- Tra gli innumerevoli effetti collaterali della invasione russa dell’Ucraina, il più rilevante si potrebbe avere a Teheran.
- A oggi solo la Cina ha progressivamente aumentato l’import dalla Repubblica islamica: proprio negli ultimi mesi, gli acquisti di Pechino hanno superato il picco di 623mila barili al giorno, un ammontare che non si vedeva da prima delle sanzioni imposte da Trump nel 2017.
- Oggi però la nazione considerata paria dagli Stati Uniti per via del programma di arricchimento nucleare su cui per molti anni l’Unione europea ha cercato di negoziare un accordo, torna centrale per l’approvvigionamento di idrocarburi.
Tra gli innumerevoli effetti collaterali della invasione russa dell’Ucraina, il più rilevante si potrebbe avere a Teheran. Dopo le sanzioni imposte dall’amministrazione statunitense di Donald Trump, l’Iran ha ridotto drasticamente la sua produzione di petrolio.
A oggi solo la Cina ha progressivamente aumentato l’import dalla Repubblica islamica: proprio negli ultimi mesi, gli acquisti di Pechino hanno superato il picco di 623mila barili al giorno, un ammontare che non si vedeva da prima delle sanzioni imposte da Trump nel 2017.
Oggi però la nazione considerata paria dagli Stati Uniti per via del programma di arricchimento nucleare su cui per molti anni l’Unione europea ha cercato di negoziare un accordo, torna centrale per l’approvvigionamento di idrocarburi.
Scholz in Israele
Mentre i prezzi di petrolio, gas, persino del carbone, ieri hanno toccato nuovi picchi e il colosso petrolifero saudita Aramco ha raggiunto il picco della capitalizzazione in Borsa, mentre l’Unione europea sta pompando gas russo a ritmi rapidissimi prima che il regime di Vladimir Putin possa decidere di interrompere le forniture come ritorsione alle sanzioni, il cancelliere tedesco Olaf Scholz in visita diplomatica in Israele ha chiarito che una intesa sul nucleare iraniano «non è più rinviabile».
In conferenza a fianco del primo ministro israeliano Naftali Bennett, Scholz ha detto: «È ora di dire di sì a qualcosa che rappresenta una soluzione buona e ragionevole».
Per Israele non è così: «Un accordo che permette la costruzione di nuove centrifughe non è accettabile». Le parole del cancelliere tedesco, tuttavia, segnano la volontà di chiudere presto i negoziati in corso a Vienna, da cui gli Stati Uniti sono ufficialmente usciti e a cui negli anni passati, ironia della sorte, si erano opposti anche alcuni dei paesi europei maggiormente coinvolti nella denuncia dei crimini di Vladimir Putin.
Quando l’ex Alto rappresentante degli Affari esteri, Federica Mogherini, cercava di tenere in vita i negoziati con l’Iran, erano i paesi baltici in asse con Israele ad accusarla di essere filo russa e filo iraniana. Oggi però proprio in nome della guerra finanziaria alla Russia di Putin, l’Unione europea può spingere per una nuova intesa.
Questa volta, dicono gli analisti, potrebbe essere utile per assicurare alla Germania e all’Europa nuove fonti di approvvigionamento.
Sulla stampa finanziaria iraniana circolano da giorni le ipotesi di sostituire la Russia come fornitore di gas, di cui è il secondo detentore al mondo.
Tra Vienna e l’Opec+
Se a Vienna proseguono i colloqui che potrebbero far uscire Teheran dalle nazioni considerate paria dall’occidente per lasciare tutto il posto alla Russia, la videoconferenza tra i paesi dell’Opec+ di ieri, è sembrata quasi ignorare il conflitto: la riunione ha confermato che il rialzo della produzione si fermerà a 400mila barili.
I produttori di petrolio insomma convivono felicemente con prezzi alle stelle e destinati a salire: ieri la società russa Surgutneftegas non ha trovato compratori per i suoi barili di petrolio, Gazprom è crollata alla borsa di Londra e l’Unione europea ha rincarato ancora le misure restrittive imponendo il divieto di «vendere, fornire, trasferire o esportare banconote denominate in euro in Russia o a entità russe».
© Riproduzione riservata