L’ossessione di essere perfetti, di nascondere le proprie debolezze, di vergognarsi nel mostrare le proprie fragilità. L’ossessione di voler vincere, di dimostrare di essere i più forti, di non deludere le aspettative, di perfezionare in modo maniacale ogni singolo dettaglio.

Chiariamolo subito, i grandi campioni dello sport sono tutti ossessionati, per definizione. Sempre. Altrimenti non sarebbero tali. Si può solo immaginare quanto stia soffrendo Jannik Sinner per aver dovuto rinunciare al torneo: non andrà a Parigi per una tonsillite

C’è un però. Per tanti anni la parola ossessione nello sport è stata bandita, considerata invasiva e scomoda, connotata da un alone di severità, era meglio evitare di pronunciarla ad alta voce per non incappare in giudizi negativi. Abbiamo usato tanti sinonimi, dalla cattiveria agonistica all’idea fissa della vittoria, fino a quando non è arrivato Kobe Bryant che ha fatto un favore a tutti: la sua Mamba Mentality da usare in tutte le salse per definire una voglia diabolica di eccellere, di puntare sempre al massimo. Anche ai limiti dell’eccesso, come le tradizionali sue sveglie alle 3 del mattino per andare in palestra a sfinirsi in sessioni di pesi e di tiro dalle 4 alle 6. Che poi, c’era davvero bisogno di allenarsi alle 4 del mattino?

Dipendenza dalla perfezione

Sarebbe cambiato qualcosa con allenamenti in orari più umani? No, Kobe sarebbe stato comunque Kobe, una leggenda ai nostri occhi ma forse non ai suoi. Perché quegli allenamenti prima dell’alba servivano prima di tutto a lui. Per silenziare la sua dipendenza dalla perfezione. Eccola qui, l’ossessione nello sport che appartiene ai super campioni.

La novità è che adesso è stata sdoganata come parola. La utilizza in continuazione Gianmarco Tamberi: «Il bis olimpico nel salto in alto è la mia ossessione, proprio perché non c’è mai riuscito nessuno». Il Gimbo, campione di tutto tra Olimpiadi, Mondiali, Europei, si è già da tempo accomodato in poltrona nel salotto della storia dello sport mondiale, ma per raggiungere il suo sogno a cinque cerchi a Parigi ha bisogno di continuare a essere ossessionato.

Ha riempito la casa di modellini della Tour Eiffel, ha portato la sua dieta alimentare al limite dell’estremo con dieci Kg in meno rispetto al suo peso forma (i saltatori in alto hanno la necessità di esser sottopeso), ha mostrato urbi et orbi sui social la percentuale di massa grassa del 3,3 per cento, vale a dire al minimo necessario per un uomo. Con la raccomandazione da parte dei medici, rivolta ai più giovani, di non imitarlo.

Sinceri sino all’eccesso

Perché lo sport al massimo livello deve essere appannaggio dei professionisti, super controllati, altrimenti rischia di diventare nocivo, l’opposto di salutare. «Nessuna fidanzata, non ho tempo, sono ossessionato dall’Olimpiade», ammette Thomas Ceccon che a Tokyo 2021 ha conquistato due medaglie in staffetta nel nuoto (argento 4x100 stile libero, bronzo 4x100 mista) ma soprattutto non ha mai dimenticato gli undici centesimi che gli hanno negato il podio nella gara individuale dei suoi 100 dorso, beffato dall’americano Ryan Murphy. Perché un quarto maledetto posto può diventare un’ossessione.

Già nel viaggio di ritorno dai Giochi giapponesi il ventitreenne vicentino ha iniziato a piantare i paletti della sua ossessione. L’anno successivo ai Mondiali di Budapest ha strabiliato nuotando il nuovo record del mondo dei 100 dorso (51”60). Si è consacrato campione d’élite, ma non gli è bastato, perché Il suo pensiero è sempre a quel podio olimpico sfumato. Lo sogna ogni minuto di ogni santissimo giorno, immagina una virata, pensa alla tattica per la vasca di ritorno. Ha praticamente messo in stand-by la sua vita per la sua ossessione. Il bello è che non ha alcuna remora nel parlarne apertamente.

I giovani atleti di questi tempi hanno una comunicativa che buca la retorica, sinceri sino all’eccesso, ambiziosi senza essere sbruffoni. Perché mai Thomas dovrebbe vergognarsi a confessare la sua ossessione? Sinner non sarebbe Sinner senza la sua ossessione di volersi migliorare.

In prigione

Ma quand’è che l’ossessione può far rima con prigione? La più grande lezione di vita e di sport è arrivata da Simone Biles, la più forte ginnasta di tutti i tempi, la più medagliata di sempre.

Durante l’Olimpiade di Tokyo improvvisamente in gara ha detto stop e si è fermata, schiacciata dall’ossessione per la vittoria, dall’obbligo di dover essere perfetta: «Il mio corpo e la mia mente non sono più connessi, sto andando in tilt, mi fermo. Io valgo più di qualsiasi medaglia».

Il coraggio di manifestare in mondovisione la propria vulnerabilità, l’incoraggiamento a chi combatte quotidianamente i disagi della mente. Biles come Kevin Love, campione Nba, un anello vinto insieme a LeBron James con i Cleveland Cavaliers nel 2016, ma soprattutto una lettera aperta scritta nel 2018 per svelare un malessere: «Soffro di attacchi di panico. Per 29 anni ho pensato che la salute mentale fosse un problema di qualcun altro, e invece riguarda me, riguarda molti di noi che però si vergognano nel parlarne».

Su X, all’epoca ancora Twitter, la risposta di King James: «Proprio perché ne hai parlato, sei più potente che mai, fratello». Quando un esempio può ispirare. Giannis Antetokounmpo nel 2020 ha avuto la strana idea di ritirarsi, schiacciato dalle pressioni, dall’ossessione di voler essere il più bravo. Il fuoriclasse greco del basket rende onore proprio a Love: «Mi ha ispirato ad aprirmi, a parlare delle mie inquietudini, a migliorarmi come persona».

La passione per il nuoto artistico era diventata una ossessione per Giorgio Minisini che domenica scorsa ha dato l’addio alle gare, a soli 29 anni, dopo essere stato il pioniere di un movimento maschile in una disciplina storicamente votata al femminile. Si è sentito investito di un ruolo troppo pesante per le sue spalle, la ricerca della perfezione è diventata tossica, gli ha logorato l’anima. Quando fermarsi sembra una cosa da vigliacchi e invece è la scelta più coraggiosa che si possa fare.

Eccole qui, le tante facce sportive dell’ossessione. Quando fa rima con ambizione. Quando può invece trasformarsi in prigione. I campioni dello sport ce lo insegnano. L’importante è non avere più paura di pronunciarla.

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