Il prelievo del fisco è molto più basso rispetto a Francia, Spagna e Germania. Così i grandi patrimoni, da Del Vecchio e Berlusconi, pagano quote minime
Gli eredi di Leonardo Del Vecchio litigano tra loro sulle tasse di successione. Il patrimonio è sterminato, vale una trentina di miliardi, ma lo scontro si è aperto su una questione in apparenza marginale. L’imprenditore scomparso nel giugno dell’anno scorso ha lasciato titoli per un valore di oltre 350 milioni al manager Francesco Milleri, che ora guida il gruppo fondato da Del Vecchio, e per altri 4 milioni a Romolo Bardin, amministratore delegato di Delfin, la holding di famiglia.
In base al testamento, il conto col fisco per questi pacchetti azionari andrebbe saldato attingendo al patrimonio complessivo, ma sulla questione la famiglia del fondatore si è spaccata: alcuni degli eredi non vogliono contribuire.
Un accordo va trovato in fretta, perché una multinazionale dell’importanza di Essilor, che vale in Borsa quasi 80 miliardi di euro (più dell’Eni e dell’Enel) non può permettersi una lunga battaglia tra soci. Ma se l’esito della contesa appare incerto, gli eredi di Del Vecchio riusciranno comunque a mettere al sicuro dalle pretese del fisco gran parte del patrimonio che passerà di mano.
Tutto legale, non c’è bisogno di trust e società offshore, perché in Italia le tasse di successione sono in formato extrasmall, rispetto a quelle vigenti nella maggioranza delle grandi economie mondiali. Un esempio: se il fondatore di Luxottica fosse stato un cittadino francese, l’erario di Parigi avrebbe prelevato ben più di un miliardo di euro dall’asse ereditario tassabile del fondatore di Luxottica. Roma invece, secondo le stime che circolano in ambienti finanziari, finirà per accontentarsi di un centinaio di milioni.
Il caso Fininvest
Le tasse viaggiano al minimo anche per gli eredi di Silvio Berlusconi. I cinque figli che si spartiscono il 61,8 per cento di Fininvest che era intestato al leader di Forza Italia, eviteranno del tutto l’imposta se, come prescrive la legge, continueranno a esercitare il controllo congiunto sul gruppo senza cedere le loro azioni.
Le tasse andranno pagate sul resto del patrimonio (case, barche, opere d’arte) ma il conto finale sarà comunque relativamente basso se paragonato al valore complessivo dei beni lasciati da Berlusconi. Questo perché nel nostro paese l’aliquota dell’imposta di successione varia tra il 4 e l’8 per cento della massa ereditaria tassabile, con una franchigia, cioè la somma su cui non si paga nulla, che arriva a un milione di euro per coniuge e figli.
In Francia invece, pur con numerose eccezioni alla regola generale, il prelievo sui patrimoni multimilionari può raggiungere il 45 per cento. Una soglia massima che in Gran Bretagna ammonta al 40 per cento, con una franchigia di 325 mila sterline (375 mila euro circa). Anche in Spagna l’aliquota top è superiore a quella italiana, il 34 per cento, e in Germania, in alcuni casi si può arrivare al 50 per cento.
L’insieme di eccezioni e franchigie ha l’effetto di ridurre di molto i beni aggredibili dal fisco. E così, secondo quanto rilevato da un report dell’Ocse, in Italia la base imponibile non supera il 6 per cento delle attività che compongono un patrimonio, contro il 10 per cento della Germania e il 48 per cento del Belgio. Sempre secondo l’Ocse, nel nostro paese l’imposta di successione vale meno dello 0,2 per cento del totale delle entrate fiscali (meno di un miliardo), in Francia, siamo all’1,4 per cento (circa 13 miliardi), in Germania oltre lo 0,5 per cento 7 miliardi).
Governo non pervenuto
Per un governo come quello di Roma alla disperata ricerca di risorse per far quadrare i conti, l’aumento delle imposte di successione potrebbe essere una strada percorribile, con l’obiettivo di finanziare, per esempio, welfare, pensioni e istruzione. L’esecutivo di centrodestra non ha neppure preso in considerazione l’ipotesi.
L’epocale riforma del fisco studiata dal viceministro dell’Economia, Maurizio Leo non prevede nulla in proposito. Del resto, fu Berlusconi nel 2001 ad abolire il prelievo sulle eredità, poi reintrodotto da Romano Prodi nel 2006 nella versione minimalista in vigore oggi.
Nell’estate del 2022, l’allora segretario del Pd, Enrico Letta, propose un inasprimento dell’imposta di successione sui grandi patrimoni con l’obiettivo di finanziare una dote per i diciottenni. Proposta poi inserita nel programma dei Dem per le elezioni dell’anno scorso. Anche Elly Schlein è tornata sull’argomento, per ridisegnare le tasse sull’eredità e avvicinarle a quelle degli altri maggiori Paesi europei.
La destra, da Matteo Salvini a Giorgia Meloni, ha reagito gridando alla patrimoniale, che è ancora un tabù per gran parte dell’elettorato. E pazienza se a pagare davvero il conto di un eventuale ritocco dell’imposta alla fine sarebbero i multimilionari di casa nostra. Niente da fare: le eredità restano intoccabili. Le famiglie Berlusconi e Del Vecchio ringraziano sentitamente.
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