- Mentre l’operato di Marko Rupnik è in questi giorni al vaglio della Compagnia di Gesù, arriva dalla Francia un dossier pesante su altre tre personalità carismatiche del mondo cattolico
- Jean Vanier, fondatore della comunità L’Arche, e i domenicani Thomas e Marie-Dominique Philippe per decenni hanno infatti esercitato violenza su donne adulte, circuendole con teorie «mistico-erotiche» durante l’accompagnamento spirituale
- Non si tratta di un caso isolato: questi episodi sono emblematici di una deriva dei movimenti e delle comunità ecclesiali, quando un leader si sente esautorato dalle regole morali
Mentre l’operato di Marko Rupnik è in questi giorni al vaglio della Compagnia di Gesù, arriva dalla Francia un dossier pesante su altre tre personalità carismatiche del mondo cattolico, che molto hanno in comune con il gesuita accusato di abusi su alcune suore.
Jean Vanier, fondatore della comunità L’Arche, e i domenicani Thomas e Marie-Dominique Philippe, per decenni hanno infatti esercitato violenza su donne adulte, circuendole con teorie «mistico-erotiche» durante l’accompagnamento spirituale, proprio come Rupnik.
Ritroviamo l’uso del carisma personale per ottenere favori sessuali, il controllo psicologico sulle “iniziate”, persino le modalità in cui si realizzavano gli abusi e il silenzio complice della chiesa.
I report
Lo attestano due rapporti appena pubblicati, uno commissionato dall’Arche e l’altro dall’ordine dei domenicani, che ripercorrono un secolo di storia, dagli inizi del Novecento (i due fratelli Philippe sono rispettivamente del 1905 e 1912) fino alla morte di Vanier nel 2019.
Quello che emerge da 1600 pagine di attenta ricostruzione della vita e dei legami fra i religiosi racconta di atti sessuali vissuti come il segno di un’unione sacramentale, in cui il sacerdote e la donna vivono una prefigurazione dell’«unione carnale nella città celeste fra Gesù e la Vergine Maria».
I due domenicani già negli anni Quaranta approfittavano della possibilità di muoversi liberamente nei monasteri femminili per instaurare un dominio psicologico e abusare sessualmente delle religiose, a volte con la complicità delle priore (una di queste, Cécile, fa parte della numerosa progenie dei Philippe e spinge non poche novizie nelle braccia del fratello Thomas).
Nel 1947 Thomas Philippe mette addirittura incinta una donna e la aiuta ad abortire, celebrando una sorta di cerimonia mistica per il feto, «venerato come qualcosa di sacro, legato alla Santa Vergine» e poi seppellito in una foresta. Quanto a Jean Vanier, che da laico aveva raccolto l’eredità spirituale e i deliri mistici del suo mentore Thomas Philippe, avrebbe esercitato una dominazione psicologica a fini sessuali su almeno 25 donne dal 1952 al 2019.
La condanna a Roma
La cosa più eclatante è che le perversioni dei due domenicani erano ben note a Roma: Thomas Philippe già nel 1956 viene condannato «per abusi gravi» dall’allora Sant’Uffizio (che è a conoscenza anche dell’episodio dell’aborto) e l’anno dopo tocca al fratello Marie-Dominique e alla sorella Cécile.
Sanzionato dal tribunale vaticano, padre Thomas perde le prerogative del suo ministero: non può più dire messa, confessare e nemmeno vivere nella comunità “L’Eau vive”, che lui stesso ha fondato nel 1945.
Qui entra in scena Jean Vanier, che da principio lo sostituisce a capo de “L’Eau vive” e poi nel 1964 fonda insieme a lui un’altra comunità, “L’Arche” che, secondo il report, è stata sin dall’inizio una «setta nascosta nel cuore della chiesa». Un paravento per i loro deliri mistico-erotici, luogo privilegiato per diffondere una vera e propria cultura dell’abuso contrabbandato per esperienza spirituale privilegiata.
Grazie al silenzio e all’inerzia della chiesa, sia Thomas che Marie-Dominique continuano tutta la vita a intrattenere relazioni sessuali (consenzienti e non) con religiose e laiche, al riparo di una fama personale sempre più altisonante, riprendendo ben presto a predicare, insegnare e confessare senza che i vescovi locali o il Vaticano trovino più nulla da dire.
I due domenicani arrivano a “passarsi” le vittime, come testimonia a Domani Michèle-France Pesneau, ex carmelitana: «Marie-Dominique era il mio padre spirituale quando nel 1971 vivevo in monastero – racconta – attraversavo una fase depressiva e lui ha approfittato della mia fiducia per baciarmi e toccarmi attraverso la grata del confessionale».
Le molestie durano anni: il rapporto con il domenicano non si interrompe nemmeno dopo la fuga della giovane monaca dal monastero. «Vivevo in una stanza a Parigi, dove mi mantenevo facendo la donna delle pulizie. Lui veniva a trovarmi, mi diceva “andiamo a pregare da sdraiati” e capivo che voleva un rapporto orale». Penetrazione, mai: «Rispetto la tua verginità, diceva», racconta oggi Pesneau.
