La frenata dell’economia americana. Il gran balzo dello yen sul dollaro. E l’onda lunga dello sboom dei titoli tecnologici. Sono questi gli ingredienti della tempesta che ha travolto i mercati finanziari nel primo lunedì di agosto.

La giornata si è messa male, anzi malissimo, sin dalle prime luci dell’alba qui in Europa, con la chiusura delle Borsa di Tokyo, sprofondata a meno 12,4 per cento, record negativo per una singola seduta addirittura dal 1987. I listini del Vecchio Continente si sono mossi di conseguenza e Milano, più volte in rosso del 4 per cento e oltre in mattinata e nel primo pomeriggio, ha guidato la carica dei ribassi.

A fine giornata la correzione per il listino di Piazza degli Affari si è assestata al 2,26 per cento, di poco peggio dell’indice europeo, lo Stoxx 600, che ha chiuso in retromarcia del 2,1 per cento. Nel primo pomeriggio la giornata sembrava destinata a finire molto peggio, ma i dati provenienti da Wall Street, meno negativi di quanto si temesse, hanno in qualche modo frenato la caduta.

Il Nasdaq nella serata di lunedì viaggiava comunque in ribasso del 3,2 per cento circa, dopo un’apertura in picchiata del 6 per cento, mentre il Dow Jones limitava le perdite intorno al 2,3 per cento.

Agosto in rosso

Questi i numeri di una giornata che va a completare un filotto di tre sedute in rosso cominciato giovedì scorso. E così, per esempio, Milano ha perso più del 7 per cento rispetto alla chiusura di mercoledì sera. Perdite simili hanno subito anche i principali listini europei e quelli statunitensi.

Agosto, quindi, è cominciato nel peggiore dei modi, ma il problema vero è che non si vedono solidi appigli per tentare una reazione diversa da un rimbalzo momentaneo, che forse arriverà già nei prossimi giorni.

Va comunque tenuto presente che tutte le grandi borse mondiali arrivano da mesi e mesi di rialzi e una correzione, si vedrà di quale portata, resta comunque nell’ordine delle cose. A Milano ci sono titoli, come quelli delle banche, che anche dopo lo scivolone dei giorni scorsi vantano rialzi notevoli nell’arco dei dodici mesi. È il caso di Unicredit, più 48 per cento e Intesa, più 34 per cento, mentre la quotazione del Monte dei Paschi è salita del 70 per cento rispetto a un anno fa.

Anche il Nasdaq, il mercato che ha più sofferto tra quelli statunitensi, resta in positivo di oltre il 15 per cento su base annuale, malgrado le cadute dei grandi nomi del settore tecnologico, da Apple a Meta ai colossi dei chip come Nvidia, che però anche dopo un ribasso del 20 per cento nell’ultimo mese, ha visto più che raddoppiare la propria quotazione in un anno.

La tendenza generale resta ribassista e la grande maggioranza degli analisti ritiene più che probabili nuovi assestamenti a carico soprattutto del settore tecnologico, dove sembrano meno solide le certezze di una velocissima crescita al traino del boom dell’intelligenza artificiale.

Economia in frenata

Per l’immediato futuro, le preoccupazioni maggiori riguardano l’andamento dell’economia Usa, che secondo i pessimisti sarebbe a rischio recessione nei prossimi mesi. I dati negativi sull’occupazione resi noti venerdì scorso sarebbero un primo segnale che il motore della crescita si è inceppato.

Per ridare fiato al Pil servirebbe un intervento urgente sui tassi, ma la Fed ha rimandato il taglio al prossimo settembre. Troppo tardi, secondo molti analisti, e adesso c’è chi prevede una seduta straordinaria dell’autorità monetaria Usa per varare una sforbiciata d’emergenza, forse di mezzo punto, già durante questo mese.

L’Europa viaggia a rimorchio degli Stati Uniti con la differenza sostanziale che nell’area dell’euro la crescita è flebile già da tempo. La Germania, in particolare, è scivolata in territorio negativo nel secondo trimestre dell’anno, chiuso con il Pil in diminuzione dello 0,1 per cento.

L’Unione Europea per adesso resiste, tra aprile e giugno la crescita ha fatto segnare un più 0,3 per cento, con l’Italia allo 0,2 per cento. Dati certo non esaltanti che lasciano l’economia del continente esposta ai venti di crisi che arrivano da oltre Atlantico.

Rischio Giappone

Sui mercati finanziari al momento l’epicentro dell’instabilità si trova in Giappone, dove l’aumento dei tassi d’interesse deciso dalla banca centrale di Tokyo ha innescato il rialzo dello yen. Di conseguenza si sono bruscamente interrotti gli acquisti di titoli Usa finanziati indebitandosi nella valuta nipponica, il cosiddetto carry trade, un fattore quest’ultimo che ha contribuito ad amplificare la caduta della Borsa statunitense.

Lo yen forte finisce anche per penalizzare le grandi aziende giapponesi, per tradizione forti esportatrici. Si spiega anche così il crollo del listino di Tokyo. In prospettiva è molto probabile che prosegua la corsa verso investimenti considerati più sicuri, mentre gli asset più speculativi perdono vistosamente quota.

Il Bitcoin, che solo un paio di settimane aveva toccato i massimi da cinque anni a questa parte, si è sgonfiato di oltre il 30 per cento.

L’oro invece tutto sommato ha tenuto botta nella tempesta (meno 0,9 in serata) e i rendimenti nel bund tedesco sono calati per effetto dell’aumento delle quotazioni causato dalla domanda in crescita.

Dove va lo spread

Per questo motivo lo spread tra i nostri Btp decennali e l’equivalente titolo di stato di Berlino è risalito di circa cinque punti oltre quota 150 (151,7 in serata).

Il rendimento del Btp con scadenza a dieci anni resta invece inferiore al 3,7 per cento, distante dal 4 per cento circa dei primi di luglio: una buona notizia per il governo di Roma, che per il momento può sperare di tenere sotto controllo la spesa per interessi sui titoli pubblici.

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