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Da Derna a Tripoli, le voci libere della Libia vengono censurate. Un duro attacco alla libertà di espressione, scrive la missione delle Nazioni Unite in una nota interna ottenuta da Domani.
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Decine di attivisti e difensori dei diritti umani arrestati illegalmente nel giro di pochi giorni. Minacce di morte e diffamazione online preoccupano la missione Onu nel paese.
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Gli atitvisti sono accusati di apostasia e di agire in contraddizione con i principi dell'Islam.
Tripoli, Derna, Benghasi. Sono decine gli attivisti e difensori dei diritti umani arrestati illegalmente negli ultimi giorni. Una campagna guidata da Lotfi Al-Hariri e dagli uomini dell’Agenzia per la sicurezza interna. Nelle chat su Facebook girano i video delle confessioni estorte sotto costrizione e cresce la paura tra gli attivisti nascosti a Tripoli. In tanti si chiedono come lasciare il paese. E decine di giovani sono già arrivati in Tunisia.
È questo l’ultimo round di intimidazioni e di arresti per schiacciare quel poco che era rimasto di una Libia che si oppone al controllo dei gruppi armati sulla società.
Sono in tutto una decina gli attivisti arrestati e altrettanti i video-confessioni pubblicati dall'Agenzia per la sicurezza interna: «Confesso di essere ateo, laico e femminista» e ancora «confesso di utilizzare i social media e di agire contro la mia religione». Tra i giovani arrestati ci sono anche dipendenti locali di organizzazioni umanitarie internazionali attive in Libia.
Nella Libia post-Gheddafi, dove i gruppi armati e le milizie integrate nel governo continuano a mettere a tacere il dissenso e ad agire in un clima di totale impunità, cresce la paura. Sono tattiche illegali e pericolose, scrivono gli osservatori della missione Onu in Libia: «I video hanno suscitato incitamento all'odio e diffamazione contro gli attivisti per i diritti umani e i sostenitori della libertà di coscienza e di espressione».
Confessioni estorte
Decine di post sono apparsi online e sulla pagina Facebook «lotta al comportamento corrotto e all'immoralità in Libia», con attacchi diretti ai membri della società civile libica, accusandoli di comportamenti anti-islam, ateismo e laicità.
Sulla pagina Facebook, inoltre, ci sono decine di messaggi di supporto ai membri dell’Agenzia per la sicurezza interna: «Stanno lavorando per contrastare l'immoralità». Una campagna che sembra cercare consenso e legittimità politica, e che mira attori locali e giovani libici tra cui i membri del movimento per i diritti umani Tanweer, sciolto ufficialmente lo scorso 13 febbraio, il movimento per il dialogo razionale, un gruppo creato su Facebook all'inizio del 2018; il movimento delle donne Tamazight e alcuni membri del gruppo Al-Barraka attivo su Club House.
Sono decine di giovani arrestati e costretti a confessioni estorte sotto costrizione. Ora sono detenuti dagli uomini dell’Agenzia per la sicurezza interna, non è chiaro su quali accuse. Il 19 febbraio 2022, i social media dell’Agenzia per la sicurezza interna hanno iniziato a pubblicare i video dove i giovani vengono obbligati a confessioni pubbliche: «confermo di essere un membro del Movimento Tanweer e di promuovere l'infedeltà e l'ateismo», ripete un giovane di 20 anni con il volto oscurato.
Gli ufficiali delle Nazioni Unite sospettano che questa confessione sia stata estorta sotto costrizione. «Conosciamo queste tattiche criminali sono le stesse dell'era Gheddafi», racconta un attivista libico ora in esilio in Germania e continua, «questi gruppi armati sono penetrati nella società libica e negli organi con tattiche fondamentaliste ed estremiste. Ora cercano appoggio e legittimazione».
Un altro attivista libico contattato da Domani ha confermato che le forze di sicurezza stanno portando avanti una massiccia campagna di arresti: «Siamo in Trappola. Nel mirino ci sono intellettuali, atei e comunità Lgbti+», ha ribadito, chiedendo di rimanere anonimo per paura di ripercussioni.
Fondato nel 2013, il Movimento Tanweer - dall’arabo illuminazione - era impegnato nel promuovere la tolleranza nella società libica attraverso una serie di programmi, dalla campagna per l'abrogazione della Sezione 424 del Codice Penale (che permette allo stupratore di sposare la propria vittima, in maniera da non essere perseguito penalmente), alla promozione dei diritti della comunità Lgbti+. In un comunicato diffuso dai membri dei movimento - ora rifugiati all’estero - si annuncia la chiusura delle attività : «in una società che si oppone al cambiamento e che rifiuta la diversità e la libertà di espressione».
Omicidi e aggressioni
Intissar al-Hassayri, fondatrice del movimento Tanweer, era stata assassinata a colpi di arma da fuoco il 23 febbraio 2015 dopo aver ricevuto messaggi di minaccia sul suo account Facebook. Altri attivisti e dissidenti politici hanno lasciato la Libia dopo essere stati minacciati, aggrediti o detenuti arbitrariamente. Secondo le Nazioni Unite, ci sono almeno 10.000 persone detenute nei centri di detenzione controllati da milizie e gruppi armati.
Episodi di gravissime violenze e di stupri sono stati recentemente documentati nella prigione di Mitiga, nei pressi dell’aeroporto di Tripoli, controllata dalle forze di deterrenza - Rada Special Deterrence Force (SDF) - una tra le milizie più influenti e potenti di Tripoli. Giudici e procuratori rischiano di essere sequestrati e assassinati semplicemente per il fatto di svolgere il loro lavoro.
Gli attivisti del Cairo Institute for Human Rights Studies, un’organizzazione indipendente che raggruppa le associazioni locali libiche attive nella difesa dei diritti umani, sostengono che la società civile libica, così come le organizzazioni internazionali che operano nel paese, sono ancora soggette alla repressive pratiche dell'era Gheddafi : «Esistono decreti illegali e decisioni arbitrarie che autorizzano i gruppi armati di limitare e sospendere le organizzazioni della società civile», denunciano.
L’ultimo dei decreti, proposto dal governo di unità nazionale di Tripoli lo scorso 31 luglio, obbliga le organizzazioni che operano in Libia ad ottenere un'autorizzazione preventiva dalla Commissione della società civile - un'amministrazione sotto il controllo del consiglio presidenziale libico che spesso condivide richieste e informazioni con gruppi armati affiliati ai Ministeri della Difesa e Interno nella Libia.
In passato, la Commissione della società civile a Tripoli aveva già obbligato le organizzazioni della società civile ad ottenere un'autorizzazione preventiva prima di interagire con l'Ufficio dell'Alto Commissario per i diritti umani, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, la Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia e l'Unione europea.
Dal 2015, secondo i dati raccolti dalla piattaforma libica per i diritti umani, sono almeno 247 i giornalisti e gli attivisti presi di mira da milizie e gruppi armati; e oltre 100 difensori dei diritti umani. Gli attivisti - intercettati negli aeroporti o ai posti di blocco - vengono interrogati, torturati e poi fatti sparire.
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