- Peter Bofinger, professore di Politica monetaria ed economia internazionale all’università di Wuerzburg, è stato per 15 anni, dal 2004 al 2019, membro del consiglio tedesco degli esperti economici, l’organo costituzionale che consiglia il governo di Berlino sulle decisioni in materia economica.
- Gerard Schroeder, che fino al 2005 fu cancelliere, lo aveva proposto come membro del board della Banca centrale europea. ma con la vittoria della Cdu alle elezioni la posizione venne assegnata a Jurgen Stark, un falco, come il suo successore Jens Weidmann.
- In collegamento via zoom dal suo studio in Baviera, Bofinger ricorda Draghi dicendo che di fronte all’immobilità dei politici duranta la crisi dell’euro, l’ex presidente della Bce scelse «una via pragmatica» che ha salvato l’Eurozona
Gerard Schroeder, che fino al 2005 fu cancelliere, lo aveva proposto come membro del board della Banca centrale europea, ma con la vittoria della Cdu nelle elezioni di novembre la posizione venne poi assegnata a Jurgen Stark, oppositore delle politiche della Bce, come il suo successore Jens Weidmann. Era iniziata l’era di Angela Merkel e di quella lunga stagione Bofinger ricorda il momento in cui Mario Draghi fece quello che agli economisti conisglieri di Merkel non era riuscito. Era la fine del 2011, la crisi del debito aveva travolto la Grecia, Berlusconi si era dimesso da un mese.
Costretto dallo spread che viaggiava sopra i 500 punti base a segnalare che le finanze italiane non reggevano più. Non sapevamo se saremmo riusciti a pagare le pensioni, ricorderà poi Mario Monti. A dicembre 2011, mentre Nicolas Sarkozy e Angela Merkel inanellavano scelte politiche nefaste e i sostenitori della solidarietà combattevano contro quelli della responsabilità, in quell’anno terribile in cui l’Eurozona rischiava davvero la disgregazione, i cinque membri del consiglio economico tedesco proposero a Merkel un piano per salvare l’unione monetaria. Lo elaborarono insieme con anche Lars Feld, oggi consigliere del ministro liberale delle finanze Christian Lindner: tutti vedevano l’urgenza di un intervento.
Quel piano proponeva di separare il debito eccedente il 60 per cento del Pil dei paesi dell’Eurozona e di creare un fondo a garanzia comune, con Germania e Italia come principali contributori, temporaneo, con un orizzonte di 25 anni in cui gli stati avrebbero dovuto rientrare del debito eccedente. Una proposta ben più avanzata di quelle che poi furono adottate con il Fiscal compact, sottoscritto nel marzo del 2012.
«Angela Merkel bocciò la nostra proposta, non se la sentì per opportunità politica», dice oggi Bofinger, in collegamento via zoom dal suo studio in Baviera. Di fronte all’immobilità dei politici, Draghi scelse quella che il professore definisce «una via pragmatica».
Cosa è rimasto del Whatever it takes di Mario Draghi, dieci anni dopo il celebre discorso di Draghi?
Draghi ha cambiato l’area euro. L’aspetto più importante del Whtaver it takes è che ha contribuito a completare una unione monetaria incompleta. Senza unione politica, i paesi dell’area euro come la Spagna e l’Italia che non controllano la moneta sono esposti a rischi che altri, gli Stati Uniti, il Giappone o la Gran Bretagna non corrono. Questa fragilità è stata rimossa nel momento in cui la Banca centrale europea si è posta come responsabile e garante della stabilità dell’Unione.
Una garanzia valida ancora oggi?
Il cambiamento è stato permanente, anche se l’unione resta ancora incompleta. Basta pensare che nel mezzo della crisi finanziaria del 2009, mentre la banca centrale americana e quella inglese intervenivano a sostegno del debito, la Bce è rimasta passiva, senza supportare il deficit, durante la crisi pandemica la Bce ha dato la prova reale di finanziare il deficit legato al Covid di tutti i paesi dell’area euro, come era davvero necessario in una emergenza di quella portata. Il cambiamento del 2012 è servito anche ad affrontare la pandemia.
Ora però è servito un nuovo scudo salva spread, un nuovo strumento contro la frammentazione. Come è giudicato questo intervento dagli economisti tedeschi?
Nel 2012 in una situazione veramente drammatica, noi come consiglio degli esperti economici del governo tedesco proponemmo a Merkel un piano di garanzia comune del debito che imponeva agli stati di condividere i rischi. Lei lo bocciò, non se la sentì politicamente. E allora non vedendo soluzioni politiche, Draghi trovò una soluzione pragmatica, che è rimasta. Sul nuovo strumento appena annunciato, però, la maggioranza degli economisti tedeschi è ancora scettica perché lo considerano un sostegno troppo ampio che orienta meno alla stabilità delle finanze.
