- Il decreto governativo del 5 gennaio contiene due forme di obbligo vaccinale per gli ultracinquantenni lavoratori o non lavoratori che sono diverse nella forma , ma analoghe nei contenuti.
- Anche se fosse possibile che tutti gli attuali soggetti non vaccinati riuscissero a vaccinarsi entro i prossimi 15 giorni, un livello di protezione efficace si raggiungerebbe solo quando le infezioni staranno già calando in modo spontaneo.
- L’obbligo vaccinale permette però di guardare con minore apprensione alla possibilità di una quinta ondata epidemica, dovuta alla variante Omicron o ad una nuova variante ancora più contagiosa.
Il decreto legge del governo Draghi approvato il 5 gennaio contiene due forme di obbligo vaccinale per gli ultracinquantenni che sono diverse nella forma (rispettivamente obbligo propriamente detto per i non lavoratori e super green-pass per i lavoratori), ma analoghe nel contenuto.
Personalmente non ho titolo per commentare gli aspetti politici del provvedimento né le opposte valutazioni che ne sono state date.
Vorrei invece proporre un ragionamento di tipo epidemiologico che si basa su conoscenze ancora parziali, ma sufficienti per provare a guardare in avanti e prevenire i problemi anziché continuare a rincorrerli.
Bisogna innanzitutto osservare che, anche se fosse possibile che tutti gli attuali soggetti non vaccinati riuscissero a vaccinarsi entro i prossimi 15 giorni, bisognerebbe attendere altre quattro settimane prima di raggiungere un livello di protezione efficace.
Assisteremmo dunque ai primi effetti di questo intervento verso la metà di febbraio, quando ci troveremo, secondo tutte le previsioni e in modo analogo a quanto già accaduto in Gran Bretagna, in una fase in cui le infezioni saranno già nettamente calate in modo spontaneo.
Togliamoci dunque dalla testa che la vaccinazione obbligatoria appena imposta dal governo possa modificare in modo rilevante l’andamento dell’ondata epidemica in corso e le sue ricadute sugli ospedali e sulle attività lavorative.
Ci sono però altre considerazioni che è opportuno fare, la prima delle quali riguarda l’evidenza, finora mai smentita, che i vaccini attuali, anche se sono stati prodotti basandosi sulla sequenza proteica del primo coronavirus di Wuhan, hanno continuato ad esercitare la loro protezione anche contro le varianti che sono state responsabili delle ondate successive.
Questo dato è stato rafforzato dall’osservazione che il booster vaccinale aumenta significativamente la risposta anticorpale (e secondo dati recenti anche quella cellulare) verso la variante Omicron che ha una proteina Spike molto diversa dalle precedenti.
Uno sguardo al futuro
Con queste premesse possiamo ora guardare al prossimo futuro e alla possibilità (non trascurabile) che l’autunno del 2022 ci accolga con una quinta ondata epidemica, dovuta alla variante Omicron o ad una nuova variante ancora più contagiosa.
Non è irragionevole pensare che potremo affrontarla con maggiori possibilità di successo se la popolazione sarà in quel momento quasi totalmente vaccinata con due, o ancora meglio, con tre dosi.
Anche se questa affermazione non può essere sostenuta con assoluta certezza, ritengo che sia sufficientemente fondata per giustificare ogni tentativo di allargare la base dei vaccinati.
Cominciare da subito ha il vantaggio di poter contare su di una macchina vaccinale che si è rimessa in moto e che ora sta correndo, oltre che di sottolineare, una volta di più, come una vaccinazione diffusa resti lo strumento più efficace (insieme al distanziamento sociale) nella lotta alle varianti di SARS-CoV-2 passate, presenti e future.
L’altra metà del problema
Da un punto di vista epidemiologico, l’irrigidimento del governo nei confronti degli ultracinquantenni interessa però meno della metà degli adulti ancora non vaccinati.
Restano inoltre da vaccinare una quota rilevante dei tre milioni di bambini tra i 5 e i 12 anni e circa un quarto dei cinque milioni di ragazzi che hanno tra 12 e 18 anni.
In totale quindi, escludendo i due milioni e mezzo di piccolissimi sotto i 5 anni, rimarrebbero, una volta vaccinati gli ultracinquantenni, circa sei milioni di persone non vaccinate.
Se è vero che tanto gli adulti sotto i quarant’anni quanto i ragazzi e i bambini vanno incontro solo raramente alla malattia grave e all’ospedalizzazione, restano però un importante serbatoio della malattia e contribuiscono alla sua diffusione.
È dunque ragionevole che si faccia tutto il possibile per ridurre ulteriormente questa platea, se non allargando l’obbligo, spingendo ancora sull’acceleratore dell’informazione di qualità, soprattutto per quanto riguarda le fasce più giovani della popolazione.
Non è escluso che qualcuno stia già pensando ad estendere l’obbligo agli over-40 e che il fatto che questo non sia ancora successo non sia dovuto solo alle diatribe della politica, ma anche alla necessità di completare prima le terze vaccinazioni e all’oggettiva difficoltà di somministrare nel giro di poche settimane ulteriori milioni di prime e di seconde dosi.
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