Il rito del presente e delle braccia tese per ricordare i “camerati caduti” nel 1978. Fratelli d’Italia chiede una memoria condivisa. Ma resta in silenzio sui legami oscuri
Le strade di accesso al cortile della sede di Acca Larentia sono interdette al passaggio. I camerati tutti schierati in attesa che l’orologio segni le sei di sera. Pronti a perpetuare un rito di memoria e identitarismo. A celebrare l'appartenenza e l'ideologia di cui sono figli e nipoti. Prima del “presente” e dei saluti romani, prima dell’apologia del Ventennio, c'è un silenzio rotto solo dal trambusto del supermercato che si trova a ridosso delle famose scalinate trasformate ogni anno in palcoscenico di un inno alla nostalgia neofascista.
Il canovaccio della commemorazione dei camerati caduti, uccisi il 7 gennaio 1978 da un commando di terroristi rossi, ancora senza nome, è il solito di sempre. Nonostante la denunce dello scorso anno, nonostante l’indagine per apologia di fascismo, nonostante tutto questo riecco i camerati con le braccia tese, che costringe la polizia a segnalare di nuovo i fatti in procura.
A differenza di altri anni, tuttavia, i primi camerati accorsi per omaggiare i caduti di Acca Larenzia si sono palesati la notte del 6 gennaio. All’angolo della strada che si affaccia sul vialone della Tuscolana un centinaio di militanti legati ai gruppi dell’estrema destra neofascista hanno anticipato il tradizionale ricordo dei tre militanti del Fronte della Gioventù trucidati davanti alla storica sede del Movimento sociale italiano di via Acca Larenzia, appunto. Il ritrovo nella notte, tra le strade deserte e transennate, con quattro poliziotti a controllare, era inatteso. A tal punto che non erano presenti altre testate giornalistiche oltre a Domani.
A quell’ora di notte balzava agli occhi l’organizzazione militare dei gruppi presenti. Ai due imbocchi della via dove c’è la sezione che fu dell’Msi erano ben visibili i servizi d’ordine dei neofascisti, ben più numerosi degli agenti della polizia.
«Io sono apolitico, ma ogni anno da vent’anni abbasso la serranda in segno di rispetto», dice il titolare di un locale che affaccia sulla strada a mezzanotte già piena di bomber neri, teste rasate e colli tatuati. L’adunata notturna dell’Epifania era solo l’assaggio di ciò che sarebbe stato il tradizionale protocollo ormai rodato della giornata successiva.
Una sola fiamma
La mattina del 7 gennaio è stato il momento delle visite istituzionali con il presidente della regione, Francesco Rocca, a portare, più defilato l’assessore al Personale di Roma Capitale, Giulio Bugarini. La manifestazione di quest’anno è stata preceduta da una polemica sulla targa commemorativa firmata “I camerati” dedicata a Stefano Recchioni, uno dei militanti morti per i fatti di Acca Larenzia fatta rimuovere dal Comune di Roma e ricomparsa poche ore dopo. Un gesto che ha fatto infuriare Fratelli d’Italia e il composito arcipelago neofascista.
Quest’anno, inoltre, la manifestazione si è svolta in una cornice formalmente di proprietà di un’associazione che si rifà al Ventennio mussoliano: la sezione infatti è stata acquistata l’anno scorso da un gruppo legato a Casapound, grazie però al contributo in denaro offerto dalla fondazione Alleanza nazionale, che ha regalato 30mila euro agli estremisti del cerimoniale del 7 gennaio caratterizzato da saluti romani e richiami alla rivoluzione neofascista.
L’operazione immobiliare, svelata a luglio da questo giornale, ha messo in luce una relazione finanziaria tra la cassaforte immobiliare del partito di Giorgia Meloni e i neofascisti che smentisce la narrazione rassicurante del partito secondo cui non esistono legami tra quei due mondi. La versione che descrive Fratelli d’Italia come un partito maturo, conservatore, di una destra moderna si scontra con la realtà delle origini.
I soldi regalati ai neofascisti, il rito del presente con saluti romani, la negazione delle matrici nere delle stragi, sono fatti che portano la destra di Meloni in tutt’altra direzione: all’impossibilità di recidere i fili con il sottobosco nostalgico che crede ancora oggi nel mito di Mussolini grande statista.
Pacificazione e ambiguità
Alla luce di questi nodi irrisolti è dunque curiosa la richiesta del vicepresidente della Camera di Fratelli d’Italia, Fabio Rampelli, espressa davanti alla sede di Acca Larenzia (di proprietà dei neofascisti) di cercare la via della pacificazione, con l’obiettivo di costruire una memoria condivisa sulla violenza degli anni di piombo. «Chiediamo una commissione d’inchiesta», ha detto Rampelli, «che indaghi sui fatti che hanno riguardato sia una parte sia l’altra».
Chiediamo però di capire come possa conciliarsi il nobile principio della pacificazione con il fatto di aver lasciato la storica sezione in mano a Casapound, che organizza il cerimoniale serale con saluti romani e croci celtiche sparse ovunque. «Voi giornalisti dovreste indagare sul perché non c’è stata giustizia per i fatti di Acca Larenzia», replica stizzito. Ci riproviamo, chiedendo se non è contraddittorio parlare di pacificazione dopo che la fondazione An ha deciso di aiutare i neofascisti nell’acquisto della sede, ma Rampelli decide di non rispondere più e ci saluta.
Intanto si fa sera, i vertici di Fratelli d’Italia si dileguano, il partito è ufficialmente impegnato a commemorare in un altro luogo della città. Comincia il secondo atto della liturgia, quella dell’ala dura del neofascismo militante. È, insomma, l’ora del “presente” e dei saluti romani.
Un militante di fratelli d'Italia però c’è tra loro: ex segretario di sezione ai tempi del movimento sociale, racconta che è stata giusta la scelta di contribuire all'acquisto della sede. Quando gli chiediamo di Giovanni Feola, militante di CasaPound e presidente dell’associazione che ha beneficiato dei soldi della fondazione legata ai meloniani, risponde che nella stessa associazione è presente anche Domenico Gramazio, che è il pontiere tra Fratelli d'Italia e la destra più nera.
Ma mentre ci parla sopraggiunge un camerata che di pacificazione non vuole sentire parlare e zittisce il nostro interlocutore con un urlo deciso: «Non devi parlare con questi mafiosi di merda», gli urla. E a quel punto l'intervista si chiude.
Un finale che spiega meglio di altre parole il rapporto di sudditanza tra Fratelli d’Italia e i veri padroni di Acca Larentia.
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