Immaginate di aprire un bar su una piazza che si affaccia su alcune delle strade più frequentate dai turisti al mondo e di avere un solo obiettivo: continuare a far crescere il vostro locale, farlo diventare fra i più noti dagli specialisti, per poi venderlo al momento giusto, facendo un sacco di soldi. E di riuscire a concludere l’affare proprio nei giorni in cui uno dei vostri principali concorrenti è alle prese con il più grosso danno d’immagine della sua storia. Con un po’ di fantasia, è la metafora che descrive meglio la storia di Wiz, una start up tecnologica fondata nel 2020 da quattro ex ufficiali dell’esercito israeliano. Traducendo ulteriormente la metafora, la strada principale è quella della cybersicurezza, che si incrocia però con la strada dell’intelligenza artificiale e con quella dell’utilizzo dei dati. La piazza invece è il cosiddetto “cloud”, la nuvola che unisce tutte queste strade, in un nucleo comune.

Ebbene, la notizia di questi giorni è che l’acquirente è finalmente arrivato e non è uno fra i tanti. Si chiama Google, o meglio si chiama Alphabet (la holding che mette insieme anche le altre società controllate dell’universo di Google), e ha messo sul piatto l’offerta più alta che ha mai fatto per un’acquisizione: secondo il Wall Street Journal, ben 23 miliardi di dollari. La questione è ancora più di attualità visto che uno dei principali concorrenti di Wiz, l’americana CrowdStrike, è stata responsabile nei giorni scorsi del più grande caos informatico di sempre.

Per questo quella di Wiz è una storia interessante e per certi versi emblematica per la versione più contemporanea del capitalismo. Incrocia tecnologia e affari, la contaminazione costante fra Stati Uniti e Israele, le avventure di alcuni fra i più importanti investitori al mondo, la guerra fra i giganti della Silicon Valley, il grande black out che ha contagiato il mondo e la scure della Federal Trade Commission, l’Antitrust americana, che potrebbe far saltare tutto.

Dove tutto è iniziato

Il prologo della storia si svolge nella cosiddetta Unità 8200, la sezione dell’esercito israeliano dedicata alla cybersicurezza, sotto il controllo del Direttorato dell’intelligence militare. Fondata ufficialmente negli anni Cinquanta, l’unità aveva inizialmente il compito di decriptare i sistemi di comunicazione dei suoi nemici. L’importanza di questa specializzazione era diventata evidente durante la guerra arabo-israeliana del 1948, quando l’esercito israeliano riuscì a decodificare il sistema cifrato utilizzato dall’Egitto nelle sue comunicazioni.

Seguendo l’evoluzione della tecnologia, e soprattutto le sfide della guerra cibernetica, l’unità ha aumentato le sue competenze, fino a diventare una delle strutture militari più avanzate al mondo. Gran parte del personale, e poi degli ufficiali, sono in realtà ragazzi giovanissimi che arrivano appena maggiorenni e lasciano il servizio all’alba dei vent’anni, al termine della leva. I più promettenti vengono inseriti nel cosiddetto “programma Talpiot”, un sistema avanzato di formazione militare e tecnologica. In questo modo, l’Unità 8200 è diventata una fabbrica di brevetti e una fucina di talenti della cybersicurezza, che poi hanno fondato alcune delle più importanti aziende del settore, come Palo Alto Networks, Check Point e Fireblocks.

La storia dei quattro co-fondatori di Wiz – il direttore generale Assaf Rappaport e i soci Ami Luttwak, Yinon Costica e Roy Reznik – segue questa stessa trama. I quattro iniziano a lavorare insieme nelle fila dell’Unità 8200 e vengono ammessi al “programma Talpiot”. Nel 2012, quando non hanno ancora trent’anni e hanno ormai concluso il loro servizio per l’esercito, fondano la loro prima società di sicurezza informatica in cloud, chiamata Adallom e con la sede principale a Menlo Park, nel cuore della Silicon Valley, dove c’è anche il quartiere generale di Facebook. Nel 2015 Adallom viene comprata da Microsoft per 320 milioni di dollari, diventando lo scheletro che costituisce il sistema di sicurezza oggi noto come Microsoft defender for cloud apps, utilizzato per proteggere le applicazioni e i documenti in tutto il mondo. Microsoft fattura quasi 20 miliardi di dollari all’anno nel solo settore della sicurezza informatica. Quanto il settore sia cruciale è diventato ancora più evidente dopo il venerdì nero di CrowdStrike, visto che un solo aggiornamento ha messo in ginocchio il mondo intero.

