Era il 2018, e il leader della Lega Matteo Salvini proclamava in un hotel di Mosca all’assemblea di Confindustria Russia che avrebbe potuto essere altrove, «e invece ci troviamo qui insieme, a ragionare di assurdità» dopo le sanzioni che l’Europa aveva imposto per l’annessione della Crimea. E aggiungeva: «Sono qui perché sono convinto che le sanzioni siano una follia economica, sociale e politica». Twittava di “danno enorme” e si poneva come punto di riferimento per Mosca. Il Documento di economia e finanza varato dopo i nuovi round di sanzioni ci spiega che non è così.

L’impatto

Le sanzioni degli anni passati alla Russia, si legge nel focus su “La recente evoluzione delle relazioni commerciali tra Italia e Russia”, hanno ridotto la presenza delle imprese italiane sul mercato per oltre 3 miliardi di vendite nel 2021 rispetto al 2013: meno 28,6 per cento, ma la verità è che sin da subito per l’Italia sono state poco rilevanti.

Dal Def infatti si evince che la Russia prima della conquista della Crimea pesava solo per il 2,8 per cento delle esportazioni. Nel 2021 siamo arrivati all’1,5 per cento.

Il vero colpo è stata la crisi economica. Nel 2009 L’import italiano di merci russe è crollato nel giro di tre anni (dai 20,2 ai 10,6 miliardi di euro del 2016), scendendo anche in termini di incidenza sul totale delle importazioni nazionali (dal 5,6 per cento al 2,9 per cento, per poi orbitare su valori poco superiori al 3 per cento negli anni successivi).

Il mercato russo è apparso sempre meno centrale per le imprese italiane, con una quota di assorbimento quasi dimezzata durante gli otto anni.

Da evidenziare come, nel 2021, i 17,6 miliardi di importazioni dalla Russia abbiano prodotto quasi 10 miliardi di disavanzo commerciale. L’ammontare di esportazioni dall’Italia è stato infatti pari ad «appena 7,7 miliardi di euro».

Le reali perdite

Tra i comparti manifatturieri, il sistema moda ha perso quasi un milione di euro di export durante gli ultimi otto anni, con una quota di importazioni dalla Russia sul totale delle vendite oltreconfine del settore più che dimezzata (dal 5,1 per cento al 2,5 per cento). Anche la meccanica e il mobilio sono stati colpiti dalle sanzioni (oltre 400 milioni di euro ciascuno), pur se con effetti differenziati in termini di quote (la meccanica è stata meno colpita).

Nel complesso, tutti i comparti manifatturieri italiani hanno sperimentato un contraccolpo, associando a una riduzione delle vendite un ridimensionamento del mercato russo rispetto agli altri mercati di destinazione. Unica eccezione è data dall’alimentare e dalle bevande, dove alla crescita dell’export in valore (24 milioni di euro) ha corrisposto una riduzione della quota di import (dal 2,2 per cento all’1,4 per cento).

Centinaio e Fontana

Il 22 febbraio il vice di Salvini, Lorenzo Fontana, prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, diceva al Foglio che con le nuove sanzioni «occorre però, da parte del nostro governo, molta attenzione affinché queste non diventino un boomerang per la nostra economia, come accaduto in passato, piuttosto che un problema per la Russia».

Il sottosegretario all’Agricoltura leghista Gian Marco Centinaio si è detto preoccupato per il «vino in particolare. Ci sono milioni di bottiglie ordinate dalla Russia». Le «Aziende italiane che hanno stipulato contratti e ora quelle bottiglie sono ferme nelle cantine», spiegava l’esponente leghista. «Parliamo di 600 milioni di euro di esportazioni. Una minima parte deve essere ristorata». Invece gli oligarchi sanzionati, diceva il 10 marzo alla Stampa, «non moriranno di fame, saranno i produttori italiani a pagare».

A livello settoriale, però, le sanzioni in risposta alla crisi in Crimea del 2014 hanno inciso soprattutto sull’import di petrolio greggio (-3,7 miliardi di euro) e di prodotti petroliferi raffinati (-2,2 miliardi) e dunque la risposta è definitiva: hanno fatto più male alla Russia che all’Italia.

Il gas

L’ultimo elemento ribadito dal Def, sono i miliardi che l’Italia continua a pagare alla Russia, e spicca ancora una volta il caso del gas naturale, settore non sanzionato il cui destino pesa sia sulle tasche di Mosca sia sulle aziende e i consumatori.

L’Italia, così come stigmatizzato dal presidente del Consiglio Mario Draghi, nonostante la Crimea, ha aumentato il proprio approvvigionamento dalla Russia (più 1,5 miliardi di euro tra il 2013 e il 2021, un incremento del 19,7 per cento), in presenza di un analogo aumento della dipendenza relativa (dal 37,1 per cento al 46,6 per cento).

Nel 2021 le importazioni di gas naturale dalla Russia sono aumentate di oltre 3 miliardi di euro rispetto al 2019 (5,3 rispetto al 2020, anno caratterizzato da un brusco rallentamento del commercio internazionale per via della crisi pandemica), quasi interamente da associare all’ultimo trimestre (+2,9 miliardi di euro). Su questo si basa l’interdipendenza tra Italia e Russia.

Il 26 febbraio, quando ancora si parlava solo di sanzioni finanziarie, Matteo Salvini ha dettato la linea: «Bisogna valutare tutto fino in fondo, perché se impedisci pagamenti tra banche noi non abbiamo più il gas». Il capogruppo della Lega Riccardo Molinari ha detto fino a oggi che sul metano «è bene non mettere sanzioni».

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