- Il ponte di Messina è il progetto che Salvini ha dichiarato di voler realizzare prima ancora di diventare ministro delle Infrastrutture: difficilmente sarà realizzabile, ma di sicuro si potranno spendere di nuovo molti soldi pubblici per studi e progetti.
- Negli appalti e nelle gare per i trasporti pubblici ogni ipotesi che si possa godere dei vantaggi di una vera concorrenza sarà messa in serie difficoltà.
- Un sano corporativismo potrà anche evitare di innovare la gestione del gigante pubblico ferroviario, che costa più di 10 miliardi all’anno in sussidi agli ignari contribuenti, ma è un grande serbatoio di voti.
Il neoministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha recentemente dichiarato il ponte sullo stretto di Messina una sua personale priorità assoluta. Dopo le “grandi opere” berlusconiane, il consenso elettorale e non la razionalità tecnica o economica guidano per tutti i partiti le scelte infrastrutturali.
Quindi, ponte whatever it takes. Significa intanto fare un nuovo, costosissimo progetto, che pesa intorno al 4 per cento del totale dei costi, cioè non meno di 8 miliardi, quindi siamo sopra i 300 milioni, non noccioline.
Poi è probabile che non se ne farà nulla per eccesso di rischi costruttivi e geologici, e per il fatto che la soluzione più fattibile, quella nota, ponte sospeso e a campata unica, nel nord dello stretto, è scomoda per gli utenti cioè per le città sullo stretto che costituirebbero la gran parte della domanda, visto che l’utenza di più lunga distanza continuerà con poche eccezioni a servirsi di navi per le merci ed aerei per i passeggeri.
Se si cominciasse a costruire i rischi di uno spreco per un’opera inutilizzabile e/o molto sottoutilizzata diventano altissimi.
Il precedente di Expo
Anche le infrastrutture del Pnrr c’è da temere le solite e solide tendenze corporative, la Lega ha una tradizione in questo campo: per l’Expo di Milano aveva proposto di servirsi solo di imprese entro un limitato raggio. Al governo è probabile che faccia ogni sforzo per difendere dall’odiosa concorrenza straniera gli appalti, con trepido sostegno dell’industria nazionale. Non è difficile: i trucchi per rendere i bandi di gara “impenetrabili” sono moltissimi e Bruxelles è lontana.
Inoltre già ora nel settore la concorrenza funziona poco, e i vincitori tendono ad essere sempre gli stessi.
La stessa cultura di difesa dei sacri interessi nazionali, con l’appoggio dei comuni e dei sindacati, potrà essere fatta poi valere anche per i trasporti pubblici locali: se funzionano così bene soprattutto nelle città maggiori, perché affliggerli con gare vere? Perché rischiare l’avvento di soggetti stranieri che magari abbassano i costi e migliorano i servizi?
Qui i trucchi sono semplicissimi: il principale è fare “lotti unici”, adducendo inesistenti economie di scala. Chi mai rischia di vincere una gara buttando fuori l’azienda locale, per poi dover gestire il servizio avendo come concedente lo stesso ente locale, che sarà furibondo per avere perso? Qui il liberale Draghi ha purtroppo spianato il terreno, non impedendo con forza di legge che il giudice della gara potesse essere anche concorrente con la sua impresa.
Per il leviatano pubblico ferroviario, Fsi, italianissimo e ottimo serbatoio di voti, il nuovo ministro non potrà esimersi dal “far arrivare i treni in orario”, cioè verosimilmente non farà verosimilmente nulla, esattamente come il suo predecessore, per modernizzarne la gestione, che costa agli ignari contribuenti più di 10 miliardi all’anno.
Ci sarebbe invece moltissimo da fare: infatti l’ottima esperienza dell’Alta Velocità e dei servizi merci aperti al mercato evidenziano che è inutile e dannoso proteggere dalla concorrenza con la proprietà pubblica, servizi che non hanno alcuna valenza sociale.
Danni anche dai predecessori
Nel settore aereo e in quello delle concessioni autostradali i predecessori hanno già fatto danni difficilmente modificabili. Il governo precedente ha ottimamente preparato il terreno con una finta privatizzazione della compagnia pubblica Ita, che è succeduta alla celebre divoratrice di soldi Alitalia, ma non ha interrotto la tradizione di perder soldi).
Mantenere il 49 per cento pubblico si giustifica solo con un serio programma di difesa dalla concorrenza contro le aggressive compagnie straniere low cost, cioè contro gli interessi dei passeggeri.
Più spinoso per il neoministro sarà gestire il colpevole disastro lasciato dai governi precedenti nelle autostrade, con regali vistosissimi ai Benetton per il crollo del ponte Morandi a Genova, e il susseguente perdurare di tariffe assurde per scaricare tutti i costi della malagestione passata ancora sugli utenti.
Qui la neopresidente del Consiglio ha tuonato contro i concessionari che si arricchiscono con la gestione di beni pubblici. Siamo di fronte a una gallina (gli utenti autostradali) dalle enormi uova d’oro. Rinunciarvi sarebbe anche molto costoso, perché oltre a non godere più di quelle uova, si dovrebbero risarcire i nuovi padroni, semipubblici e privati.
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