- L’obbligo di gare per i trasporti pubblici locali (Tpl) sostanzialmente risale al 1997, ma non ha generato conflitti politici perchè viene di fatto aggirato.
- Primo per il ruolo che giocano gli enti locali contemporaneamente giudici e competitor, ma anche attraverso “trucchi”.
- Dalle ristrutturazioni aziendali all’utilizzo del sistema del lotto unico che disincentiva la concorrenza: cosa non funziona.
L’obbligo dell’affidamento in gara delle concessioni balneari risale, con l’approvazione della direttiva europea 123 nota come Bolkestein nel 2006, a due decenni fa. L’obbligo di gare per i trasporti pubblici locali (Tpl) è ancora precedente, 1997, ma al contrario del primo non ha generato nessun problema politico. Perché quella norma è stata aggirata. Di gare ne sono state fatte moltissime, ma nel 99 per cento dei casi sono state vinte dal concessionario preesistente (incumbent). Nessuna delle maggiori città italiane ha visto un cambio di concessionario.
Poiché è inverosimile che gli incumbent siano tutti più efficienti dei concorrenti, è evidente che non si è trattato di gare vere. Perché la normativa consente al giudice – un qualsiasi ente locale – di essere anche concorrente con la propria impresa.
Anche in caso di improbabile vittoria di un concorrente quell’ente locale, che è il concedente, sarebbe ostile al vincitore, e disporrebbe di molti mezzi per “vendicarsi”.
Vi sono anche norme che tutelano integralmente i lavoratori dell’incumbent in caso di subentro. Norma in sé condivisibile, ma in contesti inefficienti per eccesso di personale, scarsa produttività o assenteismo rilevante – si pensi al caso di Roma – si tratta di un innegabile disincentivo. Lo stesso può essere detto per l’evasione tariffaria, spesso ampiamente tollerata:, a Napoli ha raggiunto anche il 40 per cento.
Chi ha paura delle gare
I soggetti che più avrebbero da perdere in caso di gare vere sono i dirigenti meno efficienti, e più politicamente collusi. Questi hanno certo modo di essere particolarmente tolleranti o addirittura incoraggianti nei confronti di azioni di protesta dei dipendenti, puntali in caso anche solo di ipotesi di gare.
I politici al governo degli enti locali concedenti perderebbero spazi di “voto di scambio”. Se praticato nei periodi precedenti la gara, è esso stesso un fattore alla base dell’elevata conflittualità dei dipendenti prima citata.
In termini di protezione del lavoro (il cui costo medio varia intorno ai 45 mila euro annui lordi, sensibilmente più elevato che nel settore privato a parità di mansioni), la normativa in essere sposta molti di tali costi sulla parte di lavoratori a maggiore anzianità e non direttamente addetti alla guida, mentre questi ultimi godono di retribuzioni modeste.
Anche le ristrutturazioni societarie hanno spesso consentito di evitare le gare, e molte di queste sono sembrate finalizzate più a questo obiettivo che ad aumenti di efficienza.
Per il futuro, se la legge sulla concorrenza non vi porrà rimedio, vi è un’altra strategia potenzialmente molto efficace per le città maggiori: quella del lotto unico di gara.
Poiché le economie di scala per i servizi prevalenti, quelli di autobus, esistono solo a livello dei depositi, non vi è nessuna ragione economica nelle città maggiori che hanno depositi multipli, a mantenere unico il lotto di gara. Anzi, come insegna la positiva esperienza londinese, il frazionamento dei lotti evita i rischi di un vincitore con troppo potere nei confronti del concedente, soprattutto in caso che prestazioni inadeguate ne richiedessero la sostituzione.
A cosa servono
Quali possono essere gli obiettivi delle gare? Diminuire i sussidi che oggi mediamente superano il 50 per cento dei costi di produzione sembrerebbe quello dominante. Ma gli obiettivi dei concedenti possono essere differenziati: potrebbe essere invece l’estensione dei servizi a parità di tariffe, se la domanda lo giustificasse.
O ancora la diminuzione selettiva delle tariffe: se solo gli aumenti di efficienza consentissero di passare dai livelli attuali italiani di costo di produzione (circa 4 euro a bus-km) a quelli medi europei di 2,5 euro, metà degli utenti, quelli a più basso reddito, potrebbero viaggiare gratis.
Un obiettivo di efficienza implicito è poi quello relativo all’innovazione tecnologica, potenzialmente molto vivace nel settore. O, ancora, per alcuni segmenti dell’offerta, alla sperimentazione di forme di liberalizzazione completa del servizio (senza sussidi).
Perché nessun ente locale ha mai dichiarato le motivazioni sociali che stavano alla base della sua radicale contrarietà a fare gare vere, contrarietà verificata nei fatti? Ovviamente se le imprese incumbent fossero efficienti, la gara non presenterebbero nessun “rischio politico”.
La risposta è duplice: da un lato nel non esplicitabile “voto di scambio” che domina il settore, dall’altro l’assenza di un reale vincolo di bilancio: i sussidi non sono mai venuti meno, nemmeno nei casi delle gestioni più inefficienti.
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