- La proposta legislativa di riforma delle regole fiscali presentata ieri dalla Commissione europea si mantiene sulla linea indicata a novembre 2022. Non sarebbero state accolte, se non in misura molto limitata, le obiezioni avanzate nelle ultime settimane dal governo tedesco.
- Resta il superamento del sistema di regole rigide e l’adozione di un approccio contrattuale con gli stati membri
- Pder l’Italia è una buona notizia, a patto che si prenda sul serio l’idea che i piani di finanza pubblica vanno stilati in modo che sia possibile rispettarli. Non è questo il caso del DEF appena approvato
A una prima lettura, la proposta legislativa di riforma delle regole fiscali presentata ieri dalla Commissione europea si mantiene sulla linea indicata a novembre 2022. Non sarebbero state accolte, quindi, le obiezioni avanzate, in particolare nelle ultime settimane dal governo tedesco.
La proposta di riforma di novembre della Commissione segnava un radicale cambiamento di approccio, in particolare per il debito un ritorno all’impostazione originaria del Trattato: richiedere una diminuzione a “un ritmo soddisfacente” senza fissare a priori una rigida regola quantitativa, come invece fa il fiscal compact che impone la riduzione in ragione di un 20esimo l’anno della distanza tra valore effettivo e obiettivo del rapporto tra debito e Pil.
Cosa rimane
Nella proposta, il percorso di riduzione del debito doveva basarsi su piani pluriennali concordati dai singoli paesi con la Commissione. In sintesi, lo scopo era abbandonare l’armamentario di regole molteplici (oltre a quella sul debito, quelle sul saldo strutturale e sul benchmark di spesa), basate in larga parte su variabili non osservabili (prodotto potenziale e output gap) e calate dall’alto.
Per passare a un sistema di piani di rientro condivisi, in cui fossero chiare condivisione e titolarità dei singoli stati. Nella sua sostanza, questa impostazione è sopravvissuta a cinque mesi di interlocuzioni tra i paesi e all’opposizione di una parte di essi.
La voce dell’opposizione
Opposizione che nelle ultime settimane si è concretizzata in un “technical non paper” presentato dal governo tedesco come risposta alle conclusioni del consiglio Ecofin di fine marzo (che di fatto aveva confermato l’impostazione della Commissione).
In quel documento, esprimendo contrarietà a un approccio giudicato suscettibile di garantire troppa discrezionale in capo alla Commissione, si propone di reintrodurre alcuni elementi del vecchio sistema.
Per cominciare, richiedendo ai paesi con debito superiore al 60 per cento del Pil di limitare la crescita della spesa al di sotto della crescita potenziale del prodotto (una variabile non osservabile) e in misura tanto maggiore quanto più ampia è la distanza dal 60 per cento, continuando poi con il richiedere una regola annuale precisa di riduzione del debito (ad esempio, l’1 per cento l’anno).
Questo avrebbe comportato la sopravvivenza di elementi del vecchio sistema di regole all’interno di quello nuovo, disegnando un quadro ancora più confuso di quello dello status quo. Fortunatamente queste proposte non sono state accolte, almeno finora.
Il compromesso
Una terza richiesta del governo tedesco riguarda il mantenimento dell’attuale procedura per disavanzo eccessivo: in caso di disavanzi superiori al 3 per cento del Pil, la Commissione dovrebbe aprire comunque la procedura di infrazione, anche se il piano concordato con il singolo stato risultasse rispettato.
Nella proposta originaria della Commissione, invece, la procedura sarebbe stata aperta solo nel caso di violazione del piano di rientro concordato. Nella proposta legislativa presentata ieri, questa richiesta trova spazio, in quanto si stabilisce che in caso di violazione della regola del 3 per cento sarà richiesta comunque una riduzione del disavanzo di uno 0,5 per cento del Pil l’anno.
Su questo punto, si tratta di un compromesso ragionevole, come anche sulla prescrizione che il rapporto debito/Pil debba mostrare una tendenza alla diminuzione entro il quarto anno del piano (nella proposta originaria della Commissione si poteva arrivare al settimo anno).
E l’Italia?
Quali sono le implicazioni per l’Italia? Se si prende alla lettera il Documento di economia e finanza presentato a inizio aprile, non c’è da essere particolarmente preoccupati.
Il disavanzo dovrebbe rientrare entro la soglia del 3 per cento nel 2025 e il rapporto debito/Pil sarebbe su un sentiero di riduzione costante anche se in rallentamento (2,3 punti nel 2023 rispetto al 2022 e solo 1,8 punti cumulati nel triennio successivo). Potrebbe essere, comunque, un percorso accettabile.
La questione è il realismo delle stime. Il Def non tiene conto di tutto ciò che non è ancora nella legislazione ma che, si può scommettere, ci sarà. Così, ad esempio, immagina che nei prossimi tre anni la spesa per il personale e per gli acquisti della pubblica amministrazione resterà costante in termini nominali ai livelli del 2022 (con una perdita in termini reali vicina a 40 miliardi).
Farsi trovare pronti al nuovo sistema di regole europee significa per noi introiettare l’idea che i piani vanno stilati in modo che sia possibile rispettarli. Su questo c’è ancora strada da fare.
© Riproduzione riservata