- Parigi e Roma arrivano alla firma del trattato del Quirinale in condizioni politiche molto diverse. Anche sul fronte dei negoziati del settore bancario.
- Il governatore in attesa di riconferma Villeroy non ha firmato, unico tra i grandi paesi Ue, l’appello delle autorità di vigilanza per introdurre rapidamente i nuovi requisiti di capitale per le banche.
- Mentre per la prima volta l’Italia deve temere meno per l’introduzione delle nuove regole. Una moneta da spendere nelle trattative della sempre attesa Unione bancaria
L’Unione bancaria è tra i dossier che saranno inseriti nel trattato del Quirinale, l’accordo bilaterale che il 25 novembre dovrebbe portare Roma a ottenere con la Francia una intesa almeno paragonabile al trattato franco – tedesco d’Aquisgrana.
Italia e Francia arrivano alla firma del Trattato in momenti politici molto diversi.
Il contesto politico
Nonostante tutti i problemi che Draghi si ritrova in casa, e non sono pochi, al momento l’ex presidente della Banca centrale europea è certamente più stabile dell’interlocutore francese, la cui rielezione alle elezioni presidenziali del 2022 non è affatto scontata.
Il contesto politico si riflette anche sulla gestione francese dei dossier economici, e sulla necessità di ascoltare gli interessi delle varie lobby, a partire ovviamente dalle banche.
Nei prossimi anni dovrebbe entrare in vigore, infatti, la parte più indigesta alla Francia del pacchetto di regole detto Basilea 3, cioè il sistema di regole messo a punto a livello internazionale in reazione alla crisi del 2008.
L’ultima parte del pacchetto aumenta i requisiti di capitale delle banche, in particolare delle grandi banche che utilizzano modelli interni di calcolo del rischio, ma senza spingersi troppo in là nell’utilizzo di modelli standard di calcolo.
Tanto è vero che la Banca centrale europea (Bce) e l’Eba (Autorità bancaria europea) hanno spiegato che gli effetti sul patrimonio secondo i loro calcoli si concentreranno soprattutto sugli istituti che finora hanno risparmiato grazie all’utilizzo di modelli di calcolo di rischio spesso opachi e difficilmente comparabili.
La proposta di adozione delle regole doveva essere presentata in autunno dalla Commissione europea e entrare in vigore per i paesi dell’Ue nel 2023, dopo essere stato già rimandato per via della pandemia.
A ottobre, però, secondo quanto ci risulta da una fonte vicina al dossier ci sono state telefonate abbastanza convulse tra Parigi e Bruxelles, e alla fine il pacchetto è stato a suo modo fermato.
La maggioranza dei governatori delle banche nazionali dei paesi Ue coinvolti in una negoziazione faticosa ma che aveva portato dei frutti sono stati colti di sorpresa. E di fronte al clima politico ostile alle regole che montava in Francia, hanno scritto alla Commissione europea per chiedere di attenersi allo spirito e alla lettera delle norme negoziate, mentre Bce e Eba indirizzavano a Bruxelles una seconda lettera dello stesso tono.
La posizione di Villeroy
Come ha spiegato Reuters l’unico a non aver firmato quell’appello è stato proprio il governatore della banca di Francia, François Villeroy de Galhau, che si è giustificato spiegando di condividere la sostanza della lettera ma di non considerare utile la tempistica visto che non si conosceva ancora la proposta della commissione.
La faccenda risulta ancora più interessante se si considera che Villeroy era stato uno dei più grandi sostenitori del pacchetto: solo pochi mesi prima di fronte alla commissione finanze dell’Assemblea nazionale francese, aveva dichiarato di mettere tutta la sua convinzione in favore delle nuove regole: non adottarle, spiegava, significa assumersi «un rischio di instabilità e di isolamento».
Nello stesso periodo in cui si asteneva dal firmare l’appello, l’ex direttore generale di Bnp Paribas che François Hollande aveva chiamato nel 2015 al guidare la Banque de France, stava aspettando la riconferma alla carica di governatore da parte di Macron. Conferma che poi è puntualmente arrivata, anche se ora deve essere ratificata dal parlamento.
