L’ultima tragedia nel Mediterraneo racconta le disastrose politiche dell’Unione europea e dell’Italia nei confronti dei migranti, iniziate con gli accordi italo-libici voluti dall'allora ministro dell'Interno Pd, Marco Minniti, e confermate anche dal governo delle destre, guidato da Giorgia Meloni
L’ultima tragedia nel Mediterraneo racconta le disastrose politiche dell’Unione europea e dell’Italia nei confronti dei migranti, iniziate con Marco Minniti (Pd), ministro dell’Interno, e confermate anche dal governo delle destre, guidato da Giorgia Meloni.
Queste politiche includono l’esternalizzazione del controllo delle frontiere nel Mediterraneo centrale, la formazione della Guardia costiera libica con l’istituzione della zona di ricerca e soccorso davanti alle coste della Libia (Sar). Decisioni avviate con la firma del memorandum Italia-Libia, voluto dal governo guidato da Paolo Gentiloni, nel febbraio 2017, e mai rinnegate anche dall’esecutivo in carica che ha bloccato le navi ong e reso sempre più ardua l’impresa di salvare vite umane.
L’ultima tragedia
Di fronte alla nuova strage di innocenti, naufragati nel Mediterraneo, la Guardia costiera italiana parla di «un intervento di soccorso avvenuto al di fuori dell’area di responsabilità Sar italiana registrando l’inattività degli altri centri nazionali di coordinamento e soccorso marittimo interessati per area».
La competenza era della Libia che ha risposto di non avere imbarcazioni disponibili e di Malta che non ha mosso un dito, un’inerzia che ha avuto come conseguenza lasciare morire i migranti. Gli allarmi sono stati espliciti e ripetuti, ma l’esito è stato lo stesso di Cutro.
Nella notte tra il 10 e l’11 marzo, Alarm Phone ha ricevuto la segnalazione di un’imbarcazione in enorme difficoltà con 47 persone a bordo che scappavano dall’inferno della Libia. La posizione è stata comunicata alle autorità libiche, maltesi e italiane, la situazione era di enorme pericolo.
«Abbiamo informato i ripetutamente, sia via e-mail che per telefono, il Centro di coordinamento del soccorso marittimo (Mrc) italiano di questa situazione (...) Alle ore 3:01, abbiamo chiesto a di Roma di ordinare alla nave mercantile Amax Avenue, che si trovava nelle vicinanze, di intervenire», si legge in una ricostruzione di Alarm Phone.
Il caso è stato segnalato anche via social, dopo nove ore, l’aereo Seabird 2 di Sea-Watch ha avvistato dal cielo l’imbarcazione in difficoltà, informando anche le autorità sulla situazione di imminente pericolo.
L’imbarcazione era in piena Sar libica, come ricorda anche la Guardia costiera italiana, ma nessuno è intervenuto, solo una nave mercantile, ma a distanza di diverse ore dalle ripetute segnalazioni. L’esito dell’inerzia, con Malta e Italia immobili, in attesa dell’intervento libico, è la morte.
«L’ultima comunicazione con le persone a bordo è avvenuta alle ore 06:50 del 12 marzo. Erano esauste e disperate. Subito dopo quella telefonata, abbiamo inviato la loro posizione Gps alle autorità, chiedendo loro di intervenire con urgenza. Alle ore 07:20, le persone a bordo ci hanno chiamato un’ultima volta, ma non si sentiva nulla. Dopo il nostro ultimo contatto, la barca si è capovolta», si legge nel rapporto. I sopravvissuti sono 17, i dispersi una trentina.
La Libia lava ogni colpa
Il modello concepito a sud della Sicilia ha previsto una zona Sar libica, il ruolo della guardia costiera locale, foraggiata dall’Italia, e la stessa giustificazione di fronte a ogni tragedia: è competenza della Libia.
Questo ha due conseguenze. La prima è che quando i libici riescono ad agguantare i barconi, i migranti vengono riportati dentro i lager e le prigioni violando la prescrizione dell’Onu, che considera la Liba un paese non sicuro.
La seconda conseguenza è che quando i barconi non vengono intercettati i barconi, la colpa di morti è della Libia. Ma la regia di questa mancata assunzione di responsabilità è tutta italiana ed europea.
Questa strategia trova una prima traccia in una nota del ministero dell’Interno. «Le Ong sono diventate una piattaforma in attesa dei gommoni provenienti dalla Libia (…) Tale modalità di pattugliamento potrebbe costituire un indice rivelatore di un preventivo accordo tra le organizzazioni criminali e l’equipaggio delle imbarcazioni», si legge nel documento, datato 2016, il preludio al memorandum con la Libia.
È iniziata allora la criminalizzazione delle organizzazioni non governative che, in quel momento, dopo che il governo Renzi aveva archiviato l’operazione militare Mare nostrum, cominciavano ad agire a largo della Libia per salvare vite umane.
Nelle carte dell’inchiesta sulle Ong e i migranti, pubblicata su Domani nel 2021, emergeva già questo spaccato. Da allora tutti i governi hanno cercato di limitare le ong e hanno scelto di affidarsi alla Guardia costiera libica. Cioè a operatori senza esperienza, in rapporti con ambienti criminali, che riportano nelle prigioni i migranti oppure, come successo adesso, li lasciano morire in mare.
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