- Tesla ha investito molto negli ultimi anni in nuove fabbriche e deve stimolare la domanda per farle girare a pieno ritmo.
- Con margini di profitto di 15mila dollari per auto nel 2022, l’azienda può permettersi i tagli senza andare in rosso.
- L’auto elettrica per tutti è però ancora lontana e una “piccola” Tesla arriverà solo tra qualche anno.
Tesla in difficoltà o Tesla all’attacco? L’azienda americana guidata da Elon Musk ha aperto il 2023 con una mossa a sorpresa: taglio dei prezzi di tutte le sue vetture in percentuali tra il 3 per cento e il 20 per cento a seconda dei modelli e delle versioni. Il taglio vale su tutti i mercati: dagli Stati Uniti alla Cina all’Europa, Italia compresa. La mossa di Tesla è probabilmente sia un segno di debolezza che di forza. Vediamo perché.
Perché il taglio dei prezzi ora?
Tesla ha investito molto negli ultimi anni in nuove fabbriche: una in Cina, una in Texas (la seconda negli Stati Uniti) e una in Germania, a Berlino: la scommessa di Musk era che la progressiva diffusione della mobilità elettrica avrebbe continuato a spingere le vendite. Dopo una serie di problemi legati all’avvio di produzione e alla carenza di componenti, gli stabilimenti possono ora aumentare la cadenza produttiva, ma nell’ultima parte del 2022 è arrivato un raffreddamento della domanda soprattutto in Cina, dove la concorrenza delle marche locali inizia a farsi sentire; anche in alcuni mercati europei più “maturi”, come la Norvegia, le vendite sembrano aver raggiunto un tetto.
Negli Stati Uniti un movente del taglio ai prezzi di Tesla è la volontà di approfittare al massimo degli incentivi concessi alle auto elettriche dall’amministrazione Biden: tali incentivi, che partono da quest’anno (fino a 7.500 dollari per auto), valgono infatti solo se il prezzo del veicolo è inferiore ai 55mila dollari (80mila per i suv). Un effetto di questo tipo c’è stato anche in alcuni paesi europei: in Francia il prezzo della versione base della berlina Model 3 è sceso a 44.990 euro e le permette di accedere agli incentivi statali; l’acquirente paga quindi meno di 40mila euro. Questa spiegazione non vale per l’Italia dove gli incentivi alle auto a batterie, reintrodotti solo nel secondo semestre dopo un “buco” di parecchi mesi, premiano solo le auto con prezzo inferiore ai 42.700 euro.
Uno dei problemi che possono aver spinto Tesla a tagliare i listini è il relativo invecchiamento della gamma prodotto. I due modelli più venduti – Model 3 e il SUV Model Y – sono stati lanciati rispettivamente sei e tre anni fa; sul mercato sono ormai molte le vetture più “fresche” e che hanno ridotto il gap tecnologico rispetto a Tesla. Secondo Jessica Caldwell, analista della Edmunds, «questi tagli e la disponibilità di prodotto permetteranno a Tesla di guadagnare quote di mercato e faranno dimenticare agli acquirenti l’invecchiamento della gamma». La Borsa è ottimista e ha spinto il titolo Tesla dal minimo di 108 dollari del 3 gennaio ai quasi 178 di venerdì scorso.
Tesla può permetterselo?
La mossa di Musk è però anche un segno di forza, perché dimostra che Tesla può permettersi tattiche commerciali aggressive. Un fornitore di Tesla affermava già l’anno scorso che l’azienda era in condizione di «poter ridurre i prezzi del 20 per cento senza battere ciglio», e aggiungeva che «per i concorrenti il gioco diventerà pesante: o partono anche loro in tempi relativamente brevi, o rischiano di veder saltare gli equilibri». Il vantaggio che Tesla conserva sui concorrenti è basato su svariati fattori.
Piattaforma elettrica
Le sue vetture si basano su una piattaforma nata elettrica, il che permette di ottimizzare le prestazioni e minimizzare i costi di produzione; per le fabbriche sono state effettuate scelte innovative, come la stampa di grandi parti di carrozzeria in un unico pezzo, con enormi presse. L’azienda vende attualmente quattro modelli ma fa il 95 per cento dei volumi (1,25 milioni di vendite 2022 su un totale di 1,31) con due soli modelli basati sulla stessa piattaforma e prodotti in soli quattro stabilimenti: le economie di scala sono enormi. Tesla ha una produzione fortemente integrata, e per esempio produce “in casa” parte delle batterie.
