Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei: così recita la 459esima tra le “Massime e riflessioni” di Johann Wolfgang Goethe. Il cambio dei vertici della Federal trade commission (Ftc) nei primi mesi dell’amministrazione Biden, e specialmente la nomina di Lina Khan, avevano già segnalato una nuova direzione dell’autorità di regolamentazione della concorrenza negli Stati Uniti. 

Dopo alcuni decenni di dominio di una dottrina e di una pratica che non si opponevano all’emergere di imprese dominanti in un settore nella misura in cui garantissero prezzi bassi, così massimizzando il “benessere del consumatore”, l’arrivo di Lina Khan segna il ritorno a un approccio che vede nella concorrenza un bene in sé.

Non solo l’assenza di attori dominanti può stimolare ogni singola impresa a produrre di più, meglio e a costi minori; ma se un singolo concorrente, seppur economicamente più efficiente, domina sugli altri, esso sarà anche più in grado di influenzare il potere politico, e la politica a sua volta è più propensa a rispondere alle richieste di chi è capace di garantire supporto e finanziamenti.

Una convergenza di interessi, questa, che può distorcere le decisioni verso una maggiore disuguaglianza, così indebolendo il processo democratico. Stefano Feltri ne ha recentemente scritto su queste pagine, in riferimento alla recente sentenza della commissione antitrust italiana contro Amazon, notando come anche le autorità europee sembrano condividere questo nuovo corso, e in parte lo abbiano anche anticipato.

Una visione più ampia

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Ma alcune nomine più recenti, e in particolare l’arrivo di Meredith Whittaker, che da poco la stessa Khan ha chiamato come consigliera, sembrano indicare, più in generale, l’adozione di una nuova idea di quale sia o debba essere il contributo delle imprese al benessere della società.

In un’epoca in cui le imprese, soprattutto le grandi piattaforme tecnologiche, pervadono numerosi aspetti individuali e collettivi oltre alla sfera economica, sembra quindi affermarsi l’idea che la regolamentazione industriale possa anche indicare una visione più ampia della società. La storia stessa di Meredith Whittaker ci spiega perché. 

Laureata in retorica all’università della California a Berkeley, Whittaker ha lavorato per Google per oltre dieci anni. Nel 2018 è stata una delle organizzatrici di una protesta di migliaia di lavoratori, in risposta alla notizia che un alto dirigente di Google (Andy Rubin, il fondatore di Android), accusato di molestie sessuali, aveva ricevuto una buonuscita di novanta milioni di dollari perché lasciasse silenziosamente la compagnia.

I manifestanti chiedevano più attenzione e trasparenza sui casi di molestie in azienda, l’uguaglianza salariale per genere ed etnia, l’ammissione dei sindacati nella compagnia, e l’abolizione della clausola di arbitraggio forzato, che stabilisce che tutte le dispute interne vadano risolte con procedure alternative al regolare processo in tribunale. 

Un’altra battaglia che Whittaker ha intrapreso a Google riguardava l’accordo tra Google stessa e il Pentagono per fornire tecnologie di intelligenza artificiale che avrebbero reso i droni capaci di riconoscimento facciale e, potenzialmente, di colpire automaticamente bersagli umani riconosciuti dall’algoritmo che guidava questi droni. 

La compagnia ha accolto alcune delle richieste, come la fine dell’arbitraggio forzato, il non rinnovo del contratto col Pentagono e, seppur molto parzialmente, la sindacalizzazione. Tuttavia Whittaker e le altre organizzatrici sono state progressivamente marginalizzate e di fatto spinte a lasciare Google, cosa che è avvenuta nei mesi successivi alle proteste.

Lavoro tossico

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Questi eventi hanno lasciato un segno, e non solo per Google. Con essi è finalmente cessata la finta narrazione delle grandi imprese  tecnologiche come organizzazioni moderne, aperte, con minima gerarchia, e volte a valorizzare ogni aspetto della persona. Racconti di ambienti di lavoro tossici, culture organizzative iper competitive, e misoginia e razzismo ormai arrivano da diverse compagnie.

Whittaker ha continuato il suo impegno su questi temi in qualità di direttrice accademica dell’AI Now Institute alla New York University. L’Istituto promuove iniziative per migliorare le condizioni di lavoro nelle imprese tecnologiche, per una effettiva inclusione e parità di trattamento, e per una maggior partecipazione e potere contrattuale dei lavoratori.

AI Now si è poi impegnata, con altre simili organizzazioni, affinché le autorità pubbliche richiedano più trasparenza sulla natura e finalità delle tecnologie e algoritmi di intelligenza artificiale utilizzati per fini industriali.

Due sono le preoccupazioni principali, entrambe legate alla raccolta, elaborazione e uso di dati personali. La prima riguarda il rispetto della privacy, che la raccolta di dati sull’attività in rete o le tecnologie di riconoscimento facciale, per esempio, possono mettere in pericolo, spesso anche con effetti discriminatori specialmente verso donne e persone non bianche.

La seconda riguarda l’interazione fra questi algoritmi e i modelli di business delle imprese che li usano, in particolare nel campo dell’informazione e della conoscenza. L’incentivo che alcune piattaforme, come Facebook, hanno ad aumentare il coinvolgimento degli utenti traffico può portare a non controllare la qualità delle informazioni che su queste piattaforme si condividono.

Il controllo, da parte di una compagnia come Amazon, di una quota sempre maggiore del mercato dei libri, può rendere la compagnia stessa un giudice di quale conoscenza viene diffusa, e quale viene soppressa. E se in una democrazia peggiora la qualità, l’attendibilità e la diversità di informazione e conoscenza, la democrazia stessa è più debole e permeabile a impulsi destabilizzanti.

Una visione precisa

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Se, con l’arrivo di Lina Khan, si sta affermando alla Ftc una visione della regolamentazione dell’economia che non consideri solo il benessere delle persone in quanto consumatori, ma anche come cittadini, l’aggiunta di Meredith Whittaker (e la nomina di un’altra affiliata di AI Now, Rashida Richardson, all’Ufficio per la politica tecnologica della Casa Bianca) suggerisce un’ulteriore caratterizzazione dell’intervento regolatorio: la considerazione delle persone anche come lavoratori e come esseri umani con diritti inalienabili.

Non sappiamo se tutti questi princìpi, idee e battaglie troveranno applicazione nel lavoro dell’amministrazione Biden, e se gli inevitabili compromessi saranno al rialzo o al ribasso. C’è però una lezione più generale.

Queste nomine indicano una posizione e una visione precise. Si abbandona, dopo decenni di sostanziale uniformità tra progressisti e conservatori, l’idea che esista un unico, “oggettivo” approccio alla regolamentazione dell'attività economica. Anche i temi cosiddetti tecnici sono politici; e il sistema democratico è più sano quando, in politica, si parte dai princìpi e si prende parte.


 

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