- Omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso, omissione d’atti d’ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso. Una lunga sfilza di reati che la procura contesta a 59 imputati, tra i quali: ex vertici di Autostrade per l’Italia, Spea, dirigenti del ministero dei Trasporti in servizio e altri non più in quel ruolo.
- Benché i riflettori siano tutti puntati sul processo iniziato a luglio, esiste ancora l’inchiesta figlia di quella su crollo del ponte, ancora in corso ma ormai alle battute finali.
- Si tratta del secondo e terzo filone unito in uno unico e nell’ambito del quale Autostrade ha chiesto un nuovo patteggiamento.
Autostrade per l’Italia ha chiesto di patteggiare anche in un altro dei filoni di indagine sul crollo del ponte Morandi. Dopo averlo fatto nell’inchiesta principale sul cedimento del viadotto concordando una pena di 30 milioni di euro con procura e giudici, ha scelto la medesima exit strategy di fronte ad altre accuse di falsi e mancati controlli in altri tratti autostradali. Toccherà ai pm, adesso, valutare se accordare la richiesta di patteggiamento, che eviterebbe così un lungo processo alla società.
Questa è la novità più rilevante nei giorni dell’anniversario in cui si ricordano le 43 vittime inghiottite dalle macerie del viadotto sopra il torrente Polcevera, progettato dall’ingegnere Riccardo Morandi e realizzato dal colosso Condotte d’Acqua tra il 1963 e il 1967.
Il ricordo di quest’anno, il quarto dal 14 agosto 2018, sarà diverso da tutti gli altri. A 1460 giorni dal cedimento della pila nove del viadotto è iniziato il processo principale, che mira a individuare le responsabilità per i 43 morti del crollo.
La prima udienza è stata celebrata il 7 luglio scorso. Non ce n’è saranno altre fino al 12 settembre, solo allora il dibattimento entrerà nel clou: tre udienze a settimana, calendario serratissimo, che tuttavia non permetterà arrivare a sentenza prima dei due anni.
«Da parte nostra l’impegno è massimo nel rispettare tutte le tappe forzate così da stare nei tempi», dice a Domani il procuratore di Genova Francesco Pinto, che ha seguito personalmente insieme ad altri due pm le delicate indagini sui vertici dell’epoca di Autostrade per l’Italia (Aspi), che dopo il disastro non è più in mano alla famiglia Benetton, ora il 51 per cento è di Cassa Depositi e prestiti (Cdp). Un’uscita di scena dopo il crollo che allo stato è costato parecchio: 9,3 miliardi, spesi non solo da Cdp ma anche dai fondi privati, come Blackstone.
Il processo
Omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso, omissione d’atti d’ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso. Una lunga sfilza di reati che la procura contesta a 59 imputati, tra i quali: ex vertici di Autostrade per l’Italia, Spea (la società collegata alla prima che si occupa di manutenzione), dirigenti del ministero dei Trasporti in servizio e altri non più in quel ruolo.
Solo la lista testimoni presentata dalla procura conta 170 persone. Ancor di più le parti civili, cioè associazioni, enti o persone singole che chiedono un risarcimento per il danno subito dal crollo del 14 agosto: durante l’udienza preliminare in cui il giudice ha deciso di rinviare a giudizio i 59 imputati, erano state ammesse già in 300, altre escluse hanno ripresentato la richiesta alla prima udienza del processo il 7 luglio e a settembre il giudice dovrà decidere se accettarle o no.
L’alto numero di parti civili, con le loro richieste e i loro eventuali testimoni, rischia però di appesantire ulteriormente il dibattimento. Per le parti civili quasi sicuramente però si apre una lunga battaglia giudiziaria che andrà oltre questo processo: se il danno dovesse essere riconosciuto dal tribunale, per quantificarlo in denaro dovranno probabilmente rivolgersi ai giudici civili e iniziare un procedimento nuovo.
I tempi incerti
La preoccupazione della procura di sforare i tempi è, dunque, legittima. «La procura non ha nulla in contrario rispetto alla presenza di così tante parti civili, anzi», spiega il procuratore, «non possiamo però rischiare di andare fuori tempo per questo se i giudici dovessero accettarle tutte chiederemo la limitazione dei mezzi istruttori».
