Entro la dodicesima settimana abortire a casa propria con il supporto a distanza di personale formato (non necessariamente medico), con il pronto soccorso ostetrico raggiungibile entro un’ora, con antidolorifici e corretta informazione, ha lo stesso profilo di sicurezza sanitaria della somministrazione in ospedale o in ambulatorio. Ma in Italia c’è un’ammenda di 5-10mila euro se ci sono prove che l’aborto volontario è avvenuto fuori dagli spazi autorizzati
Women on web (Wow) e Women Help Women (Whw) sono due tra le organizzazioni che operano in tutto il mondo per garantire l’aborto volontario sicuro anche dove è vietato o vincolato a legislazioni restrittive. Sulle loro piattaforme online è possibile compilare un modulo di consultazione e ricevere uno screening di base per sapere se si possono assumere in modo sicuro le pillole abortive; vengono controllate l’età, la settimana gestazionale e la presenza di eventuali controindicazioni.
Queste organizzazioni lavorano con medici che possono fare prescrizioni e indirizzare a farmacie internazionali.
L’accompagnamento a distanza è garantito durante e dopo l’interruzione di gravidanza. La procedura è assistita online da personale formato, la comunicazione è gestita via mail in diverse lingue, inclusa la nostra.
Da diversi anni le richieste di aiuto arrivano anche dall’Italia, ed entrambe le organizzazioni prevedono che aumenteranno dopo i recenti provvedimenti governativi volti a consolidare o insediare nei consultori la presenza di associazioni come il Movimento per la vita o Pro-vita e famiglia, che fanno del contrasto ai diritti sessuali e riproduttivi e Lgbtq+ il proprio fulcro d’azione.
Da tempo l’Italia è sotto osservazione per le difficoltà di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza, come ha evidenziato anche il parlamento europeo nella recente risoluzione che auspica l’inclusione del diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2024/2655 RSP).
I farmaci
Women on Web ha supportato dal 2005 più di 120mila persone nel mondo, e il suo sito è tradotto anche in italiano. Come racconta a Domani Eleonora, collaboratrice dell’organizzazione, nel 2023 Women on Web ha ricevuto 407 richieste di aiuto dall’Italia, con oltre 700 email. Le motivazioni che hanno spinto le residenti in Italia a rivolgersi a Women on Web sono state molteplici: il 42 per cento non voleva far sapere dell’aborto al partner o alla famiglia, nel 41,77 per cento dei casi i servizi erano troppo lontani, per il 25,8 per cento i costi per fare l’aborto con vie legali erano troppo alti, il 36,86 per cento voleva tenerlo privato.
Le richieste che arrivano a Wow sono spesso l’esito della frammentazione e inefficacia della rete dei servizi, ma anche del desiderio di condurre in autonomia l’interruzione volontaria di gravidanza (nel 40 per cento dei casi), e perché ci si sente più a proprio agio ad abortire in casa propria che in ospedale o in altro luogo pubblico come il consultorio (nel 38,33 per cento). Questi dati non sono, dunque, solo una fotografia delle difficoltà e degli ostacoli nel nostro paese, ma anche un invito a riflettere su cosa sia un aborto “sicuro”. Il mifepristone e il misoprostolo, i due farmaci che, in combinazione, interrompono la gravidanza in oltre il 98 per cento dei casi, con poche controindicazioni e rari effetti collaterali, consentono di ridurre drasticamente l’intervento medico, ridistribuendo le forze in campo a vantaggio di donne e gestanti. Quella delle organizzazioni che supportano l’aborto autogestito in telemedicina è, dunque, anche una sfida di natura politica.
Il lavoro di Wow e Whw
«Abortire non è mai stato così sicuro e semplice come adesso, e mai come ora si cerca deliberatamente di rendere l’aborto una faccenda complicata. Questo non ha a che fare con la scienza, poiché le evidenze scientifiche a favore dell’aborto autogestito già ci sono e continuiamo a produrne. La questione vera è il controllo sulla riproduzione e sui corpi gestanti», commenta Kinga Jelinska, da 18 anni militante di Women Help Women.
Ci racconta anche di Abortion Dream Team, organizzazione che in Polonia ha accompagnato più di 10mila persone nell’aborto farmacologico autogestito, e di Abortion Without Borders, network che supporta anche economicamente i viaggi di chi, in Europa, non può abortire nel proprio paese e che tra il 2020 e il 2023 ha aiutato 125mila persone, in gran parte da Polonia, Irlanda e Malta.
