Nel nuovo complesso dell’istituto penitenziario di Roma ci sono 70 casi positivi e decine di detenuti affetti da gravi malattie. Anche il ministero chiede spiegazioni sulla scarcerazione dell’ex senatore
- Il carcere è unico, si chiama Rebibbia, nuovo complesso, e ospita in media 1350 ristretti, ma le possibilità cambiano a seconda del nome e del cognome del detenuto.
- Nessuno vuole sindacare sul caso Verdini, che esce a causa delle sue condizioni di salute incompatibili con il carcere, a seguito di visita medica e decisione del magistrato di sorveglianza, ma a leggere le storie di decine di detenuti emerge la disparità di trattamento.
- Un altro recluso, G.D., ha diverse patologie, una invalidità al 100 per cento e si muove in sedia a rotelle, l'azienda sanitiaria ne ha certificato il pericolo di complicanze polmonari visto anche il rischio covid, ma il tribunale di sorveglianza ha respinto la richiesta. Ora è contagiato.
Il carcere è unico, si chiama Rebibbia, ma le possibilità cambiano a seconda del nome e del cognome del detenuto. Il nuovo complesso, il più grande dei quattro istituti del polo carcerario, ospita in media 1350 ristretti, almeno 200 oltre la capienza.
Qualche giorno fa Denis Verdini, per lungo tempo senatore della repubblica e al centro della scena politica, è uscito dall’istituto dove era entrato 85 giorni prima per scontare una condanna definitiva a sei anni e mezzo, ottenendo la misura meno afflittiva della detenzione domiciliare. Alla base del provvedimento la drammatica situazione in cui versa il carcere di Rebibbia, dove alcune sezioni sono state chiuse per la diffusione dei contagi.
I giudici hanno quindi deciso per la scarcerazione di Verdini, che compirà 70 anni a maggio, disponendo una detenzione domiciliare provvisoria in quanto il regime carcerario, con l’aumento dei casi di Covid-19, non è compatibile con le condizioni di salute dell’ex parlamentare. Verdini ora trascorre il periodo di detenzione pressa la propria abitazione di Firenze.
Nessuno, neanche chi protesta, inascoltato, come i familiari di decine di ristretti, vuole sindacare sul caso Verdini, che esce a causa delle condizioni di salute incompatibili con il carcere, ma a leggere le storie di decine di detenuti emerge la disparità di trattamento. Detenuti che presentano condizioni anche più gravi, ma che non riescono a ottenere ascolto e la necessaria visita per dimostrare l’incompatibilità con la detenzione carceraria.
La accuse a Bonafede
Verdini entra in carcere a inizio novembre, riceve le visite degli educatori, degli assistenti sociali e anche dei parlamentari di ogni schieramento: Matteo Renzi, Matteo Salvini, Roberto Giachetti, Daniela Santanché, del magistrato in aspettativa e deputato renziano Cosimo Ferri.
Un cordone di amicizia e attenzioni si stringe attorno all’ex senatore e leader di Ala, il partitino di ex berlusconiani che ha tenuto in vita il governo Renzi, qualche anno fa. Verdini è entrato a Rebibbia, nel nuovo complesso, e dopo qualche giorno è stato trasferito al G14, il reparto infermeria, è riuscito a ottenere la visita del medico che ne ha certificato l’incompatibilità e poi l’approvazione della misura differita da parte del magistrato di sorveglianza.
Una vicenda che ha avuto anche una ricaduta politica. Il senatore ex M5s Mario Michele Giarrusso ha attaccato duramente il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. «Siamo alle solite vergogne e incapacità di Bonafede, alcuni giorni fa avevo rilanciato l’allarme scarcerazioni per Covid, in quella occasione si era detto di procedere senza ritardi alle vaccinazioni dei detenuti e degli operatori carcerari per evitare nuove scarcerazioni.
L’ottimo e superlativo ministro Bonafede, ovviamente nulla ha fatto al riguardo ed ecco le ovvie evitabili conseguenze», scrive Giarrusso sui social annunciando un’interrogazione urgente. Intanto i vertici del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, hanno chiesto spiegazioni alla direzione dell’istituto di pena per capire l’iter di scarcerazione. Nulla di anomalo, le condizioni di salute sono state giudicate incompatibili con il carcere, visto il rischio Covid, ma la trafila che ha riguardato l’ex senatore si è svolta in tempi da paese civile, mentre per gli altri detenuti i tempi cambiano.
Una condizione carceraria che lo stesso Verdini ha potuto verificare parlando con gli altri detenuti e che ha posto all’attenzione di chi gli ha fatto visita e delle autorità preposte, ma la situazione resta drammatica. A Rebibbia, nel nuovo complesso, padiglione G12, è scoppiato un focolaio Covid, attualmente ci sono una settantina di contagiati all’interno del carcere. I casi dei signor nessuno sono tanti e i tempi sono lunghi, terribilmente lunghi con richieste e sollecitazioni continue, da parte di avvocati e garanti, in alcuni casi anche per accelerare l’invio delle certificazioni di incompatibilità.
Le richieste respinte
M.E. è ristretto in carcere, in isolamento da inizio gennaio, gli è stata respinta la richiesta di domiciliari in quanto l’amministrazione non ne ha certificato il rischio Covid, ma è risultato positivo a quattro tamponi. Ora attende ancora che venga valutata dal giudice l’ultima istanza presentata. A G.D. è andata meglio, alla fine di una battaglia lunghissima è uscito, a distanza di mesi dalle richieste. Ha un tumore, una necrosi e diverse malattie. In carcere ha perso 23 chili, è finito in isolamento precauzionale per Covid.
Dopo lettere e sollecitazioni è riuscito a ottenere la visita ed è stato dichiarato incompatibile con il carcere in quanto la malattia è in stato avanzato, ottenendo la scarcerazione disposta dal magistrato di sorveglianza. G.R attualmente si trova al padiglione G14 dove è stato Verdini.
È un detenuto che ha l’Hiv, ha perso 20 chili, è cardiopatico e presenta altre patologie, attualmente ha l’ossigeno, già due relazioni specialistiche ne hanno accertato la non compatibilità con il carcere, ma è ancora nel braccio G14. In carcere ci sono storie di ogni genere, troppe certificano la violazione costante della nostra Costituzione.
E.H è in carcere perché ha commesso un reato da minorenne, divenuto definitivo a distanza di 11 anni, da quando è entrato non ha ancora avuto modo, nonostante le richieste, di incontrare l’educatore, primo passo per chiedere una misura alternativa. Aspetta da agosto.
Aspettano in tanti, M.Z., come altri, da mesi non vede i familiari e per chiedere il permesso ha bisogno di incontrare l’educatore, ma è in attesa. Un altro recluso, G.D., ha diverse patologie, una invalidità al 100 per cento e si muove in sedia a rotelle, l’azienda sanitaria ne ha certificato il pericolo di complicanze polmonari visto anche il rischio Covid, ma il tribunale di sorveglianza ha respinto la richiesta con questa motivazione: «Le condizioni di vita non appaiono determinare un pericolo di vita, né sono tali da far apparire l’espiazione della pena in istituto in contrasto con il senso di umanità e con la tutela del diritto alla salute, costituzionalmente garantiti». Ora è ricoverato in ospedale, affetto da Covid-19, ma è ancora detenuto, al momento le sue richieste di differimento della pena sono state tutte respinte.
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