La schiscetta giapponese ha almeno un migliaio di anni. Ma il bento è onnipresente anche nel Giappone contemporaneo, sia in formato casalingo, che in quello pronto all’acquisto
Per i giapponesi, non c’è dubbio alcuno che i primi ad inventare le scatole porta-pasto siano stati proprio loro: il bento, ovvero, le scatole per trasportare del cibo pronto da mangiare, è in utilizzo da almeno un migliaio di anni – se non di più.
Questo, secondo gli esperti, perché il carboidrato preferito e più diffuso in Giappone, cioè il riso, mal si presta ad essere avvolto in un po’ di carta o anche messo semplicemente in tasca come si potrebbe fare con un pezzo di pane anche se farcito. Quindi, le prime quasi-scatole per un pasto al sacco erano foglie di bambù con dentro riso schiacciato in triangoli o palline.
Col passare dei secoli i bento sono diventati scatole altamente sofisticate, non più solo per contadini o manovali che avevano bisogno di rifocillarsi sul lavoro. I materiali per le scatolette col pranzo in epoca antica sono diventati di bambù sapientemente tagliato ed arrotondato, o di prezioso legno di ciliegio, ma i più eleganti erano quelli di lacca.
Nei musei giapponesi si possono ancora vedere dei complicati porta-pranzo in lacca di vera bellezza, grandi come case di bambole. Le scatolette, riempite di cibi diversi, vengono inserite in un’ampia ansa di legno laccato su diversi piani, impilate e incastrate alla perfezione, in modo da restare immobili durante il trasporto.
La parte superiore dell’ansa poi si restringe, formando un manico. Questi bento servivano a sfamare gruppi di persone che si recavano a fare eleganti picnic sotto le foglie autunnali sfavillanti di colori, o nelle escursioni per deliziarsi alla vista dei delicati petali dei boccioli di ciliegio, i famosi sakura.
In altre occasioni, i bento giganti erano portati in teatro, dove le chiassose rappresentazioni di kabuki potevano durare anche giorni interi, e dove gli spettatori mangiavano i loro picnic mentre guardavano quello che avveniva sulla scena. La pittura classica giapponese è ricca di esempi di servette che trasportano bento quasi più grandi di loro, seguendo le famiglie abbienti che si recano a teatro o ad ammirare le bellezze della natura.
Supermarket e stazione
Il bento è onnipresente anche nel Giappone contemporaneo, sia in formato casalingo, che in quello pronto all’acquisto. Quest’ultimo si può trovare per esempio nelle stazioni (in giapponese, eki, da cui il nome ekibento), scatole con specialità alimentari locali sistemate con la massima attenzione all’estetica: di solito sono in simil-bambù (ma ci sono anche quelle a forma di locomotiva dei treni ad alta velocità), suddivise all’interno in scomparti che tengano separati i cibi.
Uno spazio per il riso, o per le palline o i triangoli di riso detti onigiri, uno per i sottaceti, per i pezzi di pesce sdraiati su letti di foglie di insalata, qualche alga, bottigline con dentro un po’ di salsa di soia, verdure in tempura o cotte in nishime (un brodo di acqua, saké, salsa di soia, acqua nella quale sono stati fatti rivenire i funghi secchi, e dashi, un brodo d’alga kombu). Non manca quasi mai un po’ di tamagoyaki, una frittata giapponese, e qualche pezzetto di tofu condito.
Altri bento pronti possono essere trovati negli innumerevoli konbini, i mini-supermercati con i beni di prima necessità che si trovano ovunque, che ne vendono di vari tipi, ma po’ meno chic che non gli ekibento. Qui, non manca mai il riso, con un po’ di alghe o una prugna umeboshi sotto sale nel mezzo. A volte il riso è accompagnato da una cotoletta di maiale impanata (tonkatsu) già tagliata a fettine, oppure pesce, verdure e sottaceti di nuovo organizzate per scompartimenti.
Cuore di mamma
Ma il bento su cui più si lavora, e di cui più si parla, è quello casalingo: il bento che ci si prepara da soli per andare a lavorare, e soprattutto quello che la mamma deve fare per i bimbi, o la moglie per il marito. Non si tratta solo di far uscire di casa i propri cari con un pranzo al sacco: questo deve essere attraente, avere un certo numero di colori, possibilmente adatti alla stagione. Il cibo deve essere sistemato il più stretto possibile, così da non rovinarsi nel tragitto da casa a scuola, o all’ufficio. E deve seguire i valori nutrizionali in voga al momento (che come si sa, di tanto in tanto cambiano un po’).
