«Preoccupa il clima di impunità: cos’altro dobbiamo aspettare perché vengano sciolte le organizzazioni neofasciste?». È la domanda che questa domenica mattina la segretaria dem Elly Schlein ha rivolto alla premier Giorgia Meloni e al ministro degli Interni Matteo Piantedosi.

La grave aggressione di gruppo perpetrata a Torino da militanti di CasaPound contro il cronista Andrea Joly della Stampa si aggiunge all’elenco ormai sempre più lungo di attacchi contro i giornalisti nell’èra Meloni e di episodi violenti legati all’organizzazione neofascista CasaPound. Mentre i militanti di questa organizzazione ormai festeggiano apertamente in strada con inni al Duce e fumogeni, Giorgia Meloni sceglie per sé e per il suo governo la strategia dello struzzo: questa domenica sono passate ore prima che arrivasse una sua reazione sul caso Joly. E quando una reazione è diventata inevitabile – perché le dichiarazioni si susseguivano e l’episodio era ormai a tutti gli effetti politico – Meloni ha reagito sì, ma derubricando il caso a puro episodio di violenza.

Ha «condannato l’atto di violenza» e la «inaccettabile aggressione» augurandosi che fossero «individuati i responsabili»; ha evitato però ogni riferimento al fatto che l’aggressione sia stata perpetrata alla festa en plein air di CasaPound con saluti fascisti e lacrimogeni in mezzo alla via; nessun accenno a militanti neofascisti e organizzazioni di estrema destra. Alla sua dichiarazione hanno fatto seguito quelle fotocopia di altri ministri come Francesco Lollobrigida: stesso tenore. La condanna per l’episodio è «ferma», ma CasaPound, i militanti neofascisti e il contesto politico vengono occultati completamente dalla narrazione governativa.

«Sono tutti contro uno»

Già da domenica mattina, cioè ben prima della nota di Meloni, la pronta divulgazione dei filmati – raccolti sia da Joly stesso prima dell’aggressione, poi dagli abitanti della zona durante il linciaggio – ha consentito una ricostruzione certa dei fatti. Si svolgono sabato notte in via Cellini, nel quartiere San Salvario di Torino, al circolo di CasaPound “Asso di Bastoni”, o meglio nella zona prospiciente: per celebrare i 16 anni del circolo, con la bandiera della tartaruga issata sulla sede e il dj arrivato da CasaPound Roma, i militanti neofascisti non si sono accontentati di far festa nell’edificio. Si sono radunati in strada cantando a tutto volume motivi fascisti e inneggiando al duce; hanno fatto partire fuochi d’artificio nello spazio pubblico, nella via e all’incrocio. Il giornalista Joly passava in quella via e si è trovato ad assistere a saluti fascisti, inni e lacrimogeni; dunque ha iniziato a documentare la scena.

Secondo la ricostruzione della Stampa, ben visibile anche in video, «due militanti notano la sua presenza e gli si fanno sotto: “Sei dei nostri? Cosa filmi?”; mettono la mano sul cellulare e pretendono che venga cancellato tutto. Il giornalista capisce che la cosa potrebbe diventare sgradevole e si allontana, ma i militanti chiamano altri militanti, lo inseguono, lo atterrano e lo prendono a calci». Anche questa parte della storia è documentata nei filmati, non di Joly che sta subendo il pestaggio, ma degli abitanti che filmano dai balconi. Si sentono le loro testimonianze: «Lasciatelo!», «Quel ragazzo lo hanno preso tutti. Sono tutti contro uno».

Una questione politica

ANSA

Nella sua nota di inizio pomeriggio Meloni esprime «solidarietà al giornalista vittima di un’inaccettabile aggressione a Torino» e auspica la rapida individuazione dei responsabili; a breve distanza temporale arriva la notizia che la polizia ha denunciato due militanti di CasaPound per la vicenda, e a seguire distribuisce una nota anche Piantedosi: ringrazia la questura per le indentificazioni.

Ma la luce delle dichiarazioni meloniane resta totalmente spenta sul fatto che l’aggressione sia stata di gruppo, a un raduno di CasaPound, con saluti fascisti in bella vista. «Un’aggressione squadrista», per dirla con Giuseppe Conte.

«CasaPound va sciolta»: è il coro che arriva da Schlein, Calenda, Fratoianni, esponenti di opposizione e società civile. Più questa richiesta si fa incalzante, più il silenzio del governo a riguardo diventa assordante. «C’è un clima di squadrismo strisciante che monta», denuncia l’Anpi: «Piantedosi chiuda subito il circolo Asso di bastoni e la centrale di CasaPound a Roma, un intero stabile occupato abusivamente dal 2003». Pare che il raduno torinese non fosse neppure stato preavvisato alla questura dagli organizzatori.

Ma su CasaPound non si registra lo stesso zelo esibito da Piantedosi per sgomberare un rave party a Modena, o quello del vicepremier Tajani che se la prendeva con le «manifestazioni non autorizzate» (citando in modo improprio le norme) quando la polizia usò i manganelli a Pisa contro gli studenti mettendo in allarme persino il presidente della Repubblica.

«Clima di impunità»

Eppure i casi di aggressioni neofasciste sono tutt’altro che sporadici, anche contro giornalisti: nel 2019 ad esempio ci fu l’aggressione al Verano contro Federico Marconi e Paolo Marchetti, per la quale sono stati condannati Giuliano Castellino e Vincenzo Nardulli. L’Fnsi – spiega a Domani Vittorio Di Trapani – chiederà «la convocazione urgente dell’Osservatorio cronisti minacciati presso il ministero dell’interno, e in quella occasione alle autorità di attivarsi per valutare se esistono le condizioni per lo scioglimento di CasaPound».

Nell’èra Meloni e in tempi di attacchi alla libertà di stampa, «il disprezzo delle autorità nei confronti dei giornalisti è come un segnale che incita le fazioni più radicali a commettere violenza contro questi stessi giornalisti, con un’implicita garanzia di impunità», dice a Domani il segretario generale della European Federation of Journalists, Ricardo Gutiérrez. Il «clima di impunità»: è questo il caso politico.

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