L’Agenzia delle Entrate punta a recuperare 2,8 miliardi in più di quanto previsto per il 2022. Ma il progresso si riduce a soli 600 milioni se confrontato con i dati reali dell’anno scorso
Da una parte ci sono le promesse per il tempo che verrà. Tipo questa: «Entro il 2025 il governo punta a incassare 2,8 miliardi di euro in più dalla lotta all’evasione fiscale». E poi ci sono i dati reali, le statistiche ufficiali. E allora, se si confrontano i numeri resi noti nei mesi scorsi con le previsioni per l’immediato futuro, ne esce un quadro che finisce per smorzare, e non di poco, i toni con cui in questi giorni l’Agenzia delle entrate ha voluto riaffermare il proprio impegno contro i furbetti del fisco.
La convenzione
Per spiegare che cosa è successo conviene partire da un interrogativo. Questo: davvero quei 2,8 miliardi di maggiori incassi rappresentano un salto di qualità rispetto al passato recente nel contrasto all’evasione fiscale? Davvero sono il «frutto di un cambio di paradigma», come ha dichiarato il direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Ruffini, nell’intervista al Corriere della Sera pubblicata oggi? L’argomento viene affrontato in un documento appena reso noto, ovvero la Convezione triennale siglata lo scorso 3 agosto dal viceministro Maurizio Leo, per conto del Mef, e dallo stesso Ruffini.
La convezione elenca una serie di target minimi che l’Agenzia si impegna a centrare nei prossimi anni. Nel documento si legge che nel 2025 le somme recuperate grazie al contrasto all’evasione dovranno raggiungere, come minimo, i 19,6 miliardi. Un risultato eccellente, a prima vista. Un balzo in avanti rispetto ai 16,8 miliardi, messi nero su bianco per il 2022 nella convezione precedente, che risale a settembre dell’anno scorso, uno degli ultimi atti siglati dal governo di Mario Draghi.
Salti e asticelle
«Abbiamo spostato l’asticella in alto», ha commentato Ruffini nell’intervista di ieri. E in effetti il salto è evidente. Adesso il fisco promette di incassare 2,8 miliardi in più rispetto a quanto l’anno scorso si era impegnato a recuperare per lo stesso 2022. Tutto bene, se non fosse che nel frattempo sono passati dodici mesi e il quadro è cambiato.
Già, perché fin dal marzo scorso sono state rese note le statistiche sui risultati del contrasto all’evasione. Risultati «record», per citare il comunicato stampa diffuso all’epoca dall’Agenzia delle Entrate. I dati ufficiali relativi al 2022 segnalano che le «ordinarie attività di controllo» hanno fruttato complessivamente 19 miliardi.
Dunque, per valutare le promesse del fisco nella lotta agli evasori, vanno innanzitutto considerati questi 19 miliardi, che sono un dato effettivo, e non quei 16,8 miliardi che erano un semplice target. I 19,6 miliardi che l’Agenzia si impegna a portare nelle casse pubbliche nel 2025 valgono quindi solo 600 milioni in più rispetto al risultato già raggiunto nel 2022, un anno in cui per quasi 10 mesi la politica tributaria è stata decisa dal governo Draghi.
Operazione propaganda
Facile concludere, a questo punto, che la cifra sbandierata in questi giorni, cioè quei 2,8 miliardi di maggiori incassi, lascia il tempo che trova. Un numero buono per enfatizzare l’azione dell’Agenzia, nulla di più. In altre parole, riesce più facile vantarsi dei propri salti se come termine di confronto viene presa un’asticella più bassa del reale. Il governo parte dai 19 miliardi già incassati nel 2022 e nel 2025 punta a raggiungere, come minimo, quota 19,6.
Un progresso c’è, ma è inferiore di molto alla somma di 2,8 miliardi che l’Agenzia delle Entrate ha accreditato in questi giorni. «Quei 19,6 miliardi rappresentano soltanto un obiettivo minimo, noi confidiamo di fare molto meglio», è il commento che si raccoglie all’Agenzia in merito ai numeri della convenzione.
Si vedrà nei prossimi anni se il target verrà superato oppure se gli incassi dalla lotta all’evasione resteranno vicini ai minimi previsti dalla convenzione. Per il 2023 il target è stato fissato in 18,1 miliardi. Un target non esattamente ambizioso, se si considera che, come detto, l’anno scorso sono stati recuperati 19 miliardi.
Adesso, però, al timone del fisco c’è il viceministro Leo, che si è intestato un’ambiziosa riforma che punta a promuovere la collaborazione tra i contribuenti e l’erario. Proprio questa, secondo il tributarista romano arruolato da Giorgia Meloni, sarebbe la strada maestra per ridurre l’evasione.
A tutta compliance
Non per niente, la legge delega che ha ricevuto il via libera dal Parlamento prevede tra l’altro il cosiddetto concordato preventivo biennale con cui piccole e medie imprese potranno negoziare con l’Agenzia l’entità dell’imposta e mettersi al riparo da controlli per i successivi due anni.
Un altro strumento con cui Leo punta ad aumentare il gettito sono le cosiddette lettere di compliance con il fisco segnala al cittadino le anomalie contenute nella dichiarazione invitandolo a mettersi in regola prima che venga avviata l’azione di recupero.
Ebbene, nella convenzione triennale appena firmata, l’incasso da «attività di promozione della compliance» dovrà raggiungere almeno i 3 miliardi di euro. Sono 200 milioni in meno rispetto ai 3,2 miliardi incassati nel 2022.
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