- L’associazione bancaria si schiera ancora una volta a fianco dell’Ance chiedendo di permettere alle banche di utilizzare i crediti di imposta nei casi in cui le imprese si appoggino agli istituti per pagare le tasse.
- In questo modo gli istituti di credito potrebbero scaricare i crediti che hanno in pancia e fare spazio per acquisirne dalle imprese edili in modo di riattivare il circuito. Mentre al momento scaricare i crediti solo per l’ammontare di imposte che loro stesse sono chiamate a pagare.
- Solo l’Ance stima, anche se non in via ufficiale che le sue 20mila imprese abbiano maturato crediti dal valore di 15 miliardi, quasi una manovra finanziaria.
Ancora una volta, nella storia infinita della normativa sui bonus edilizi, il mondo delle banche si schiera assieme a quello delle imprese dell’edilizia, tra i suoi maggiori clienti.
L’associazione bancaria italiana e l’Ance hanno nuovamente diffuso una nota congiunta, come già successo di fronte alle precedenti modifiche di legge sul Superbonus, per chiedere al governo di trovare il modo di sbloccare il circuito di quella moneta parallela che sono diventati i crediti di imposta legati alle ristrutturazioni edilizie, una moneta parallela che vale decine e decine di miliardi di euro e che ora che viene sconfessata rischia di creare conseguenze altrettanti gravi che le truffe che ha generato.
Ance e Abi chiedono un «intervento tempestivo», che possa allontanare quella crisi di liquidità in cui sono piombate migliaia di imprese dopo la stretta alla cessione dei crediti.
La soluzione proposta è permettere alle banche di utilizzare i crediti di imposta nei casi in cui le imprese si appoggino agli istituti per pagare le tasse: in questo modo le banche che fanno di fatto da sostituti di imposta potrebbero scaricare i crediti che hanno in pancia e fare spazio per acquisirne dalle imprese edili in modo di riattivare il circuito. Solo l’Ance stima, anche se non in via ufficiale che le sue 20mila imprese abbiano maturato crediti dal valore di 15 miliardi, quasi una manovra finanziaria. E al momento infatti gli istituti di crediti possono scaricare i crediti solo per l’ammontare di imposte che loro stesse sono chiamate a pagare.
Ancora il nodo truffe
Le due associazioni avevano già chiesto al governo di intervenire per dare una interpretazione certa sulla responsabilità di chi acquisisce crediti di imposta dagli intermediari bancari. Su questo nodo, infatti, ci sono state continue marce avanti e indietro: la stessa agenzia delle entrate aveva prima previsto la corresponsabilità dell’acquirente che acquisisce crediti di imposta frutto di truffa, e cioè emessi per lavori inesistenti e poi, dopo proteste e tensioni, anche parlamentari, era tornata indietro. Tuttavia, nel frattempo sono arrivate sentenze in cassazione a complicare la questione.
Le due associazioni hanno riconosciuto che il decreto del governo «fornisce chiarimenti relativamente al regime della responsabilità solidale nei casi di accertata mancata sussistenza dei requisiti che danno diritto alla fruizione dei bonus edilizi». Ma l’ufficio studi Ance lamenta che le nuove norme non mettono al riparo gli acquirenti dal sequestro dei crediti.
Le richieste delle associazioni di impresa sembrano estreme, di fatto si tratterebbe di uno scudo penale, ma il problema è sempre lo stesso: riattivare la circolazione di un denaro parallelo. Al momento, ci sono aziende che hanno bilanci formalmente molto buoni, per tutti i lavori realizzati, ma che allo stesso tempo si trovano carte in mano e non liquidità corrente.
Il governo ha bloccato il tentativo di alcune amministrazioni pubbliche di diventare intermediari per la cessione crediti. Diverse regioni, peraltro la maggior parte politicamente a destra, come Sardegna, Piemonte e Abruzzo, avevano preso provvedimenti normativi per andare incontro alle imprese del territorio e comprare i crediti di imposta, per utilizzarli a loro volta per pagare contributi o retribuzioni dei dipendenti. Il governo ha avuto paura di creare voragini di debito e in questo modo ha sconfessato ancora una volta lo strumento creato dallo stesso stato apprendista stregone.
La fine di un’èra
In questa confusione, la certezza è che da ora in poi non sarà più possibile ottenere gli sconti in fattura e quindi la cessione del credito, ma semplicemente i bonus edilizi si trasformeranno in detrazioni fiscali per il contribuente che ha pagato i lavori.
Si tratta, in sostanza, di un ritorno al regime precedente, quando la media annuale di ristrutturazioni si fermava a 8mila l’anno, secondo i dati di Ance, contro le 180mila ristrutturazioni degli anni 2021 e 2022. Un aumento vicino al 2mila per cento.
Ovviamente in regime di detrazione solo chi può anticipare il costo dei lavori può permettersi il lusso di affrontare il bonus. «Si tratta di un sistema che favorisce le famiglie più ricche», fanno notare dall’Ance, «Non tutti gli inquilini dei condomini hanno capacità fiscale per anticipare i costi». Formalmente è vero, il paradosso però è che chi si è avvantaggiato del sistema della cessione crediti, finora, sono stati soprattutto i proprietari di unifamiliari, che possono avviare le ristrutturazioni più rapidamente. Ora i condomini si trovano a raccogliere i cocci di un meccanismo disegnato male, costato allo stato moltissimo, modificato infinite volte con numerosi danni alle aziende, e che non è nemmeno utile a centrare gli obiettivi di transizione che abbiamo approvato in Europa.
Chapeau.
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