Lo sfondo è scuro. E non poteva essere altrimenti. Ma Fabio Panetta ha scelto di raccontare il tempo che verrà dell’economia italiana con un messaggio all’insegna dell’ottimismo. Non siamo «condannati alla stagnazione», ha detto il governatore della Banca d’Italia, nominato a novembre scorso, nelle sue prime Considerazioni finali.

Certo, nelle parole del banchiere c’è allarme per la «zavorra» del debito pubblico, «questione ineludibile della politica economica che va affrontata con un piano credibile che stimoli crescita e produttività». E mentre la Bce si prepara, la settimana prossima, a dare un taglio al costo del denaro, il discorso di Panetta ha affrontato anche la questione dei tassi d’interesse, che vanno ridotti con «un’azione tempestiva e graduale» per evitare che la politica monetaria diventi «eccessivamente restrittiva» e ostacoli una ripresa economica «ancora modesta e soggetta a rischi al ribasso».

Rimonta possibile

L’Italia resta in grave ritardo rispetto a Francia e Germania sul fronte della crescita, a causa soprattutto di una produttività stagnante. Guardando al futuro prossimo, però, il governatore semina fiducia. La rimonta del Pil dopo il crollo causato dalla pandemia, che è stata più veloce rispetto a quella dei più importanti partner europei, dimostra che il nostro paese può accorciare ancora le distanze, a patto di riuscire ad «affrontare le conseguenze del calo demografico e dell’invecchiamento della popolazione», ha spiegato il governatore.

È rimasto deluso chi si aspettava da Panetta riferimenti espliciti all’agenda politica di questi giorni, dal Superbonus alla riduzione delle tasse. La lotta evasione fiscale è stata citata una sola volta, per il contributo che può dare alla riduzione del debito pubblico. Mentre le agevolazioni edilizie, definite «generosissime», vengono tirate in ballo per spiegare in parte la «forte espansione degli investimenti» registrata in Italia nel corso del 2023.

Il discorso del governatore spazia su un orizzonte più ampio rispetto alla stretta attualità. Sul futuro del Paese, ricorda Panetta, pesa un calo demografico che condiziona pesantemente anche la crescita economica. Da qui al 2040 le persone in età lavorativa saranno 5,4 milioni in meno, un calo che avrà conseguenze pesanti sul Pil, che senza interventi concreti per invertire la rotta è destinato a diminuire del 13 per cento.

Che fare, dunque? La ricetta proposta dal banchiere ha come obiettivo principale l’aumento della partecipazione al mercato del lavoro che in Italia resta di otto punti percentuali inferiore a quella media dell’area dell’euro. Quindi, suggerisce il governatore, andrebbero varati interventi per promuovere una «diversa organizzazione del lavoro tra quello in presenza e quello a distanza» (più smart working), mentre una revisione del sistema delle detrazioni fiscali potrebbe contribuire a «ridurre i disincentivi al lavoro al secondo percettore di reddito nelle famiglie».

Giovani in fuga

Il basso tasso di partecipazione al lavoro è anche l’effetto della disoccupazione giovanile. Tra il 2008 e il 2022 sono emigrati circa 525 mila giovani e solo un terzo di loro è poi rientrato in Italia e a lasciare il paese sono soprattutto i laureati, attratti, ha ricordato il governatore, da «opportunità retributive e di carriera decisamente più favorevoli».

Ad arginare gli effetti dell’inevitabile calo demografico potrà contribuire anche il flusso degli immigrati da gestire in coordinamento con i partner europei. L’intervento davvero decisivo sarà però quello sul fronte della produttività che va stimolata con investimenti in innovazione tecnologica. E in questo campo, oltre a sfruttare al massimo i programmi e i finanziamenti dell’Unione europea, il governatore suggerisce di aumentare il credito d’imposta per le imprese che investono in ricerca e sviluppo portandolo dall’attuale 10 per cento al 20 per cento.

Le Considerazioni finali insistono molto sul tema dell’innovazione tecnologica, una sfida che si gioca soprattutto nel campo dell’intelligenza artificiale che porterà «cambiamenti dirompenti», innescando un aumento della produttività e della crescita. Non mancano i rischi, però, perché una parte della popolazione potrebbe sentirsi tagliata fuori da questa rivoluzione tecnologica con tutte le conseguenze del caso per la stabilità della società.

Regole nuove a Bruxelles

È chiaro che l’Italia non può permettersi di affrontare da sola queste trasformazioni. Saranno più che mai necessarie iniziative comuni tra gli Stati dell’Unione europea per tenere il passo di Stati Uniti e Cina. E lo stesso discorso vale anche per la transizione verde ambientale e per la difesa, che secondo le stime della Commissione assorbiranno risorse per almeno 800 miliardi l’anno fino al 2030. In questo scenario, Panetta è tornato a sottolineare l’urgenza di nuove regole per arrivare a una politica di bilancio comune per mobilitare le risorse necessarie a ridurre l’impatto di shock forti o prolungati come la pandemia o la crisi energetica.

Scatta a questo punto la critica del governatore alla recente riforma dei meccanismi europei di governo economico, cioè il nuovo Patto di stabilità, che «non ha segnato particolari progressi» verso un bilancio comune e non ha neppure introdotto “la necessaria semplificazione delle regole». C’è il rischio, ammonisce Panetta, che queste nuove regole finiscano per apparire sbilanciate verso il rigore e poco attente alle esigenze dello sviluppo.

L’altra riforma indicata come urgente è quella del mercato unico dei capitali che tra l’altro renderebbe possibile il collocamento di titoli pubblici europei privi di rischio per finanziare iniziative comuni. Per arrivare a un vero mercato unico dei capitali andrebbe però completata anche l’Unione bancaria, con regole per la gestione delle crisi. Qui l’Europa è ancora in ritardo.

Panetta non lo dice, ma a frenare, di recente, è stato in primo luogo il governo di Giorgia Meloni, con il suo rifiuto, unico tra i paesi Ue, di ratificare il Mes.

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