I metalmeccanici italiani si preparano a una nuova mobilitazione di portata nazionale. Venerdì 18 in tutte le regioni e province del Paese si terranno scioperi e manifestazioni, promossi unitariamente da Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm. Alla base della protesta lo stallo della trattativa per il rinnovo del Ccnl, arenata dopo mesi di confronto con le controparti datoriali, Federmeccanica e Assistal. I sindacati chiedono aumenti salariali, una riduzione dell’orario di lavoro, la stabilizzazione dei rapporti precari e un rafforzamento delle tutele in materia di salute e sicurezza, tutte richieste finora non accolte.

Produzione industriale a picco e salari al palo

Il contesto in cui matura questa mobilitazione è fortemente segnato da una crisi profonda e prolungata. La produzione industriale italiana è in calo da 24 mesi consecutivi, secondo i dati Istat, che segnalano un calo medio del 2,8 per cento nel 2024 rispetto all'anno precedente. Il settore manifatturiero è tra i più colpiti, con comparti strategici come la meccanica e l'automotive che hanno perso fino al 5 per cento della produzione annua.

Secondo il Centro Studi di Confindustria, l’indice della produzione industriale è oggi inferiore del 10 per cento rispetto ai livelli pre-pandemia, un dato allarmante che fotografa un sistema produttivo in affanno, con conseguenze dirette sull’occupazione. Le imprese, in molti casi, hanno risposto alla contrazione del mercato con la riduzione dei turni, l'attivazione di ammortizzatori sociali come la cassa integrazione e, nei casi più gravi, con tagli strutturali al personale.

La Cgil, in un report pubblicato a febbraio 2025, stima che nell'ultimo biennio si siano persi oltre 60mila posti di lavoro diretti nell’industria, con un impatto ancora maggiore nell'indotto. Le previsioni per il 2025 non sono incoraggianti. Il 62 per cento delle imprese metalmeccaniche prevede un ulteriore calo del fatturato e un 18 per cento ha già annunciato piani di riduzione del personale, stando ai dati diffusi da Unioncamere.

A tutto questo si unisce la stagnazione salariale che interessa da anni il settore metalmeccanico e, più in generale, l’intero mercato del lavoro italiano. Secondo i dati diffusi dall’Ilo, l'Italia è l’unico Paese del G7 in cui i salari reali oggi sono più bassi rispetto al 1990: tra il 2010 e il 2023, i salari reali sono diminuiti del 2,9 per cento, mentre in Germania sono cresciuti del 7,5 e in Francia del 5,3. Il potere d’acquisto dei lavoratori italiani è stato eroso progressivamente, anche a causa di un’inflazione tornata a livelli record tra il 2022 e il 2023. L’adeguamento delle retribuzioni all'inflazione è dunque un nodo centrale della vertenza: in gioco non c’è solo la competitività del settore, ma la dignità e la sostenibilità economica del lavoro industriale.

Crisi industriali irrisolte: un’emorragia di posti e prospettive

A rendere ancora più grave la situazione è il perdurare di numerose crisi industriali, emblematiche delle difficoltà del settore. Su tutte la vertenza riguardante l’ex Ilva, il cui passaggio agli azeri di Baku Steel pare imminente, è il simbolo della mancanza di una strategia industriale di lungo periodo: un passaggio di consegne privo di un piano credibile, con più di 10 mila lavoratori (che salgono a 20 mila calcolando l’indotto) e interi territori in uno stato di profonda incertezza. A Campi Bisenzio, gli oltre 400 lavoratori della ex Gkn si apprestano a lasciare il presidio, con i licenziamenti collettivi che scattano dal prossimo 1 aprile, mettendo fine nel peggiore dei modi a una vertenza che va avanti dall’estate del 2021.

Una lotta diventata simbolo nazionale di resistenza operaia, ma anche della difficoltà di avviare processi efficaci di reindustrializzazione. Non meno preoccupante è la situazione legata alla vertenza Beko, che coinvolge gli ex stabilimenti Whirlpool di Siena, Cassinetta (Varese) e Comunanza (Ascoli). La prospettiva di chiusura degli impianti e il mancato rilancio industriale mettono a rischio centinaia di posti di lavoro e impoveriscono ulteriormente il tessuto produttivo nazionale. Il settore dell’automotive è anch’esso nel pieno di una crisi strutturale. Stellantis, nonostante le rassicurazioni formali, ha progressivamente ridotto la produzione negli stabilimenti italiani: nel 2024 la produzione di veicoli in Italia è scesa del 15 per cento rispetto all’anno precedente, segnando il peggior dato dal 1956.

L’appello dei sindacati

In questo scenario, la mobilitazione dei metalmeccanici non rappresenta soltanto una battaglia contrattuale, ma si configura come una richiesta più ampia di rimettere al centro il lavoro nell’agenda politica ed economica del Paese. I sindacati chiedono un tavolo negoziale che affronti con serietà le problematiche strutturali del settore e che metta in campo misure concrete per invertire la rotta.

«Venerdì 28 marzo si svolgeranno gli scioperi con manifestazioni regionali e provinciali in tutta Italia per riaprire la trattativa con Federmeccanica e Assistal per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro. A sostegno della vertenza dei metalmeccanici e degli scioperi restano confermati il blocco degli straordinari e delle flessibilità in tutti i luoghi di lavoro», si legge nella nota congiunta diffusa da Fim, Fiom e Uilm. Tre saranno i luoghi simbolo della giornata di sciopero: a Torino interverrà Ferdinando Uliano, segretario generale della Fim-Cisl, mentre a Reggio Emilia sarà Michele De Palma della Fiom-Cgil a concludere la manifestazione e a Napoli prenderà la parola Rocco Palombella, segretario generale della Uil Metalmeccanici. Tre piazze unite da un messaggio comune: senza un deciso rilancio della contrattazione, della politica industriale e dell’occupazione, l'industria italiana rischia il collasso, con ripercussioni gravi non solo per il settore, ma per l’intero sistema Paese.

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