Se cambiasse il governo a Parigi si aprirebbe una nuova fase anche per il gruppo italiano di tlc. Il finanziere sponsor della destra è alla ricerca di un accordo per vendere la sua partecipazione
Il nemico del mio nemico è mio amico. Davvero? L’antico proverbio ispira da secoli le strategie di statisti e generali, ma sembra difficile da applicare nel caso dei rapporti tra Italia e Francia. Vale per la politica e ancor di più, forse, per l’economia.
Non per niente pochi analisti si azzardano a pronosticare una futura alleanza in chiave europea tra Giorgia Meloni e Marion Le Pen, nonostante la comune avversione per Emmanuel Macron. C’è destra e destra. E quella filorussa ed euroscettica che appare vincente a Parigi è diversa dal partito meloniano che a Roma ora si descrive come atlantista e moderata anche nel rapporto con Bruxelles.
Partita a poker
In queste settimane di campagna elettorale, e nelle prevedibili complicate trattative post voto si gioca però anche un’altra partita. È un poker dalla posta miliardaria che vede impegnato un giocatore abile e spregiudicato come Vincent Bolloré.
In Francia, il patron del gruppo Vivendi è lo sponsor più influente della scalata di Le Pen, mentre in Italia si trova coinvolto in due complicate e annose vicende ad alta gradazione politica, come quelle che ruotano attorno a Tim, già Telecom Italia, e alla Mediaset, ora Mfe, della famiglia Berlusconi.
Nel gruppo di telecomunicazioni, come noto, il governo Meloni sta pilotando la vendita al fondo Kkr della rete telefonica, mentre gli eredi del Cavaliere sono ancora i padroni di casa in Forza Italia. Bolloré, tramite Vivendi, è socio importante di Mfe e nel caso di Tim è addirittura il primo azionista, ma di fatto la sua quota del 23,7 per cento, è ininfluente.
Conti in rosso
Questa situazione è già costata almeno 3 miliardi di euro alla holding del finanziere, che, comprensibilmente, sarebbe pronto a lasciar perdere l’Italia, come si vocifera da tempo in ambienti bancari. Nel frattempo, il tycoon di origine bretone, forte di un gruppo che in Borsa vale quasi 10 miliardi, è diventato il megafono della propaganda anti Macron.
Il suo impero mediatico, che comprende i canali della piattaforma tv Canal Plus oltre a Europe1, a cui vanno aggiunti i periodici Journal de Dimanche e Paris Match, lavora alacremente per conto della destra e si deve anche alle manovre di Bolloré la spaccatura nel campo gollista, con una parte del partito pronta ad appoggiare Le Pen. Allo stesso tempo il finanziere, dopo anni di inutili tentativi, avrebbe più che mai bisogno dell’aiuto di Meloni per uscire dalle sabbie mobili italiane.
Così, adesso, negli ambienti finanziari c’è chi vede nei nuovi assetti politici in Europa la chiave che aprirebbe la porta al disimpegno di Vivendi. La questione, per la verità, riguarda più che altro Tim, perché su Mediaset l’accordo con Fininvest, un accordo che congela la partecipazione del 19,8 per cento in portafoglio ai francesi, scadrà nel 2026. I francesi «incassano buoni dividendi e penso siano soddisfatti», ha detto Pier Silvio Berlusconi pochi giorni fa.
Manovre in corso
La partita telefonica, invece, è in pieno svolgimento, e qui Vivendi appare ancora più che mai schierata contro il progetto dell’amministratore delegato Pietro Labriola, appoggiato dal governo di Roma che è pronto a investire un paio di miliardi nella nuova società controllata dagli americani di Kkr. La vicenda è finita in tribunale, dove i francesi hanno fatto causa a Tim per bloccare l’operazione.
La sentenza però non arriverà prima del prossimo autunno, e a quel punto il nuovo assetto di Tim sarà già cosa fatta, visto che la vendita della rete, con il passaggio delle azioni, avverrà quasi certamente entro qualche settimana.
Una volta chiuso questo capitolo, Vivendi resterà però azionista rilevante della società guidata da Labriola, a cui partecipa anche lo stato tramite la Cassa depositi e prestiti. La holding di Bolloré ha evitato di andare allo scontro diretto all’assemblea dell’aprile scorso, dove non ha presentato una propria lista per il consiglio di amministrazione (solo per il collegio sindacale) astenendosi nel voto per il rinnovo delle cariche nel board.
Convenienza reciproca
Più di un osservatore ha interpretato la scelta dell’azionista transalpino come un segnale di apertura a un’ipotetica trattativa. La base di partenza è che non conviene a nessuno che continui a restare in campo un socio ingombrante come Vivendi, in grado di ostacolare la gestione da parte del cda in carica.
Ecco, allora, che una prossima eventuale convergenza a destra dei governi di Roma e di quello di Parigi potrebbe favorire una soluzione a un’impasse che si trascina ormai da anni. In questo caso la partita di Tim diventerebbe uno degli snodi della trattativa tra le due destre, perché a nessuna delle parti, questa volta, converrebbe spingere troppo sul pedale del nazionalismo.
Il sostegno alla destra frutterebbe così un primo dividendo concreto a Bolloré sul fronte italiano. Sempre ammesso, ovviamente, che alla fine Le Pen riesca davvero a conquistare Parigi.
© Riproduzione riservata