- Sulle due sponde dell'Atlantico, in Europa e in America, il modo più efficace per definire i colossali profitti inanellati negli ultimi giorni dalle multinazionali del petrolio è: "oltraggiosi".
- Non una citazione da Greta Thunberg o Greenpeace ma della Casa Bianca. Nessun comparto a Wall Street ha guadagnato tanto come il petrolifero.
- Come è possibile che le major dell’oro nero facciano tanti soldi, in una fase tanto incerta, con l’economia globale in frenata?
Sulle due sponde dell'Atlantico, in Europa e in America, il modo più efficace per definire i colossali profitti inanellati negli ultimi giorni dalle multinazionali del petrolio è: "oltraggiosi". Non una citazione da Greta Thunberg o Greenpeace ma della Casa Bianca. Nessun comparto a Wall Street ha guadagnato tanto come il petrolifero.
Per Exxon Mobil l’utile è di 56 miliardi di dollari, nuovo massimo storico nell’industria occidentale. Chevron: profitti record a 36,5 miliardi. Anche la britannica Shell ha registrato gli utili più alti di sempre, 39,9 miliardi, più del doppio rispetto al 2021. Ma non c’era la pandemia prima, e la guerra in Ucraina poi? Come è possibile che le major dell’oro nero facciano tanti soldi, in una fase tanto incerta, con l’economia globale in frenata?
Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, consapevole che è terreno fertile – politicamente – attaccare le multinazionali del greggio, l’anno scorso disse: «Hanno raccolto la manna della guerra in Ucraina, Exxon Mobil ha fatto più soldi di Dio». Il portavoce della Casa Bianca, Abdullah Hasan, spiega meglio: «Scandaloso che Exxon abbia registrato il nuovo record di profitti tra le compagnie petrolifere occidentali mentre il popolo americano è stato costretto a pagare prezzi così alti alla pompa dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin». Già, la benzina: tema incandescente, come ben sa Giorgia Meloni.
Utili per quasi 200 miliardi
Per gli analisti di Refinitiv il piccolo gruppo di colossi che comprende Exxon Mobil, Chevron, BP, Shell e TotalEnergies registrerà per il 2022 utili complessivi di quasi 200 miliardi, infrangendo ogni precedente record nel comparto di cui fa parte Eni. Stando così le cose, ha ripreso vigore la richiesta di una forte tassazione degli extra profitti. L'Unione europea ha introdotto un’imposta del 33 per cento sugli utili in eccesso per le società dell’energia (Bruxelles però è stata trascinata in tribunale da Exxon, il balzello le costa 1,8 miliardi); la Gran Bretagna applica una tassa del 25 per cento; negli Stati Uniti solo il governatore dem della California, Gavin Newsom, sta valutando un provvedimento simile, visto in ogni caso con favore dalla Casa Bianca e dai democratici al Congresso.
«I maxi utili dei giganti dell’energia sono vergognosi, vanno denunciati», ha detto Alice Harrison, leader della campagna sui combustibili fossili presso Global Witness. «Gran parte di questo denaro viene fatto a spese di milioni di persone spinte in povertà per il costo alle stelle di gas e carburante».
Abdullah Hasan, il portavoce dello Studio Ovale, è d’accordo. «Gli ultimi rapporti sugli utili – ha detto – chiariscono che le compagnie petrolifere dispongono di tutto ciò di cui hanno bisogno, inclusi profitti record e migliaia di permessi inutilizzati ma approvati, per aumentare la produzione; scelgono invece di investire quei profitti per riempire le tasche di dirigenti e azionisti mentre i repubblicani inventano scuse su scuse per proteggersi da qualsiasi responsabilità».
Al Congresso, dialogo tra sordi. Perché i repubblicani (ai tempi di George Bush e dei texani al governo come Condoleeza Rice era più evidente) continuano a essere pesantemente finanziati dall’industria petrolifera e del gas. Biden vorrebbe che le multinazionali, ben sovvenzionate da miliardi di denaro federale, reinvestissero i profitti per aumentare la capacità produttiva e far scendere i prezzi. “No grazie”, rispondono le Big Oil, il diluvio inaspettato di soldi lo giriamo per premiare gli azionisti con maxi dividendi (Shell li ha aumentati del 15 per cento) e massicci buy back, cioè i programmi di riacquisto di azioni proprie. In termini macroeconomici, va notato che il prezzo del greggio Brent, punto di riferimento chiave per il petrolio, da giugno è sceso di circa un terzo, nel timore che il rallentamento dell’economia possa colpire la domanda.
La quotazione è oggi sugli 83 dollari al barile ma il consensus degli analisti prevede che i prezzi quest’anno potrebbero superare quota 100 dollari. In tale scenario un mega trend da non ignorare è che stiamo assistendo al film “Big Oil, The Return”. In pratica, la vendetta del settore petrolifero. Negli ultimi anni, con la domanda di greggio crollata a picco durante i lockdown, i giganti dell'energia avevano subito un'enorme pressione da parte di azionisti, attivisti del clima e ambientalisti affinché la maggior parte degli investimenti aziendali fosse dirottata sull’energia pulita. Oggi la spinta verso la riforma green delle major petrolifere ha perso completamente slancio.
La sconveniente verità, confermata da questa stagione di utili d’oro, è che i colossi del greggio hanno vinto su tutta la linea, il mercato e i consumatori come sonnambuli accettano ora l’evidenza che la crisi energetica dovrebbe eclissare la crisi climatica. Corollario: le multinazionali difenderanno con le unghie e coi denti il loro modello di business. Petrolio, gas e combustibili fossili sono qui per restare, sorry ragazzi di Fridays for Future e tutti coloro che lottano per contrastare i cambiamenti climatici.
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