Intervista a Patrizia Di Dio, presidente Confcommercio Palermo e vice presidente nazionale Confcommercio incaricata alla legalità e sicurezza
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata su Trame, il festival dei libri sulle mafie che si tiene dal 21 al 25 giugno a Lamezia Terme.
Partiamo dal titolo del suo intervento: il fare impresa anche e soprattutto in terre in cui c’è il potere mafioso, un potere pervasivo.
Parlo come vicepresidente nazionale quindi non rappresento solo Confcommercio Palermo, a Trame intervengo in questa qualità, quindi non vorrei concentrarmi sulla questione siciliana anche perché a me sembra che territori difficili, complessi come quello da cui provengo io, hanno in questi anni obtorto collo dovuto maturare quegli anticorpi – anche come società civile abbiamo dovuto mettere in campo; è stato quello che ci ha dato poi la forza di reagire quando poi, dopo le stragi, siamo riusciti a dare una svolta, anche grazie alle risposte dello Stato, siamo riusciti a dare un cambiamento anche epocale. Quindi la mia sensazione è che in città come Palermo o in Sicilia noi possiamo fare impresa affrancati dal pagare il pizzo o da situazioni che non ci appartengono, per chi è una persona perbene e in qualità di persona per bene conduce una azienda sovrapponendo i propri valori di vita a quelli aziendali.
Più complesso in questo momento identificare e prevenire dei fenomeni di pervasività e di criminalità organizzata in altri territori dove questi anticorpi non sono stati sviluppati e magari non si riconoscono i fenomeni mafiosi o vengono sottovalutati.
Io penso che in questo momento dobbiamo essere ancora più allertati laddove ci sono maggiori interessi economici. Lo vediamo anche in questi ultimi mesi abbiamo una ripresa e un Pil dell’1,2% e quindi stiamo facendo bene al di là delle previsioni, nonostante l’inflazione, nonostante la guerra, nonostante tutte le varie crisi che abbiamo dovuto affrontare anche dopo la pandemia, dopo il lockdown; ma il Mezzogiorno no. Quindi abbiamo una fragilità che lungi dall’essere colmata va peggiorando sempre più perché noi cresciamo un quarto, anzi siamo la zavorra di questa ripresa che addirittura in certi territori va a più quattro. Allora è evidente che la criminalità organizzata guarda più ai territori con un + 4 rispetto a quelli depressi con addirittura - 0,02%.
Se poi anche gli imprenditori per bene e la società civile non hanno gli occhi aperti come li abbiamo dovuti aprire noi, non per guardare i morti per strada ma perché comunque abbiamo dovuto fare i conti come società civile, ecco che la pericolosità, la pervasività del fenomeno l’attenzionerei più laddove ci sono meno difese nel DNA della popolazione e quindi meno prevenzione, meno consapevolezza. Ecco manca ancora forse un’adeguata consapevolezza, ma invece sicuramente lo Stato, le forze di polizia lo sapranno e avranno le idee molto più chiare.
E quindi cosa manca per far prevenzione in quei territori dove c’è un problema di sottovalutazione o negazione del fenomeno mafioso? Come Confcommercio voi avete trovato difficoltà a far capire che non conviene rivolgersi alle mafie?
