Le priorità per lo sviluppo del paese dovrebbero essere gli investimenti in ricerca, innovazione, scuola e cultura. Ma la manovra finanziaria appena presentata dall’esecutivo trascura tutte queste voci
Politici ed economisti fanno un gran parlare di crescita, soprattutto in questi giorni di dibattito sulla manovra appena presentata dal governo. La crescita economica dipende dalla produttività industriale, che a sua volta è legata al livello del capitale umano, dagli investimenti in innovazione tecnologica, dalla modernizzazione sociale. “Naturalmente si tratta di conquiste notevoli, spesso cruciali, ma il loro valore deve essere fatto dipendere dagli effetti che producono sulle possibilità di vita e sulle libertà delle persone”, come ci ha insegnato Amartya Sen. Ormai da tempo questa idea di Sen, premio Nobel 1998 per l’economia, suggerisce di porsi in modo nuovo il tema della crescita economica per contestare l’assolutizzazione del benessere materiale proposto in modo più o meno esplicito dalla teoria economica classica.
Quindi, se lo sviluppo non può essere identificato solo con la crescita di beni e servizi che consumiamo, né con il tasso di industrializzazione di un paese, il Pil e la sua crescita non sono indicatori in grado di misurare da soli il grado di benessere degli abitanti. Perché l’obiettivo principale delle misure economiche deve essere invece il miglioramento del benessere di una popolazione anche, ma non solo, con la produzione di ricchezza materiale.
Per realizzare tale obiettivo occorre allora investire nella scuola, nella formazione dei giovani, nella ricerca, nell’innovazione, nella cultura per aumentare innanzitutto il livello del capitale umano che resta il fattore più importante per la crescita. Se questi investimenti sono la priorità, bisogna allora eliminare le spese inutili del bilancio di uno stato con una efficace spending review ed evitare perdite di gettito fiscale con i condoni. Va data priorità agli investimenti in opere pubbliche rimandando quelli non urgenti. Occorrono poi norme rigide sulla concorrenza per evitare situazioni di privilegio. Si devono colpire i conflitti di interesse.
Se una tale politica porta a una reale crescita della ricchezza e del benessere di un paese, ogni cittadino sarà libero di costruire la sua vita in base ai propri valori e ideali. Perché, ancora secondo Amartya Sen, lo sviluppo è libertà.
Dopo un anno di governo della destra, non pare proprio che questo concetto di crescita sia mai stato considerato dai membri dell’esecutivo, che appaiono spesso incapaci di studiare a fondo i dossier. Anzi, si sono difesi privilegi come quelli di balneari e tassisti, si è disegnata una riforma fiscale che aumenta le disuguaglianze sociali privilegiando, ad esempio, i lavoratori autonomi, le rendite finanziarie e le rendite immobiliari, si sono tagliati fondi per la sanità, per gli asili nido, per la cultura, per la scuola, per la ricerca, per la prevenzione della violenza sulle donne, per le disabilità, solo per citare i capitoli più importanti. Si è data la precedenza al ponte sullo Stretto, opera certamente non urgente. Senza dimenticare il mancato rispetto dei diritti civili e sociali.
Questa politica non può che aumentare le disuguaglianze e impedire un reale sviluppo, cioè una solida crescita, peggiorando così il benessere dei cittadini italiani. Se questo governo durerà cinque anni, alla fine ci troveremo con un’economia stagnante, senza crescita, un rapporto debito/Pil peggiore di quello di oggi, una manifattura senza innovazione, quindi un malessere al posto del benessere.
Dalle dichiarazioni e azioni di tutti i membri del governo, compresa la loro presidente, temiamo che tra quattro anni questo sarà lo scenario più probabile. L’unica speranza è la presa di coscienza dell’elettorato prima delle prossime elezioni politiche.
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