Nel 2023 Women Help Women ha spedito pillole e offerto assistenza a circa 200 persone in Italia, ma sono già 30 nel primo trimestre del 2024 e ci si aspetta che aumenteranno. Anche per questo, Whw sta intensificando la sua comunicazione nel nostro paese. «Da quando abbiamo implementato la versione italiana del sito womenhelp.org – cioè da appena un mese – vediamo che sempre più persone ci raggiungono direttamente in italiano», spiega a Domani Dunia, operatrice di Women Help Women per l’Italia. «Le richieste arrivano da tutte le regioni. Tra i motivi per cui si rivolgono a noi, i più menzionati sono la difficoltà di ottenere i servizi nella propria zona, le lunghe attese, il bisogno di privacy, la paura di essere giudicate. Le straniere temono il lungo iter burocratico, oppure non riescono ad accedere ai servizi per mancanza di documenti e scarsa conoscenza della lingua. Ma sappiamo anche che chiamano noi perché le aspettative su ospedali e medici sono molto basse», dice Dunia.
«Rendere ancora più difficile l’accesso all’aborto in consultori e ospedali non farà cambiare idea alle donne che scelgono di abortire, ma le spingerà a cercare una soluzione altrove; meglio che questo avvenga in modo sicuro per la loro salute, rivolgendosi a noi», commenta.
Inoltre, «l’autogestione dell’aborto può essere per alcune una ripresa di controllo sul proprio corpo che aumenta il senso di autostima, trasformando un momento di criticità in un momento di crescita», dice.
Le organizzazioni femministe che promuovono l’aborto autogestito sono in regola con i dettami dell’Organizzazione mondiale della sanità, che nelle “Abortion Care Guide Lines” del 2022 dichiara che «gli operatori sanitari dovrebbero riconoscere l’autogestione come un percorso legittimo per l’assistenza all’aborto e adattare i sistemi sanitari per facilitare e sostenere le donne nella loro autogestione dell’aborto, ad esempio adattando i protocolli clinici».
Entro la dodicesima settimana abortire a casa propria con il supporto a distanza di personale formato (non necessariamente medico), con il pronto soccorso ostetrico raggiungibile entro un’ora, con antidolorifici e corretta informazione, ha lo stesso profilo di sicurezza sanitaria della somministrazione in ospedale o ambulatorio e non va considerata un’opzione di seconda scelta, dice l’Oms. Quel che andrebbe messo al centro non è il luogo, ma le condizioni di vita della donna o persona incinta e la sua scelta.
Dal 1978 a oggi
La legge 194 però, varata nel 1978 quando i farmaci sicuri non esistevano e di aborto non legale si moriva, non contempla la possibilità di abortire fuori da strutture autorizzate e contiene diverse parti che contrastano con le linee guida Oms. Allora la parola “clandestino” era sinonimo di rischioso per la vita, ora non più. E se in altri paesi europei la normativa è stata aggiornata in linea con l’evoluzione tecnica, in Italia non è avvenuto, perciò vi è un’ammenda di 5-10mila euro se vi sono le prove che l’aborto volontario è avvenuto fuori dai luoghi autorizzati, mentre la responsabilità è penale per chi lo procura.
La stima che 1 aborto su 10 avvenga fuori dalle strutture ospedaliere o ambulatoriali è del ministero della Salute, su calcoli statistici basati sull’andamento degli aborti spontanei: quando le prostaglandine sono assunte per via buccale (tra le guance o sotto la lingua) l’aborto volontario con metodo farmacologico è indistinguibile da un aborto spontaneo (lo stesso farmaco si usa per trattare i due casi).
Nel 2021 sono state 7 le persone iscritte presso le procure per violazione dell’art. 19 (interruzione volontaria di gravidanza operata con il consenso della donna, ma senza osservare le disposizioni prescritte dalla legge), come riferito nel 2022 al parlamento dal ministero della Giustizia. «Demedicalizzare, depenalizzare, destigmatizzare, demistificare: sono i pilastri su cui si basa la nostra azione, che cerchiamo di promuovere attraverso la sinergia con i movimenti locali», spiega Kinga Jelinska evidenziando la possibile riapertura di un dibattito che nel nostro paese si era chiuso con il risultato referendario del 1981, che lo aveva sigillato entro i confini dell’applicazione della legge 194.
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