Penso che una persona lucida, che non parte da uno status delinquenziale non va a fare affari consapevole che sta facendo affari con la criminalità organizzata. La criminalità organizzata in questi ultimi periodi post pandemia ha cercato di prendere le aziende con la conseguenza deleterea non soltanto per l’imprenditore a cui per pochi spiccioli magari veniva sottratta l’azienda che valeva un dato importo e magari la doveva svendere per un valore molto più inferiore giusto perché aveva bisogno e non ce la faceva più ad andare avanti; ma col doppio svantaggio non solo individuale per l’imprenditore ma anche per l’economia reale di ritrovarsi con una economia criminale che evidentemente nasconde sotto un pubblico esercizio, un ristorante, una attività apparentemente legale, invece, riciclaggio di denaro sporco o controllo del territorio, perché attraverso l’impresa apparentemente legale si fa controllo del territorio non soltanto per la presenza fisica ma anche perchè dà lavoro. Ci sono tanti risvolti negativi. Penso che la prevenzione non la possiamo fare noi con un passaparola. Certamente la prevenzione mi viene da pensare – ma ci avranno già pensato le forze di polizia – che alle camere di commercio tutte le quote societarie o le società passate di mano a personaggi magari non proprio esattamente sconosciuti agli inquirenti, questi fenomeni avranno strumenti migliori dei miei. Poi tornando all’esempio di Palermo che, come dicevo prima, ha dovuto maturare un po’ prima e meglio gli anticorpi, come Confcommercio noi ci costituiamo parte civile in tutti i processi di mafia dove c’è il fenomeno del racket, estorsione o usura. Nel sito ci saranno all’attivo 40 costituzioni di parte civile nei più grandi processi di mafia, coi nomi dei grandi boss, da Provenzano a Riina. L’abbiamo fatto non perché la costituzione di parte civile significhi risarcimento, perché tutti i risarcimenti vanno a finire nel Fondo nazionale destinato alle vittime di racket e usura, ma dal nostro punto di vista è importante non lasciare sole le persone che denunciano e magari poi continuano a subire intimidazioni o minacce, loro stessi e le loro famiglie, i loro bambini. La presenza di Confcommercio serve a dire che tutta la comunità – e non utilizzo il termine associazione di categoria che sembra un po’ più freddo, un po’ più rivendicativo delle posizioni di parte – ma la comunità imprenditoriale che noi rappresentiamo fa quadrato attorno alle vittime per dire “tu stai facendo il tuo dovere com’è giusto che sia: non sei solo! La società civile, gli imprenditori in questo caso – siamo con te perché è giusto non soltanto a parole ma anche mettendoci la faccia.” E io lo faccio come legale rappresentante e presidente in nome e per conto di chi mi dà mandato, quindi in nome e per conto di tutti quelli che rappresentiamo. Non è un fatto simbolico, diventa sostanziale. E allora questa buona prassi la vorrei esportare, sul lato nazionale, anche a quei territori meno consapevoli perché dal mio punto di vista anche i presidenti di categoria, se li rendiamo più consapevoli e più proattivi anche su queste azioni per intercettare gli imprenditori che denunciano gli usurai che facevano capo alla criminalità organizzata o tentativi di sottrazione d’impresa, poi fanno questo passo della costituzione di parte civile. Giuridicamente ci sono dei passaggi nei nostri statuti e nei nostri codici etici che danno la stura da parte del giudice di accettarci per la costituzione di parte civile, quindi ci sono anche dei tecnicismi che vanno assolti. Ecco che questo cambio di passo anche epocale rappresenterà un percorso che non apparterrà soltanto ad alcuni territori, ma lo traghetteremo come un fatto di accompagnamento e di evoluzione anche dell’attenzione anche su altri territori che non sono soltanto quelli del mezzogiorno, quelli del Sud, quegli più fragili, quelli con un evidente facilità nel controllo dei territori anche se adesso si stanno spostando altrove. Questo per dire quello che vogliamo essere e non soltanto quello che vogliamo fare, noi vogliamo essere dalla parte della legalità, della sicurezza dei territori, del diritto di fare impresa, del diritto alla libertà d’impresa; l’iniziativa imprenditoriale non prescinde da un territorio più sicuro, da un territorio affrancato dalla criminalità, perché anche quello che sembra un diritto, cioè sicurezza, se ci pensiamo è il prerequisito indispensabile della democrazia non tanto per la sicurezza e l’incolumità fisica ma anche sicurezza nel svolgere la propria attività imprenditoriale e a nostra volta garantire lavoro perbene, lavoro da parte dell’impresa sana e legale.