Padre Marie-Dominique le trova ben presto una sistemazione nella comunità benedettina diretta da un’altra delle sue sorelle, Winfrida, e le chiede di raccontare a suo fratello Thomas della loro «relazione speciale». «Io, pur vergognandomi, ho obbedito – dice la ex religiosa – e da quel momento ho dovuto fare le stesse cose anche con padre Thomas». Una vera impresa famigliare, quella dei Philippe.
Intanto i due domenicani e il discepolo prediletto Jean Vanier continuano indisturbati la loro ascesa personale. Nel 1975 Marie-Dominique fonda la Famille Saint-Jean, una comunità religiosa che accoglie giovani dai 18 ai 30 anni in cui predica l’“amore di amicizia”, una dottrina che mescola sapientemente sesso e spiritualità.
Al momento della sua morte, nel 2006, viene celebrato come un santo, accompagnato da un’omelia piena di elogi del cardinale Philippe Barbarin (condannato in primo grado e poi assolto in appello per aver coperto il prete pedofilo Bernard Preynat quando era arcivescovo di Lione) e da un altrettanto sentito telegramma di papa Ratzinger. Nessuno dei tre religiosi è stato mai segnalato alla giustizia dello stato.
I leader carismatici
I fratelli Philippe e Vanier non sono un caso isolato. Le testimonianze delle violenze trascritte nei report francesi sono emblematiche di una deriva che si riscontra spesso nei movimenti e nelle comunità ecclesiali, quando il leader, legittimato dal suo entourage, si sente esautorato dalle regole morali comuni fino a plagiare le vittime attraverso una lettura distorta del Vangelo.
Nel leggere di come i fratelli Philippe e Vanier sfruttassero il proprio prestigio per avere rapporti orali con le monache, definiti «grazie mistiche», non si può non pensare a Rupnik, che costringeva le suore della comunità Loyola a fare sesso con lui «a immagine della Trinità».
Balzano agli occhi elementi ricorrenti anche nel modus operandi del gesuita sloveno: dall’utilizzare la propria capacità di seduzione intellettuale per orientare le decisioni (e le vocazioni) delle donne che gli si affidano per la direzione spirituale, fino all’assoluzione del “complice” (o della vittima) in confessione.
Non manca, poi, sul fronte dei francesi come su quello italiano, la presenza di un cerchio magico, un gruppo di “fedelissime” pronte a difendere il guru contro ogni illazione ed attacco e, in qualche caso, a condividerne il letto. Le coincidenze riguardano anche i dettagli più scabrosi, dal limitarsi ad atti sessuali che prescindano dal coito fino a bere lo sperma come pratica sacra: come Thomas Philippe, che invitava l’iniziata a «bere dal cuore di nostro Signore», così faceva Marko Rupnik, secondo la testimonianza di una delle sue vittime pubblicata su Domani.
Persiste, soprattutto, la sensazione di impunità che pervade questi uomini di chiesa, leader di comunità ecclesiali, convinti di potere ogni cosa in quanto rappresentanti di Dio in terra.
Il culto della personalità, la fama di teologi e di uomini santi protegge questi abusatori, allontanando le voci contrarie, che vengono messe a tacere o tacciate di ridicolo. Ancora una volta il clima di omertà che li circonda – il Vaticano non ha mai reso pubbliche le sentenze di condanna dei fratelli Philippe così come, quasi settanta anni dopo, si è ben guardato dal dire che Rupnik aveva subito due procedimenti ecclesiastici – ha permesso la perpetuazione delle violenze su un numero imprecisato di vittime durante più di mezzo secolo.
C’è infine la questione della separazione fra le azioni private e la vita pubblica: la commissione che ha stilato il rapporto dell’Arche si chiede fino a che punto l’ideologia mistico-sessuale di cui si sono fatti portatori i Philippe e Vanier abbia condizionato l’opera, che oggi è una federazione internazionale che si occupa di disabilità mentale e conta 160 comunità in 38 paesi.
Allo stesso modo, nel caso di Rupnik è in corso la discussione se si possa separare l’uomo dall’artista e dal teologo: se fra i gesuiti c’è chi chiede di non confondere i piani, altri invece vorrebbero già mettere mano ai mosaici e rimuovere le opere del gesuita da chiese e santuari.
La storia si ripete
Rupnik oggi e Vanier e i fratelli Philippe ieri sono esempi gemelli di un sistema che si riproduce uguale nelle comunità religiose, al riparo dell’ombrello vaticano.
Lo conferma suor Véronique Margron, presidente della Conferenza dei religiosi e delle religiose di Francia, una delle più strenue promotrici della Ciase, la commissione indipendente che ha portato alla luce ben 216mila casi di abuso sessuale nella chiesa francese.
«Ho parlato con una vittima di Rupnik e ho capito che affascinava e spaventava allo stesso tempo», dice la religiosa a Domani, «sottrarsi alla violenza e al plagio è impossibile quando tutti intorno a te dicono che il tuo abusatore è un santo. Le istituzioni hanno una grande responsabilità, perché non giudicano la qualità evangelica di questi guru ma il loro successo fra i credenti.
La chiesa non ha esercitato il dovuto controllo su di lui e l’ha coperto a tutti i livelli, dalla Compagnia di Gesù all’autorità pontificia». La storia, tragicamente, si ripete.
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