- Durata massima dei contratti a dodici mesi, incluse rate per dispositivi inclusi come il modem. Adesso si arriva a 48 mesi. La riduzione serve a favorire trasparenza e disdetta ma aumenta costo singola rata.
- Si riducono i costi per alcuni tipi di frequenza anti-digital divide e per ridotti utilizzi da parte degli operatori, ma aumentano i costi per grandi utilizzi e quindi per i grandi operatori.
- Banda larga diventa servizio universale, dovrà coprire tutti a una qualità adeguata per fare smart working, formazione e scuola a distanza, e a prezzi accessibili.
Comincia il dibattito parlamentare, con numerose audizioni previste, per dare vita al nuovo codice comunicazioni elettroniche. Una tappa epocale se consideriamo che l’attuale codice in uso per il mercato è del 2003: prima degli smartphone.
Il codice è una direttiva europea che disegna la cornice regolatoria di questo mercato: diritti degli utenti, poteri dell’autorità di settore, politiche di gestione dello spettro, regole per la costruzione delle reti banda ultra larga.
Ci sono questi punti tra le 150 pagine dello «schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva (Ue) 2018/1972 del parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche». Diventano quasi 600 pagine incluse le relazioni a corredo.
«Le commissioni competenti al Parlamento daranno pareri entro il 12 ottobre, il 4 novembre è prevista l’approvazione definitiva del decreto in Consiglio dei ministri», spiega Massimiliano Capitanio (Lega), relatore del testo alla Camera.
Sono diversi i principali punti oggetto di dibattito. I nuovi tempi di durata contrattuale; i costi di licenza per le frequenze; i nuovi poteri sanzionatori di Agcom (Autorità garante delle comunicazione); banda larga che diventa un servizio universale (nuovo diritto degli utenti).
Contratti più brevi
La preoccupazione degli operatori si concentra sui primi tre punti, in particolare. Il decreto fissa a 12 mesi la durata massima di un contratto, incluse le rate per prodotti abbinati (modem, cellulare), che ora invece possono arrivare a 48 mesi. Il decreto va incontro a esigenze antitrust, perché le rate dei prodotti sono un freno al cambio operatore e alla concorrenza.
Gli operatori – in comunicazioni per ora ancora informali pervenute al governo e ai parlamentari competenti – in c sostengono che rate più lunghe hanno il vantaggio di avere un costo unitario ridotto (quello totale è spalmato su più mesi). Con il risultato di ridurre il costo di accesso a un servizio innovativo: ad esempio alla fibra ottica, che richiede un nuovo modem, o al 5G, dove serve uno smartphone compatibile.
Gli operatori temono insomma che rate singole più care frenino la domanda di innovazione, che in Italia è storicamente già molto ridotta (vedi indici Desi della Commissione europea).
Di diverso avviso Altroconsumo: «Contratti più brevi permetteranno al consumatore di scegliere tra un’offerta vantaggiosa e non rischiare più di rimanervi vincolato per 24 o 36 mesi. Dunque, maggiori garanzie e maggiore concorrenza», dice Federico Cavallo, responsabile public affairs dell’associazione consumatori. «In più, accorciare la durata dei contratti renderà più trasparente il confronto tra costo della sola tariffa e della tariffa comprensiva di dispositivo», aggiunge.
«Valutiamo se proporre una riduzione del termine a 24 mesi, ma con misure a tutela di trasparenza e diritto di recesso», dice Capitanio.
«Sono d’accordo con il termine a 12 mesi», dice invece Enza Bruno Bossio (Pd), che come è Capitanio parlamentare specializzata nei temi dell’innovazione all’interno del partito.
«In merito alle nuove sanzioni Agcom e dei contratti a 12 mesi, le ritengo novità positive per la concorrenza e per la trasparenza a favore dei consumatori, ma che non devono diventare cavilli eccessivi in un mercato che è sempre più europeo e non più solo nazionale», è la posizione di Mirella Liuzzi (M5S), che si occupa dei temi di telecomunicazioni per il Movimento.
Le sanzioni più alte
Gli operatori sono preoccupati, appunto, anche delle nuove, molto più elevate, sanzioni che l’Agcom può affibbiare loro; fino 5 per cento del fatturato nei casi più gravi. Le associazioni consumatori da anni, tuttavia, contestano il basso potere deterrente delle attuali sanzioni.
Gli operatori sono spaccati su due fronti per quanto riguarda i nuovi prezzi delle licenze: «I piccoli festeggiano, perché per loro si abbassano i costi di licenza, mentre per i grandi c’è un grosso aumento, nel nuovo codice», spiega Fulvio Sarzana, che sul Codice comunicazioni elettroniche ha pubblicato un libro (Ipsoa, 2019), con il collega Federico Marini Balestra.
Il nuovo codice infatti da una parte dimezza le tariffe e abbatte il costo minimo, favorendo così i piccoli operatori che hanno bisogno di poche frequenze; dall’altro eliminano lo sconto ora previsto, del 75 per cento, per i grandi utilizzatori di spettro.
“Proporremo una soluzione per tenere i vantaggi economici previsti per i piccoli e per eliminare questo aumento spropositato dei costi per i grandi; sempre nell’interesse di una battaglia al digital divide», dice Capitanio.
«L’aumento del costo amministrativo delle frequenze per chi le usa maggiormente e una diminuzione nelle aree svantaggiate è un presupposto corretto, ma andrebbe tuttavia ponderato tenendo conto dell’andamento del mercato delle telecomunicazioni, da diversi anni in pesante sofferenza», dice Liuzzi.
Infine, «tra le novità più importanti emerge l’istituzione di un servizio universale per internet a banda larga – dice Liuzzi, che copra tutti e sia disponibile per tutti a costi accessibili, anche con tariffe scontate per alcune categorie, com’è ora per i servizi voce”. “Porterà a uno sviluppo realmente inclusivo per tutti i cittadini e le imprese creando nuovi presupposti di tutela non attualmente contemplati nell’ordinamento italiano», aggiunge.
I tempi sono però incerti: il decreto demanda all’Agcom la definizione dei dettagli operativi.
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