La Commissione europea, nel frattempo e come spesso accade, ha trovato un compromesso. La proposta presentata dalla commissaria Mairead McGuinness il 27 ottobre scorso, prevede sì l’adozione del pacchetto di regole, con l’obbligo di rispettare un tetto ai risparmi patrimoniali calcolati dalle banche attraverso i loro complicati modelli interni, ma soprattutto rimanda il pacchetto dal 2023 al 2025.
Il risultato è stato accolto con somma gioia della associazione delle banche europee, compresa quella italiana.
L’Associazione bancaria italiana, che da poco ha riconfermato ancora una volta Antonio Patuelli come presidente, chiede esattamente come i francesi flessibilità sui requisiti patrimoniali che le banche devono rispettare e, esattamente come i francesi, sottolinea la necessità di essere competitivi con le banche extra Ue, in particolare statunitensi e britanniche.
In nome della sovranità europea, e della difesa nei confronti dei competitor statunitensi e cinesi, Germania e Francia hanno portato avanti la battaglia per riformare la normativa degli aiuti di stato. Considerati i risultati le banche francesi da mesi propongono la stessa cornice retorica per svuotare di obblighi anche il pacchetto di Basilea 3 sulle banche.
Il discorso di Signorini
L’atteggiamento delle autorità italiane è, però, abbastanza diverso da quello di Villeroy. Le banche italiane, considerate per anni e non a torto l’anello debole del sistema europeo, si sono confrontate con un approccio di vigilanza standardizzato e hanno dovuto fare una pulizia pesante dei loro bilanci. Durante i negoziati di Basilea, l’Italia ha chiesto norme più stringenti per il calcolo dei rischi del trading e dei prodotti finanziari complessi, tabù per i grandi gruppi francesi e tedeschi.
Luigi Federico Signorini, attuale direttore generale della Banca d’Italia, lo ha spiegato perfettamente nel discorso con cui il 5 novembre ha fatto il bilancio degli anni passati a riscrivere le regole del sistema bancario internazionale.
«Avremmo preferito», ha spiegato, «una calibrazione più rigorosa» del tetto di risparmio patrimoniale che le banche possono conseguire con l’uso dei modelli di calcolo del rischio interni, sulla scorta dell’esperienza della supervisione italiana che aveva tradizionalmente scoraggiato modellizzazioni particolarmente aggressive».
Anche le banche italiane, ha aggiunto rimarcando la differenza tra l’interesse italiano e quello di altri paesi europei, qualche volta si lamentano dei requisiti aggiuntivi, ma Basilea 3 «ha raddrizzato due storture che andavano a loro relativo, netto svantaggio: lo squilibrio tra i requisiti a fronte del rischio di credito e a quelli legati al trading, i primi pesati molto più dei secondi, e l’eccessiva tolleranza di modelli aggressivi».
Più forti al tavolo
Questo significa che al tavolo sull’unione bancaria, dove per anni siamo stati i più insistenti a chiedere di fare passi avanti sulla garanzia dei depositi europea, con ben pochi risultati e sempre da una posizione di debolezza, l’Italia si presenterà più solida di prima. Per la prima volta in grado di affrontare l’introduzione delle nuove regole sulle banche in una posizione di relativo vantaggio rispetto alle altre due grandi economie europee. Certo su altri negoziati come quello della riforma dell’Eurozona, non siamo altrettanto solidi. Tuttavia avere moneta da spendere serve soprattutto se il paese con cui firmiamo un trattato che include l’unione bancaria non ha al momento la stessa moneta.
Nell’ultimo negoziato sull’Unione bancaria, per esempio, la Francia ha permesso alla Germania di ottenere l’esenzione di quattordici banche di sviluppo regionali dal rispetto dei requisiti di capitale, solo dopo aver ottenuto in cambio un abbassamento dei requisiti di capitale richiesti alle banche francesi con divisioni all’estero.
Se l’Italia non si piegasse a sua volta alle sue lobby, quello delle banche potrebbe essere un caso di scuola dei nuovi possibili equilibri dell’Unione europea.
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