E lei cosa ne pensa?
Io direi che è disegnato intelligentemente, perché la Bce per attivarlo prevede il rispetto di criteri che non dipendono dalla Bce. Gli stati devono rispettare il patto di crescita, le raccomandazioni di bilancio, tutte regole decise dai ministri dell’area euro, non è la Banca centrale che decide sulla deviazione delle regole, ma la politica.
Come giudica finora il mandato della presidente Christine Lagarde?
La Bce ha dovuto affrontare la tempesta perfetta con la pandemia e alla fine ne è uscita con un basso livello di disoccupazione, un risultato che nessuno si aspettava. Lo ha fatto garantendo un enorme sostegno a tutti gli stati dell'unione monetaria, in una crisi che era peggiore di quella 2009 – 2010.
Anche la scelta di aumentare i tassi di interesse è stata fatta con l’approccio corretto perché per assicurare che la trasmissione della politica monetaria sia uguale in Italia come in Germania, sono considerati sia i tassi di breve termine che quelli di lungo termine.
Eppure il mandato di Lagarde è stato segnato da annunci e retromarce, «Non siamo qui per chiudere gli spread» e poi il passo indietro, poi il rialzo dei tassi e subito dopo una riunione di emergenza per annunciare lo scudo anti spread...
Si possono discutere alcune mosse, piccoli errori, anche io l’ho fatto: per esempio sui tassi di interesse la Bce avrebbe potuto muoversi più rapidamente. Ma al di là di questi errori, bisogna guardare alla strategia generale e ai risultati complessivi.
Il nuovo governatore della banca centrale tedesca, Joachim Nagel, si è dichiarato in un primo momento contrario allo scudo salva spread, anche se poi il consiglio ha votato all’unanimità come ha spiegato Lagarde. Siamo tornati ad aver un problema Bundesbank alla Bce?
Dallo Spiegel alla Faz, non ho letto critiche di Nagel dopo l’approvazione dello scudo anti spread. E questo significa che i limiti posti dalla Bce, a partire dal fatto che i movimenti dello spread su cui intervenire non devono essere basati sui fondamentali economici o comunque legati al paese, sono stati ben pensati da superare la resistenza dei membri del consiglio direttivo.
Quindi le cose sono cambiate.
Nel board della Bce c’è un Mr Bundesbank e ci sono altri 25 membri, quindi la sua posizione conta fino a un certo punto. Conta solo o soprattutto nello spiegare le scelte della Bce ai tedeschi. Il problema è se chi può spiegare le posizioni e la strategia della Bce lo fa in maniera sempre critica. Ora Isabel Schnabel, mia ex collega nel consiglio degli esperti economici, sta facendo molto da questo punto di vista e questo fa la differenza rispetto a prima.
Ogni volta che Lagarde annuncia una decisione importante, poi Schnabel si occupa di spiegarla.
Lei è più brava a comunicare.
Crede che si riuscirà a completare la riforma delle regole fiscali?
Al momento è complicato, l’Unione europea è impegnata in Ucraina, al momento le regole sono sospese e questa è una buona notizia, perché sono datate. Nessuno penserebbe che il Giappone debba rispettare il 60 per cento del rapporto debito Pil. I parametri a cui siamo ancorati non hanno alcuna evidenza scientifica e dal momento che sono state sospese hanno reso più facile anche il compito della Bce.
La Germania che posizione prenderà?
Non lo posso prevedere. Il problema è che i liberali stanno perdendo consenso nella opinione pubblica e hanno perso alcune elezioni regionali e ne hanno altre da affrontare credo che questo forzi il ministro Lindner a mostrare che è realmente impegnato per l’obiettivo della stabilità fiscale. Se la riforma si facesse nel 2024, il ciclo elettorale tedesco si sarebbe chiuso
È ancora credibile l’obiettivo di riduzione del debito per un paese come l’Italia con vent’anni di crescita asfittica?
Il punto non è il livello del debito ma il rapporto tra debito e Pil. L’inflazione in questo è utile perché aumenta il livello nominale del Pil e questa è una buona notizia per l’Italia.
Dopo la fine del governo Draghi, cosa rischia l’Italia?
Io credo che alla fine una soluzione razionale si troverà qualsiasi governo verrà, ovviamente se ci fosse chi supporta l’uscita dall’unione monetaria si andrebbe verso il disastro, sarebbe catastrofico. Ma non credo che ci sia qualcuno che imbocchi questa strada, soprattutto dopo aver lasciato andare via una personalità come Draghi.
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