L’importanza che viene data al bento da mettere nello zainetto dei bambini è tale da ricordare quanto le società patriarcali siano capaci di mantenersi in vita grazie al senso di colpa che riescono ad istillare nelle donne. Quello dei bambini deve essere perfetto – dato che non è solo un modo per sfamare i pargoli all’ora di pranzo, ma uno strumento di comunicazione dell’amore materno tanto ai bambini stessi che, in modo più subdolo, anche al personale della scuola, che non si fa remore di osservare e criticare i bento meno laboriosi.
Così, ecco che nei supermercati e nei negozi di casalinghi del paese si trovano sezioni intere dedicate alla preparazione del bento per i più piccini, un’oggettistica che deve servire in particolar modo a fare contenti i bambini e le loro maestre. Non siamo nel reparto lusso dei grandi magazzini, dove meravigliose e costosissime scatole di bento laccate, o in legni preziosi, cambiano con la stagione.
Qui tutto è di plastica, dalle mini bottigliette per la salsa di soia dotate di tappo a faccina che sorride, o che fa un broncetto kawaii, carino. Delle piccole taschine spremibili, di plastica rigida e lavabile, tenute chiuse da una fragolina, o da un pomodorino, con espressioni divertenti.
Poi ci sono gli stampi in plastica che consentono alla madre coscienziosa di dare forme pucciose alle palline di riso: coniglietti, orsetti o gattini, con tanto di foratrici che possono creare piccolissimi pezzettini di alga nori a forma di occhi, sopracciglia, naso e bocca da applicare al riso premuto a forma di animalini.
Alcuni bento per bambini richiedono una manualità decisamente fuori dalla media, e riproducono vari personaggi dei manga, dei videogiochi, o della televisione: così ecco il cibo a forma di Pikachu, o Super Mario, o Doraemon: questi, si chiamano chara-ben – bento con caratteri famosi. Si possono comprare anche mini scatoline da mettere dentro la scatola del bento, grandi abbastanza per farci stare dentro circa cinque mirtilli, o quattro mandorle, o pezzettini piccoli di cocomero.
E ci sono diversi tipi di cestini di carta di tutti i colori, con fiorellini e animaletti, da mettere sotto agli alimenti aggiungendo colore ed evitando si attacchino, e un’infinità di stecchini: con la cima a pomodorino o fragoletta, a giraffina, o a macchinina, aeroplanino e camioncino… Una mamma amorosa non mette semplicemente un wurstel nel bento: lo taglia in maniera decorativa, magari con degli occhi finti infilzati sopra, così sembra un cagnolino o un polpo.
Gli occhi finti con espressioni diverse possono essere anche infilzati su un pomodorino, o su una tasca di tofu fritto ripiena di riso, e se una mamma è stanca, deve andare al lavoro, o pensa di avere di meglio da fare, prima o poi i bento distratti le varranno critiche più o meno indirette dai figli, o dal personale scolastico. Bento galera, che stritola le più ferme convinzioni femministe. L’avvento di Instagram ha peggiorato tutto, dato che la pressione adesso è anche online.
Lingua dell’amore
Infine, vanno citati i bento preparati dalle amorevoli spose – meno stucchevoli di quelli per i bambini, ma frutto di un impegno mattutino di tutto rispetto. I giornali femminili contengono pagine e pagine di “idee per bento” da confezionare sia per i mariti che per i bambini, che vanno da ambiziosi semi-paesaggi composti con riso, verdure, pesce e alghe, a cose più pratiche e rapide ma nutrizionalmente impeccabili.
Poi, ci sono i messaggi in quasi-codice. Se consultate un manuale per fare bento, in libreria o online, trovate di sicuro la categoria aisaiben – ovvero, il bento d’amore, con qualche alga nori tagliata a forma di cuore, o palline di riso schiacciate dentro uno stampo di nuovo a cuore, e cose così.
E per quanto non sia noto quanto sia frequente, c’è anche la categoria opposta: shikaeshi bento. Il bento della vendetta. Quello fatto dalle spose arrabbiate con il marito: con dentro riso crudo. O una bacchetta sola. O un cuore tagliato nell’alga nori, si, ma… spezzato. O verdure surgelate crude, che si scongeleranno pian piano.
Un ditelo con il bento che sottolinea quanto stereotipati possano essere certi ruoli in alcune situazioni (in Giappone come altrove, del resto) – e che in questa minima sovversione, immobilizza ancor di più il modo iniquo in cui è spartito il potere.
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