunciato un piano di vendite di attività di Stato che dovrebbe fruttare almeno 20 miliardi entro la fine del 2026. La fretta di reperire risorse non è però lo scenario più propizio a scelte delicate come sono le privatizzazioni. Per il settore dei trasporti sono stati citate recentemente le ferrovie, che costano alle casse pubbliche più di 10 miliardi all’anno.
I criteri dominanti per privatizzare con successo sono, in estrema sintesi, l’esistenza di mercati concorrenziali, le prospettive di innovazioni tecnologiche, e l’esistenza di regolatori pubblici efficaci che tutelino utenti e contribuenti, nel caso di obiettivi sociali, o di “monopoli naturali” come sono le infrastrutture, dove la concorrenza è difficile. Nei trasporti si sono avuti importanti fallimenti con l’ingresso di privati nel settore autostradale (alti costi per gli utenti, e gravi problemi di controllo della manutenzione), ma anche fallimenti della gestione pubblica di servizi, come nel caso di Alitalia.
Non sono mancati, tuttavia, anche i successi, forse meno noti: in particolare con l’apertura ai privati dei servizi ferroviari merci e soprattutto nell’Alta Velocità, con grandi benefici per gli utenti. Anche i servizi aerei e quelli di autobus di lunga distanza hanno visto la creazione di mercati concorrenziali. I successi fanno fatica ad essere colti dagli utenti, perché è difficile confrontarli con situazioni ipotetiche di monopolio (tipico è il caso dei servizi telefonici).
Ipotesi da sconsigliare
Ma vediamo l’ipotesi di privatizzazione sul tavolo: collocare in borsa una quota di minoranza della società Fsi (Ferrovie dello Stato italiane), oggi interamente pubblica. L’ipotesi sembra da sconsigliare: come detto, Fsi riceve dallo Stato per investimenti e servizi più di 10 miliardi all’anno, cioè più dei propri ricavi dagli utenti, ed è monopolista o “impresa dominante” in comparti essenziali.
Investitori privati richiederebbero giustamente livelli di rischio e di remunerazione ragionevoli, cioè garanzie non solo del mantenimento del livello attuale dei sussidi, ma anche dell’attuale grado di monopolio della società. Entrambi fattori essenziali per gli attuali profitti di Fsi.
E se lo Stato accettasse queste richieste in cambio dell’alienazione di una quota della società, si avrebbero due conseguenze negative: la spinta a non favorire in alcun modo le istanze europee di liberalizzazione (con danno per gli utenti e i contribuenti) e di fatto profitti garantiti ai privati pagati dallo Stato. Uno scambio tra soldi subito e futuri costi, tipico di privatizzazioni frettolose.
Casi di successo
La via da seguire è quella che ha già visto rilevanti successi nazionali e internazionali: alienare i servizi in cui il mercato già funziona bene, in Italia e in Europa, e che non presentano obiettivi sociali di rilievo. Questa scelta può dare benefici più estesi della semplice redditività finanziaria: infatti la presenza di un soggetto pubblico in un mercato concorrenziale lo altera profondamente.
Nei servizi di Alta velocità ed in quelli merci abbiamo un attore pubblico che non può fallire, è integrato verticalmente con l’infrastruttura ferroviaria (appartengono tutti e due allo Stato), e a cui la sua natura pubblica garantisce un costo del denaro inferiore ai suoi concorrenti.
C’è da considerare infine il settore dei servizi regionali. Qui le valenze sociali sono più rilevanti (la mobilità dei pendolari per ragioni di studio e di lavoro, per cui le tariffe sono fortemente sussidiate) e richiede una valutazione più attenta.
L’esempio della Germania, dove l’avvento di operatori privati con un sistema di gare ha ridotto i costi per l’erario a parità di servizi e di tariffe, può essere un ottimo esempio da seguire.
Infine, la crescita europea di contesti competitivi spinge alla creazione di attori che si muovano sempre più con logiche di mercato. Ci sono segnali di soggetti anche italiani che sembrano voler entrare nel trasporto passeggeri (Arena), e la recente acquisizione di Italo da parte del colosso Aponte – Msc fa pensare a un settore in rapida e positiva evoluzione.
Meglio agire cavalcando questa tendenza che tentare una battaglia protezionistica e perdente di retroguardia.
© Riproduzione riservata