Presentato il “controreport” della Rete L'Abuso: «È un vero e proprio rapporto contro la Cei», ha spiegato il presidente della Rete Francesco Zanardi, «perché denunciamo con dati ed esempi concreti quello che la chiesa non ha fatto per le vittime». Chi ha subito la violenza è emarginato, mentre gli abusatori sono protetti e hanno i migliori avvocati
Sono 332 i casi di violenza commessi da un prete o un religioso in Italia documentati dalla Rete l'Abuso, l'associazione sopravvissuti agli abusi sessuali del clero: casi che la Rete ha trattato dal 2010 a oggi senza riuscire ad avere ascolto dalla chiesa.
Proprio un anno fa, il 18 novembre, in occasione della giornata dedicata alle vittime degli abusi, la Cei aveva pubblicato il primo Report nazionale sulle attività di tutela nelle diocesi italiane, relativo al biennio 2020-2021: realizzato da esperti dell'Università cattolica del Sacro Cuore di Piacenza su dati pervenuti da 158 diocesi su 226, il rapporto interno della Cei aveva individuato 98 casi di abuso e 68 responsabili.
Più che un “controreport”, quello della Rete L'Abuso «è un vero e proprio rapporto contro la Cei», ha spiegato il presidente della Rete Francesco Zanardi, «perché denunciamo con dati ed esempi concreti quello che la chiesa non ha fatto per le vittime».
Il report è stato presentato il 2 ottobre alla Sala Stampa estera durante la conferenza stampa di Ending Clergy Abuse, organizzazione internazionale di sopravvissuti agli abusi del clero, che si è riunita a Roma per reclamare giustizia per le vittime. In particolare, Eca chiede a papa Francesco di rimuovere dal suo ruolo Víctor Manuel Fernández, arcivescovo de La Plata, appena nominato prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede.
Secondo gli attivisti intervenuti a Roma, il cardinale Fernández «ha coperto gravissimi crimini dei preti pedofili in Argentina ed è del tutto inadatto a guidare un dicastero che si occupa proprio di questi reati».
Spiccioli e riservatezza
Nonostante i proclami di tolleranza zero del papa, in Italia la situazione degli abusi clericali è molto più grave di quanto la chiesa sia disposta ad ammettere e, come se non bastasse, la Cei non ha mai voluto recepire le testimonianze delle vittime che si sono rivolte alla Rete l'Abuso.
«Il cardinale Matteo Zuppi non ha mai voluto acquisire i nostri dati», denuncia Zanardi, che ha anche incontrato due volte il presidente della Cei nell'estate del 2022. «Colloqui deludenti – dice Zanardi – perché il cardinale Zuppi si è mostrato irremovibile e ha confermato la sua intenzione di non avvalersi di una commissione di inchiesta indipendente e di non voler investigare i casi antecedenti il 2000».
Uno schiaffo per le vittime che, come è noto, hanno bisogno anche di trenta o quarant'anni per elaborare il trauma. Inoltre, nessuno dei 332 casi documentati nel report della Rete L'Abuso è stato denunciato alla giustizia italiana da parte dell’autorità ecclesiastica e i sopravvissuti «non hanno ricevuto soccorso medico adeguato o una qualche forma di sostegno, tranne incontri di natura “spirituale”».
Non solo: a nessuna delle vittime è stato dato un risarcimento, «tranne in quei casi (circa l’8-9 per cento) dove c’è stato l’interesse della Chiesa a un accordo tra le parti con il vincolo della riservatezza».
Casi che, tuttavia, sottolinea il report, «non possono essere accolti come indennizzi, non solo per la cifra indecorosa rispetto al danno (in genere 25mila euro), ma per la finalità stessa per la quale quella cifra viene elargita, ovvero vincolare la vittima al silenzio lasciando il sacerdote “anonimo” e libero di poter reiterare il reato».
Infine, si legge sempre nel report, «nel cento per cento dei casi in cui c’è stata una condanna da parte della giustizia italiana o ecclesiastica (esclusi i deceduti, quelli che hanno lasciato il sacerdozio o i pochi ridotti allo stato laicale dalla stessa chiesa) i sacerdoti sono sempre stati reintegrati in parrocchie dove è difficile non essere a contatto con minori anche quando c’è un decreto o una raccomandazione del vescovo».
Chi paga la difesa degli abusatori
Nella chiesa si nota infine una forte differenza di trattamento fra le vittime e i sacerdoti pedofili: le prime vengono lasciate senza alcun tipo di assistenza, sostiene Zanardi, mentre i preti abusatori «sono puntualmente difesi dai migliori avvocati sulla piazza, con parcelle che difficilmente un sacerdote può permettersi.
In alcuni casi abbiamo documentato che quando il prete è indagato, il vescovo provvede attivamente alla scelta del difensore, organizzando l’incontro con l’imputato. Si fa anche garante, quando necessario, di una dimora per gli arresti domiciliari, della riabilitazione e del reinserimento nelle parrocchie, che avviene puntualmente senza restrizioni o un adeguato monitoraggio, anche quando il prete ha scontato il carcere».
Come è successo nel caso di monsignor Rosario Gisana, vescovo di Piazza Armerina, che ha utilizzato i soldi dell'otto per mille per pagare l'avvocato a don Giuseppe Rugolo, attualmente sotto processo a Enna per abuso di minori.
Insomma, conclude il report, in Vaticano con il motu proprio Vos Estis Lux Mundi va in scena lo spettacolo della lotta agli abusi, ma nella sostanza nulla si muove perché, spiega Zanardi citando «diverse fonti interne», «i vescovi hanno totale autonomia sul territorio della diocesi e possono impedire anche al Dicastero per la dottrina della fede di occuparsi dei casi o di accedere ai fascicoli».
Una denuncia forte, che arriva non a caso a due giorni dall'inizio del Sinodo sulla sinodalità, in cui dovrà essere affrontato anche il tema degli abusi. Attesa anche la seconda parte dell'inchiesta della Cei, che questa volta dovrebbe riguardare i 613 faldoni sui casi di abuso inviati dalle diocesi al Dicastero per la dottrina della fede dal 2000 a oggi.
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