La storia di Wiz

Assaf Rappaport è nato a Tel Aviv, oggi ha 40 anni e nel ritratto che ne fa il Wall Street Journal assomiglia al tipico stereotipo del grande imprenditore digitale, carismatico ma un po’ nerd. Veste in modo informale, indossa sempre una felpa col cappuccio, pantaloni della tuta e scarpe da ginnastica. Con la differenza che un tempo erano Converse da meno di 100 dollari e ora sono scarpe italiane di lusso Golden Goose, che valgono in media intorno ai 500 dollari. Al lavoro va spesso con Mika, il suo border collie, e incoraggia i suoi dipendenti a portare il cane in ufficio.

L’idea che ha portato alla nascita di Wiz è semplice: sempre più aziende stanno spostando i loro dati e le loro applicazioni nel cloud, abbandonando i data center e i server locali. Questo processo, che permette di aumentare l’efficienza e di trovare soluzioni tecnologiche innovative con investimenti minori, si accompagna però ad una preoccupazione maggiore per quanto riguarda la sicurezza. Semplificando molto, Wiz è dunque una sorta di sentinella che permette di identificare immediatamente qualsiasi minaccia alla sicurezza nel cloud, gestendo tutte le vulnerabilità attraverso un’unica piattaforma. Oggi, prendendo l’elenco di Fortune 100 (la lista delle più importanti aziende americane sulla base del loro fatturato), il 40 per cento di loro utilizza Wiz per garantire la sicurezza dei propri sistemi cloud.

Investitori e antitrust

L’obiettivo di Google è dunque di riuscire a recuperare il terreno che ha perso, proprio in termini di cybersicurezza, rispetto ad altri avversari blasonati, come appunto Microsoft e Amazon. Lo scenario dell’affare è ancora una volta quello dello scontro fra grandi colossi, i soliti Big Tech che si dividono da soli gran parte della ricchezza disponibile nel paniere dei titoli tecnologici.

Ma la notizia è per molti aspetti importante anche per gli altri, ovvero per le start up più piccole che si devono accontentare delle briciole. Ultimamente gli investimenti si concentrano per una buona parte su chi sviluppa sistemi di intelligenza artificiale. Vedere ora che uno dei più grossi affari riguarda un settore diverso, anche se complementare, potrebbe portare a nuove scelte anche nelle strategie d’investimento. Soprattutto dopo quello che è successo venerdì. Anche perché, al di là dei fondatori e degli altri soci di Wiz, a godere di una buona parte dei benefici dell’affare saranno appunto gli investitori che ne hanno saputo intuire il potenziale. Ovvero, le grandi società di venture capital, come Index Ventures, Sequoia Capital, Insight Partners, Greenoaks Capital Partners, Andreessen Horowitz e Thrive Capital, che hanno investito nella start up israeliana. Se l’accordo con Google andrà in porto, si porteranno a casa grossi profitti. In alcuni casi miliardari.

Ma quel “se” rimane un altro nodo importante di questa vicenda. Perché è probabile che sull’affare vorrà guardarci chiaro l’Antitrust, per capire se questa operazione sfavorisce la concorrenza, in un settore di mercato dove appunto i colossi già si spartiscono una grande fetta della torta. Potrebbe non essere così, visto che in fondo stiamo parlando di una start up che genera “solo” 500 milioni di dollari all’anno in fatturato. C’è però il rischio ancora più concreto che la richiesta di approfondimenti rallenti l’operazione. Potrebbe bastare per farla naufragare.

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