La prima legge di Bilancio del governo Meloni – 35 miliardi, di cui 21 in deficit per far fronte per tre mesi al caro bollette – è ufficialmente legge. Con 109 voti di fiducia, 76 contrari e un astenuto, l’esecutivo ha incassato il sì del Senato giusto prima che la premier si sottoponesse a 45 domande di conferenza stampa utile soprattutto a rivendicare le scelte della manovra.

E quindi, come ormai ci ha abituato, ha rivendicato le scelte politiche e la responsabilità sui saldi, ha negato alcune verità – i problemi di iniquità sul fisco – e detto alcune bugie, tra le altre che lo stralcio delle cartelle non riduce le entrate dello stato, perché i costi per la riscossione sono alti: peccato che molti siano già stati sostenuti e lo stato, spiega la relazione tecnica, li debba rimborsare. Soprattutto la premier ha rivendicato che la sua è una manovra pensata per giovani, donne e imprese e pensata per «non disturbare chi crea ricchezza».

Sui giovani, Meloni ha investito, glielo riconosce anche il Consiglio nazionale giovani che promuove la legge di Bilancio negli aiuti per i mutui sulla casa. Sulla decontribuzione per le assunzioni e sul sostegno con borse di studio a chi si iscrive alle facoltà tecnico scientifiche. Per le donne aumenta il congedo per entrambi i genitori di un mese e investe nell’assegno unico togliendo ai poveri del Reddito di cittadinanza.

Lavoro povero

Peccato che mentre con una mano il governo faccia questi interventi, tutta l’impostazione della manovra sia contraria al problema che donne e giovani soffrono

di più: il lavoro povero. Secondo il rapporto sul lavoro povero del Forum DD, giovani e donne sono le due categorie che hanno impieghi più mal retribuiti, soprattutto perché legati a part time involontari e forme di lavoro intermittente. Un’elaborazione basata sui dati Inps e del ministero del Lavoro mostra come il lavoro povero incide sul 24,6 per cento sui lavoratori uomini e sul 38 per cento delle lavoratrici donne.

Anche per fascia di età le disparità sono evidenti: nella fascia tra i sedici e i 34 anni l’incidenza del lavoro povero è pari al 43 per cento, contro il 25 dei lavoratori tra i 35 e i 50 anni e il 23 per cento degli ultra 50enni. L’intervento sul cuneo fiscale porterà loro in tasca al massimo 14 euro, mentre è lavoratore povero uno su cinque dei percettori di reddito di cittadinanza e sono lavoratori poveri anche quelli che lavorano nei settori per cui la maggioranza di governo ha liberalizzato l'uso dei voucher.

Ieri la premier ha giustificato le misure sui voucher come uno strumento di lotta contro il lavoro sommerso, in sfregio a ricerche – una tra le più recenti è dell’Inps – che invece mostrano come i voucher abbiano esattamente favorito l’economia sommersa. Meloni ha detto che ora gli abusi – enormi sui voucher negli anni passati – potranno essere contrastati grazie all’uso della tecnologia digitale e ha detto che aumenterà i controlli, ed è forse per questo che ha sostituito dopo appena un anno il capo degli ispettori del Lavoro. Ha tuttavia ammesso che la direzione è una liberalizzazione pensata per il lavoro stagionale.

Lo stesso rovesciamento c’è stato sull’innalzamento del tetto al contante: la presidente del Consiglio ha negato qualsiasi relazione con l'evasione fiscale, sostenuta da tutte le autorità indipendenti ascoltate sulla legge di Bilancio e ha presentato l’idea di limitare l’uso del Pos su cui pure è stata costretta a fare marcia indietro come un sistema per la semplificazione.

La cornice politica generale è quella che la premier ha offerto anche nel discorso del suo insediamento: «Non disturbare chi crea ricchezza». Ma se per creare ricchezza si intende creare lavoro, quello che non viene detto è a che condizioni si permette di creare lavoro. Sul fisco il problema è lo stesso: chi sta peggio.

Meloni ha detto che ci sono studi che provano come la flat tax non favorisca gli autonomi. Non lo ha spiegato ma probabilmente si riferiva al fatto che le partite Iva più povere, anche qui tendenzialmente più giovani, sono comunque svantaggiate. Il punto è che la flat tax per gli autonomi, essendo una tassa piatta, aumenta il vantaggio per chi vi accede al crescere del reddito, per cui i vantaggi maggiori sono per gli autonomi con i redditi più alti. Ancora a chi le chiedeva cosa avrebbe fatto sul catasto, ha dichiarato che «da questo governo» non partirà mai una tassa sulla casa, «un bene sacro non pignorabile e non tassabile». Ancora una volta poco importa che ci sia un quinto degli italiani che una casa non ce l’ha e che non viene toccato da tutte le politiche a favore dei proprietari, e poco importa anche che i comuni che già non incassano più l’Imu dei residenti ora abbiano problemi grossi anche con le seconde case. Del resto, è proprio dai comuni che si stanno alzando voci critiche sugli stralci delle caselle esattoriali – parte delle dodici misure della pace fiscale – perché al contrario di ciò che dice la premier per loro si traducono in meno entrate. Del resto chi ha bisogno dei servizi di comuni e in generale di un fisco equo sono sempre gli stessi: coloro che stanno peggio, in Italia soprattutto giovani e donne.

 

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