Un punto di forza commerciale è che Tesla dispone di una rete privata di ricariche ad alta velocità; la rete è stata aperta di recente anche alle auto dei concorrenti (a prezzi superiori) e rappresenta un’ulteriore fonte di ricavi.
L’anno scorso, infine, Tesla ha incassato quasi 1,8 miliardi dalla vendita ad altre aziende di “crediti ecologici”; un profitto a costo zero che è destinato a durare ancora per anni.
Tutti questi vantaggi si sono tradotti nel bilancio 2022 in un utile netto più che raddoppiato a 12,5 miliardi di dollari, nonostante le vendite siano aumentate “solo” del 40 per cento a 1,313 milioni; Tesla è stata in grado di aumentare i prezzi per compensare l’aumento dei costi delle materie prime, e il margine lordo di profitto è stato di oltre 15mila dollari su ogni auto venduta.
Il ruolo delle gigafabbriche
In teoria un taglio dei prezzi come quello deciso a gennaio è destinato ad azzerare gli utili, a parità di altre condizioni; l’effetto finale dipenderà dalla durata dei ribassi, dalla loro estensione, e dall’effetto sulle vendite. Secondo gli analisti finanziari, in quest’ultimo caso l’aumento della produzione nelle gigafabbriche in Texas e a Berlino aiuterà a ridurre i costi e compenserà in parte il taglio dei prezzi di vendita. Quali potranno essere gli effetti sul mercato in Europa e in Italia? In Europa Tesla è salita nel 2022 all’11esimo posto fra i costruttori con un balzo del 38 per cento a circa 230mila auto vendute (fonte: Dataforce). La sua crescita ha superato l’aumento del 29 per cento del totale delle auto a batterie, anche se la sua quota sul mercato elettrico – 15 per cento – è lontana dall’essere dominante; Model Y e Model 3 sono stati comunque i due modelli a batterie nettamente più venduti in Europa, con 135mila e 90mila consegne.
Tesla ha di fronte due sfide: ampliare il mercato e rinnovare la gamma di prodotto. Sia in Europa che in Cina, Model 3 e Model Y sono auto “grandi”; questo finora è andato bene poiché era il segmento di mercato in cui il prezzo relativamente elevato dell’auto elettrica era più accettabile dalla clientela. Una delle geniali intuizioni di Musk, anzi, è stata proprio quella di attaccare il mercato elettrico “dall’alto” e non dalle mini-auto da città come avevano fatto i concorrenti.
Ora però la concorrenza ha iniziato a offrire anche auto medie a prezzi che per marchi cinesi come MG o BYD possono scendere sotto i 30mila euro. In un report di dicembre gli analisti di Evercore hanno scritto che «in Europa e in Cina Tesla ha assolutamente bisogno di un’auto più piccola e più economica, un Model 2». Il Model 2, di cui Musk ha parlato in passato, non arriverà però prima di qualche anno; il taglio dei prezzi potrebbe essere uno dei modi per mantenere l’offerta attuale competitiva. Lunedì Ford, uno dei principali concorrenti di Tesla sul mercato americano, ha deciso a sua volta di tagliare i prezzi delle Mustang Mach-e sia pure in misura inferiore.
Anche alcuni costruttori cinesi hanno risposto con misure simili; altri, come la coreana Kia, non lo faranno e hanno definito la tattica “rischiosa”. Tesla non è certo il primo costruttore a sfruttare i costi più bassi per mettere in difficoltà la concorrenza: lo aveva già fatto Henry Ford più di un secolo fa. Poiché una delle accuse più frequenti all’auto elettrica è di essere troppo cara, il taglio dei prezzi di Tesla contribuirà a favorirne la diffusione? Se finora Tesla aveva “rubato” quote di mercato a Bmw o Mercedes, i nuovi livelli dei prezzi la mettono in competizione con aziende più “popolari” come Volkswagen o Hyundai; si resta però su livelli di prezzo dai 40mila euro in su, ovvero la fascia medio-alta del mercato. Per ora la speranza di un’auto a batterie alla portata di tutti è ancora legata all’arrivo di modelli cinesi o al progresso tecnologico che ridurrà il costo delle batterie.
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