- La decisione del presidente uscente Donald Trump di ritiro di circa la metà delle truppe statunitensi dall'Afghanistan arriva in un periodo delicato, tra faticosi colloqui di pace con i talebani e aumento delle violenze, e preoccupa molti.
- Ad annunciare il ritiro di militari è stato il segretario Usa alla Difesa facente funzione Christopher Miller. Ma anche i vertici della sicurezza Usa esprimono preoccupazione: il ritiro rischia di minare i negoziati tra talebani e società afghana, oltre a rafforzare l'Isis.
- Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini: «L'Italia continuerà a fare la propria parte».
L'annunciato ritiro di circa la metà delle truppe statunitensi dall'Afghanistan arriva in un periodo delicato, tra faticosi colloqui di pace con i talebani e aumento delle violenze.
La decisione del presidente uscente Donald Trump preoccupa molti, in primis la Nato, ma anche la Germania, mentre l'Italia guarda alle decisioni che l'Alleanza prenderà a febbraio e promette di continuare «a fare la sua parte», come dichiarato dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini.
Ad annunciare il ritiro di militari da Iraq e Afghanistan è stato il segretario Usa alla Difesa facente funzione Christopher Miller, subentrato al siluramento di Mike Esper da parte di Trump pochi giorni dopo la sconfitta elettorale (che il magnate non ha ammesso).
Mettere fine alla presenza degli Usa nelle lunghe guerre all'estero è da tempo una delle promesse di Trump, nonostante gli avvertimenti degli stessi repubblicani e dei Paesi partner. Anche i vertici della sicurezza Usa hanno chiesto un'uscita di scena più lenta e metodica, per tutelare i successi difficilmente conquistati. Ma Trump tira dritto e il ritiro dovrà concludersi 5 giorni prima dell'insediamento del democratico Joe Biden alla Casa Bianca, il 20 gennaio. I soldati scenderanno a 2.500 sia in Ira (da 3mila) sia in Afghanistan (da 4.500).
Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, in una rara esternazione di preoccupazione, ha detto che «il prezzo di andarsene troppo presto o in modo non coordinato potrebbe essere davvero troppo alto», per il rischio che il Paese torni «una piattaforma per i terroristi internazionali» e l'Isis «ricostruisca il califfato terrorista che ha perso in Siria e Iraq».
La Nato ha poco meno di 12mila soldati da numerose nazioni in Afghanistan, incaricati di addestrare e consigliare l'esercito locale, e fa ampio affidamento sugli Usa.
I vertici delle forze armate Usa hanno avvertito che il ritiro rischia di minare i negoziati tra talebani e società afghana, oltre a rafforzare l'Isis. Fino al licenziamento di Esper, il Pentagono era stato chiaro: i talebani non hanno mantenuto l'impegno di ridurre le violenze, che anzi sono aumentate dall'inizio dei colloqui.
Anche il leader della maggioranza Gop al Senato, Mitch McConnell, solitamente fido alleato di Trump, ha definito il piano «un errore», invitando il magnate a evitare «scossoni su difesa e politica estera» nelle sue ultime settimane alla Casa Bianca.
Preoccupazione in Europa
Preoccupazione anche dall'Europa l'ha espressa il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas: «Siamo particolarmente preoccupati» per «i colloqui di pace, non dovremmo creare altri ostacoli, come certamente un precipitoso ritiro farebbe».
Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha fatto sapere di aver parlato con Stoltenberg, sottolineando che nella ministeriale Nato di febbraio l'Alleanza dovrà «decidere se continuare la missione, come continuarla o se procedere alla sua conclusione». E ha aggiunto: «L'Italia continuerà a fare la propria parte».
Per il presidente della commissione Esteri della Camera, Piero Fassino, il ritiro «dipende dall'avere garanzie su quel che accadrà dopo», senza un «chiaro accordo tra Kabul e talebani i ritiri unilaterali rischiano seriamente di aprire la strada a un bagno di sangue».
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