Il tavolo “automotive” convocato dal governo con produttori e sindacati si occuperà anche di incentivi alla vendita di automobili. Ma mentre negli altri Paesi i fondi sono destinati ai modelli elettrici, in Italia vanno a qualunque tipo di veicolo. I vertici di Stellantis chiedono nuovi aiuti per mantenere la produzione in Italia, ma la versione a batteria della Panda è destinata all’impianto serbo e non a Pomigliano, che fabbrica la versione tradizionale
Al “tavolo automotive” previsto per domani, tra governo, filiera auto (Stellantis in testa) e sindacati, si parlerà di politica industriale ma anche di incentivi alla vendita di automobili. Il problema più urgente è cosa fare per aumentare la produzione di veicoli nel nostro paese, perché l’Italia produce ormai poche auto: nella classifica europea del 2022 è all’ottavo posto con 476mila vetture prodotte (esclusi i veicoli commerciali). Incentivi alla domanda sono già in vigore fino al 2024 compreso, per un provvedimento del governo Draghi. Giovedì 23 novembre il numero uno di Stellantis, Carlos Tavares, li ha chiesti nuovamente al governo come prima condizione per aumentare la produzione di auto in Italia; da Belgrado però è arrivata sabato una notizia di segno opposto: la prossima Fiat Panda in versione elettrica verrà prodotta in Serbia – dove Stellantis ha una joint venture – e non a Pomigliano come quella attuale.
Tra i motivi della scelta di Stellantis ci sono i costi più bassi dei paesi dell’Est Europa; la Citroen, un altro marchio del gruppo, produrrà in Slovacchia la futura piccola elettrica “gemella” della Panda. C’è però anche un problema di arretratezza del mercato elettrico e di incentivi distribuiti a pioggia e non mirati sulle auto a batterie.
In questo campo l’approccio italiano è diverso da quello della maggior parte dei paesi europei. Quasi tutti hanno lo scopo di favorire la mobilità elettrica, e premiano quindi solo le auto a batterie. L’idea di base è che le auto elettriche danno il maggior contributo a ridurre le emissioni di CO2 e bisogna favorirne quindi la rapida diffusione; i contributi statali servono a compensare l’attuale maggior costo delle auto a batterie, in attesa che il prezzo di queste ultime scenda.
L’Italia è rimasta invece a una concezione di incentivi “vecchio stile”, ovvero quelli per vendere più automobili. Il piano in vigore fornisce incentivi a qualsiasi tipo di auto, comprese quelle con motore a scoppio (benzina o diesel) definite “a basse emissioni”, ovvero con emissioni di CO2 fino a 135 grammi/km. Secondo Quattroruote, anche per il 2024 il Governo riproporrà uno schema simile, allocando cioè una parte dei fondi (120 milioni di euro secondo Quattroruote) alle auto senza spina. Anche il “leasing sociale” lanciato in Francia e proposto dall’ACI per l’Italia qualche giorno fa (un noleggio a canone di 100 euro al mese per le famiglie meno abbienti, sovvenzionato dallo stato) dovrebbe includere le auto a combustione; in Francia vale solo per le vetture elettriche.
Le “basse emissioni” di cui parlano spesso Governo e filiera sono basse solamente rispetto a quelle dei vecchi catorci. La normativa UE prevede limiti sempre più severi, al di sopra dei quali i costruttori di auto dovrebbero pagare multe: per gli anni dal 2021 al 2024 il limite è sceso a circa 118 g/km e nel 2025, ovvero fra poco più di un anno, calerà a 93,6 g/km. Ciò significa che anche nel 2024 l’Italia incentiverà la vendita di auto che emettono ben il 44% di CO2 più dei limiti che entreranno in vigore fra 12 mesi. Per definirli “ecoincentivi” ci vuole un certo coraggio… In Francia chi acquista auto che emettono più di 118 g/km paga una sovrattassa crescente all’atto dell’immatricolazione.
Filiera e parte dei sindacati ammettono, a voce più o meno bassa, che gli incentivi italiani “a pioggia” servono a tenere in piedi per qualche anno la produzione della vecchia Panda a benzina in Italia e una serie di fabbriche di motori a scoppio e componenti. Non tutti sono d’accordo: Michele De Palma, segretario generale della FIOM, è «contrario a finanziamenti per le auto endotermiche, che drogano il mercato e che finirebbero comunque quasi tutti all’estero».
Se la transizione verso l’elettrico proseguirà al passo attuale e le UE confermerà lo stop ai motori a scoppio di qui al 2035, l’unica filiera autoveicolistica a sopravvivere sarà proprio quella elettrica; per risalire la china bisognerebbe quindi promuoverla. Ma è un gatto che si morde la coda: se in Italia non si vendono abbastanza vetture elettriche, chi verrà a produrle qui? Nel suo intervento a Torino, Tavares ha chiesto incentivi specifici per poter aumentare la produzione a Mirafiori della 500 elettrica, auto che paradossalmente si vende molto più in Germania che in Italia; ma il caso della Panda in Serbia non è di buon auspicio.
Come finirà? L’attuale governo è fondamentalmente contrario alle misure della UE contro il riscaldamento globale, come dimostra il discorso di Giorgia Meloni alla Cop28. È probabile che l’esecutivo prenda tempo sulla politica industriale per l’auto, sperando che dalle prossime elezioni europee esca una maggioranza in grado di affossare l’intero piano europeo di transizione ecologica.
Nel frattempo la Romania, che produce già più auto dell’Italia, incentiva l’acquisto di auto elettriche con cifre fino a 15.000 euro e fino al 50% del valore del veicolo. Il risultato: nel 2023 la quota delle auto a batterie su quel mercato è balzata a più del 10% contro il nostro 4%. Ci ridurremo a importare vecchi diesel dalla Romania, così come li esportavamo trent’anni fa?
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