La procura vorrebbe imporre un limite alla convocazione di testi e di altri strumenti che rischiano di dilatare la durata del dibattimento. Un esempio pratico è quello di un’azienda danneggiata economicamente dal crollo e che chiede di essere risarcita. Secondo la procura sarebbe sufficiente che i titolari presentino la documentazione che attesta il calo di fatturato dopo il fatto evitando di chiamare altri persone a testimoniare.
A queste difficoltà si aggiunge poi lo spettro della prescrizione nei futuri gradi di giudizio. Un rischio concreto così come lo è la riforma della giustizia sull’improcedibilità nel caso in cui il processo d’appello non dovesse concludersi entro un limite temporale stabilito.
Su quest’ultimo punto la speranza per la procura è che prevalga il principio previsto dalla norme della non applicabilità della nuova riforma per fatti commessi prima della sua introduzione. Tuttavia potrebbe affermarsi la dottrina del favor rei, per cui se esiste una legge più favorevole per chi è imputato va applicata.
La difesa degli imputati, in particolare dell’ex manager Giovanni Castellucci, punta tutto sull’ipotesi dell’errore di costruzione: in pratica sostiene che all’origine del cedimento della pila nove, che ha prodotto la rovinosa implosione del viadotto, c’è un vizio occulto provocato da errori macroscopici durante l’edificazione dall’azienda dell’epoca. Su questo, sostiene la difesa, esistono prove documentali che verranno portate al dibattimento.
L’altra indagine
Benché i riflettori siano tutti puntati sul processo iniziato a luglio, esiste ancora l’inchiesta figlia di quella su crollo del ponte, ancora in corso ma ormai alle battute finali. Si tratta del secondo e terzo filone unito in uno unico e nell’ambito del quale Autostrade ha chiesto un nuovo patteggiamento.
Un capitolo assai complesso, che riguarda oltre 50 indagati, per i quali a breve la procura di Genova chiuderà l’indagine e chiederà il rinvio a giudizio: i pm dell’inchiesta contestano una sfilza di falsi, frodi in pubbliche forniture, verifiche strutturali fatte male o mai fatte, barriere antirumore non a norma, un crollo di una galleria più altre omesse vigilanze su tratti autostradali di competenza dei magistrati genovesi.
Tra le persone coinvolte e accusate anche dirigenti del ministero dei Trasporti e di società Autostrade. L’indagine è alle fasi finali. È stata fissata da poco l’udienza stralcio per selezionare insieme agli avvocati degli indagati le intercettazioni da produrre. Fatta questa la procura notificherà l’avviso di conclusione indagini e probabilmente chiederà i rinvii a giudizio.
Il pool di magistrati coordinati dal procuratore Pinto ha riscontrato una situazione diffusa di «ammaloramento» delle strutture dal 2017. Gli esperti ingaggiati dai pm, in una relazione del 2021, hanno scritto che «il 75 per cento dei tunnel liguri era fuorilegge» e che la galleria Bertè sulla A26 riportava «gravissimi ammaloramenti» in un contesto di «inadeguati monitoraggi».
«La procura ha fatto un accordo con la nuova dirigenza di Aspi per permettere di fare gli interventi necessari a mettere in sicurezza i tratti interessati», spiega il procuratore.
E così nel giro di due anni sono stati fatte opere di miglioramento che in 20 anni non erano mai state realizzate. In tutte le indagini dopo il crollo il numero di indagati ha toccato quota 140, alcune posizioni poi sono state archiviate, ma è una cifra che rende bene l’idea del complesso lavoro del pool di pm genovesi.
Perché Aspi non è stata subito commissariata?, chiediamo al procuratore Pinto: «Era una delle misure che avevamo immaginato fin da subito, ma Aspi ha preso le contromisure cambiando il modello organizzativo e risarcendo le persone. Motivi sufficienti a godere del diritto di ottenere una misura più lieve, perché altrimenti rischiava il commissariamento e il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione».
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