Lei ha parlato della cultura alla legalità: un conto è parlarne e un altro è realizzarla. Soprattutto quando la si spiega ai giovani, molto spesso gli adulti non sono da esempio. E i ragazzi questo fatto lo sentono e poi lo esprimono.
Spesso c’è un’idea triste di legalità di convenienza, cioè una falsa legalità: sono legale se mi conviene, cioè fino a che la sanzione amministrativa o penale non intralcia il mio interesse e posso anche correre questo rischio, dall’altro lato non significa avere una coscienza etica. Mi sposterei a questo punto dalla legalità all’etica. Secondo me c’è stata una bulimia del termine legale, meno del termine etico, del termine onestà, del termine coscienza civile. La legalità è un fattore massiccio, noi viviamo in una società dove ci siamo dovuti dare, dai tempi dei romani, delle regole del vivere civile cioè la mia libertà quando travalica gli interessi degli altri è poi un abuso e quindi c’è questo patto: il diritto sostanzialmente è il patto della società civile in modo che i nostri interessi possano coesistere e sono in equilibrio. Altro è l’etica: l’etica è quella cosa per cui io posso essere perfettamente legale ma essere un farabutto, perché la tradisco, perché non ho nessun senso di rispetto dell’amico, perché sono un vigliacco, insomma per tutti quei comportamenti deteriori dell’essere della persona che di solito sanzioniamo dal punto di vista morale, etico. Noi forse ai nostri giovani stiamo parlando forse troppo di legalità e stiamo dando un po’ meno educazione, quella stessa educazione che ci impartiscono già i nostri genitori. Cioè quando i nostri genitori ci dicono di essere buono e bravo, non di essere legale. Il senso a cui faccio riferimento è quello per cui se noi aderiamo a un principio di regole è perché noi aderiamo innanzitutto alla nostra coscienza più intima; io non potrei mai immaginare di abdicare ai miei valori perché quell’abdicare mi dà comunque un risultato economico, di carriera, o di convenienza, ma questo me l’hanno insegnato i miei genitori, non saprei essere diversa da quello che sono.
Io qualche anno fa ho fatto un piccolo manifesto, una carta dei valori dove ho rappresentato i nostri valori di vita ma che poi diventano i nostri valori di impresa e valori sociali: scrivevo al punto 6 “Perseguiamo la legalità e i valori della Costituzione con forza senza se e senza ma. Non offriamo mai spazio a condizionamenti impropri. Respingiamo l’estorsione e ogni forma di violenza”. A questo punto c’è il punto più personale, perché dico chiaramente “respingiamo l’estorsione e ogni forma di violenza” ma poi dico “rispettare e affermare la legalità è cosa importante in sé ma significa anche avere il rispetto di noi stessi, il piacere di essere liberi, l’orgoglio di essere degni.”
I nostri genitori ci insegnano a camminare a testa alta ma ai tempi miei ci hanno insegnato che camminare a testa alta non significa avere tanti soldi in tasca. Dico invece: vai pure digiuno a letto ma potendo sempre dire una parola in più rispetto agli altri perché devi avere sempre l’orgoglio di essere degna e di essere libera. In più aggiungo: etica e legalità, onestà e dignità non possono essere proclamati devono essere radicati nell’interesse di tutti che danno senso nel nostro vivere quotidiano. Questi sono due passaggi di questo piccolo libricino di 18 punti; a volte si può parlare di cose molto alte, a volte facciamo dibattiti, convegni, cose complessissime mentre in effetti i valori sono molto semplici. L’opportunismo e la convenienza sono quelli di cui si nutre quella zona grigia di cui parliamo alle volte quando diciamo “questo non è mafioso ma quasi...” questa non è una zona grigia, è altrettanto delinquente.
Non ci può essere una persona perbene che per convenienza scenda a patti o venga meno al proprio senso di dignità e di moralità.
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